Enrico Marro
L’accordo «tappo» che blocca
le relazioni industriali. Pezzotta: ora il modello contrattuale
ROMA – Adesso solo un’impuntatura sulla bandierina dei
100 euro può far fallire la trattativa. I sindacati dei metalmeccanici dicono
che non possono firmare il rinnovo del contratto se non otterranno almeno 100
euro di aumento e non uno di meno. La Federmeccanica risponde che tutto si può
fare, ma non dare 100 euro. La questione è simbolica, ma proprio per questo può
essere pericolosa. Se la vittoria o la sconfitta di Massimo Calearo, presidente
di Federmeccanica, e dei capi sindacali Gianni Rinaldini (Fiom), Giorgio
Caprioli (Fim) e Tonino Regazzi (Uilm) si misura rispetto a quota 100, allora
firmare il contratto può diventare molto difficile, nonostante ieri il
direttivo dell’associazione delle imprese abbia deciso all’unanimità la
riapertura della trattativa. Detto questo, però, la volontà prevalente è quella
di rinnovare il contratto. Non solo in Federmeccanica e nei sindacati di
categoria, ma anche in Confindustria e in Cgil, Cisl e Uil. E ieri perfino
il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, si è speso in questo senso, dicendo
che il contratto «va fatto», dopo che il ministro del Lavoro, Roberto Maroni,
si era rallegrato per la decisione del fronte imprenditoriale di riaprire il
negoziato. È come se a tutti i livelli si aspettasse con ansia di togliere
il "tappo" alle relazioni sindacali rappresentato dalla questione
metalmeccanica. Una questione che si trascina dal giugno 2001, quando il
rinnovo del contratto fu firmato dalla Fim e dalla Uilm, ma non dalla Fiom.
Una rottura drammatica, che presto si estese alle confederazioni, culminata nel
2002 con il Patto per l’Italia sottoscritto da Cisl e Uil col governo mentre la
Cgil di Sergio Cofferati scendeva in piazza, e che, per quanto riguarda i
metalmeccanici, portò a un secondo contratto senza la Fiom, nel 2003.Poi, un anno fa, la ricomposizione, con la presentazione, per la prima volta
dopo quattro anni, di una piattaforma unitaria per il rinnovo del contratto da
parte di Fiom, Fim e Uil. La ritrovata unità si è riflessa anche nella
riappacificazione tra Cgil da una parte e Cisl e Uil dall’altra. Erano nel
frattempo cambiati anche alcuni protagonisti. A guidare la Cgil, dalla fine
del 2002, è Guglielmo Epifani, che si è proposto subito di
«risindacalizzare» la Cgil, dopo una stagione di lotta soprattutto politica. E
a capo della Confindustria, dal 2004, non c’è più Antonio D’Amato, ma Luca
Cordero di Montezemolo, che ha messo ai primi posti nella sua agenda il
recupero del rapporto con la Cgil.
Viene da lontano dunque ed è stata costruita con fatica la firma di questo
contratto, se ci sarà, come i più prevedono, entro uno o due giorni. E, se
andrà così, l’accordo dei metalmeccanici del gennaio 2006 segnerà l’apertura di
una nuova fase delle relazioni sindacali. Sancirà la normalizzazione dei
rapporti nella categoria più importante dell’industria, togliendo alla Fiom
l’alibi di dover essere sempre e comunque conflittuale e dando così qualche
margine di manovra in più a Epifani. Condizioni queste indispensabili per
affrontare l’appuntamento più importante, quello con la riforma del modello
contrattuale, le regole stabilite nello storico accordo del luglio ’93, che da
anni non funzionano più bene, come la stessa trattativa dei metalmeccanici
dimostra.
Non è un caso che ieri Epifani e Calearo abbiano polemizzato proprio su
questo e che il leader della Cisl, Savino Pezzotta, abbia sottolineato come la
riforma del modello contrattuale non sia più rinviabile. Epifani ha accusato
Federmeccanica di essere l’unica associazione incapace di rinnovare il
contratto. Calearo ha ribattuto che la colpa è della inadeguatezza delle regole
del ’93 che proprio Epifani finora ha impedito di riformare. Nell’estate
del 2004, quando Montezemolo propose di affrontare il tema, Epifani infatti si
alzò dal tavolo e abbandonò l’incontro, lasciando di stucco, oltre ai vertici
di Confindustria, Pezzotta e il segretario della Uil, Luigi Angeletti.
Adesso la questione si ripropone. La Confindustria ha preparato un suo
documento di proposte, per la verità poco innovative. Cgil, Cisl e Uil
ancora non hanno trovato una posizione comune proprio perché Epifani, tra
l’altro, ha sostenuto che prima bisognava chiudere i contratti aperti. Ora
anche questo argomento potrebbe cadere. Se il tappo dei metalmeccanici salta,
le parti sociali non avranno più alibi e potranno riprogettare il futuro.