Lo scacchiere dei soccorsi – FEDERICO RAMPINI

La logica di potenza dietro alla “generosità” delle potenze donatrici
L’improvvisa “generosità” delle potenze davanti al maremoto asiatico ha motivazioni strategiche: gli USA puntano a contenere l’ascendente influenza cinese e migliorare i rapporti col mondo islamico (l’INDONESIA è la più grande nazione musulmana e membro OPEC, con giacimenti contesi da investitori cinesi e USA) con l’aiuto di GIAPPONE e AUSTRALIA; la CINA e l’INDIA sono potenze regionali e giocano con la stessa arma: gli aiuti.
L’EUROPA ha mandato aiuti, ma ogni paese per sé. Dopo essersi indecorosamente contesi il ruolo di coordinatore UE, gli europei hanno miracolosamente convinto gli USA a lasciare all’ONU la regia degli aiuti.
KOFI ANNAN invita tutti a non farsi belli con promesse per poi non inviare gli aiuti (come è già successo in altre occasioni).
“CARITÀ competitiva”: il vertice di Giakarta è stato definito con una punta di sarcasmo da Jan Egeland, capo degli aiuti di emergenza dell´Onu. Egeland non ha il dono della diplomazia ma parla chiaro. Fu lui a dare dello spilorcio a Bush quando l´offerta iniziale ai paesi devastati dallo tsunami era stata di 15 milioni di dollari, cioè lo 0,0001% del Pil americano o il prezzo di tre appartamenti nella Upper East Manhattan. La generosità – vera – dei cittadini del mondo intero non ha lasciato insensibili i governi. E così la tragedia è diventata anche l´opportunità per operazioni di immagine davanti a un´opinione pubblica internazionale eccezionalmente attenta. Per i paesi ricchi questa calamità rischia di diventare business as usual: la solidarietà ha l´etichetta con il prezzo, gli aiuti sono merce di scambio sulla scacchiera dell´influenza geopolitica.
Per la passerella di potenti che ieri sono sfilati a Giakarta, dal duo Colin Powell-Jeb Bush al premier cinese Wen al giapponese Koizumi, è evidente che sulla gestione di questa emergenza si è aperta una partita strategica.
Certo l´immensa emozione popolare suscitata dalle devastazioni, e l´alto numero di vittime occidentali, forzano la mano ai governi di ogni colore. Ma l´emozione è destinata a passare, e al summit di Giakarta tutti pensavano al “dopo”. L´America è determinata a usare l´aiuto umanitario per recuperare l´egemonia in una zona dove stava cedendo terreno alla Cina; due alleati fedeli come Giappone e Australia danno man forte a Bush con uno sforzo finanziario sostanziale (1,5 miliardi di dollari). La Cina reagisce lanciandosi anche lei, per la prima volta nella sua storia, in un´operazione umanitaria all´estero, anche se i suoi mezzi non possono eguagliare quelli americani. Perfino l´India ha una logica di potenza, e pur essendo tra i paesi colpiti sta usando la leva degli aiuti verso i vicini meno ricchi.
In questo scacchiere è centrale l´Indonesia. Il paese che ha pagato il più alto tributo di morti è un importante produttore di petrolio, membro influente dell´Opec, i cui giacimenti sono contesi da multinazionali americane e cinesi.
L´Indonesia ha sempre occupato un ruolo strategico per le rotte dell´Estremo oriente. E soprattutto, è la più grande nazione musulmana del mondo. Per gli Stati Uniti l´Indonesia rappresenta – insieme alla Thailandia, altra vittima dello tsunami – il “fronte orientale” nella lotta al fondamentalismo islamico.
Powell a Giakarta è stato esplicito: «Quel che stiamo facendo qui dà al mondo musulmano, e a tutto il resto del mondo, un´opportunità di vedere la generosità americana, i valori americani all´opera». Per la verità la generosità di Washington, anche dopo le ultime aggiunte (350 milioni di dollari) si piazza quarta. Ma la U.S. Navy, gli elicotteri e i marines, sia pure con qualche cruciale giorno di ritardo, sono arrivati primi, secondi e terzi, nell´assenza di ogni altra task force internazionale. Nonostante i costi della guerra in Iraq, gli americani sono gli unici a mantenere una presenza militare rapidamente utilizzabile in tutto il globo. E le immagini dei marines che portano soccorsi ai bambini dello Sri Lanka sono certo più edificanti di quelle trasmesse dall´Iraq.
In quest´area del mondo non c´è solo l´Islam. Questo è il palcoscenico su cui si “allarga” il nuovo rivale strategico dell´America. Perfino il critico New York Times stavolta si compiace nel contare i punti che il maremoto fa guadagnare agli Stati Uniti: “La nuova e crescente influenza della Cina in Asia, che secondo alcuni esperti è stata conquistata a spese nostre, sta mostrando i suoi limiti: l´aspirante superpotenza gioca un ruolo attivo ma secondario nella risposta alle devastazioni dello tsunami. La Cina è rimasta a guardare mentre le nostre navi militari raggiungevano velocemente quella zona, e gli elicotteri americani cominciavano a rifornire di cibo e medicine le aree più disastrate”. Appena due mesi fa la situazione era diversa. Al vertice Asean dei paesi del sud-est asiatico a novembre gli Stati Uniti erano eclissati mentre tutti «flirtavano» con la potenza economica cinese. Mentre Rumsfeld a causa dell´Iraq annunciava riduzioni di truppe in Corea e in Giappone, Pechino investiva nel potenziamento della sua flotta militare. Come l´Inghilterra dell´Ottocento e l´America del Novecento, la Cina è “costretta” dalla sua rivoluzione industriale a diventare una famelica consumatrice di materie prime dal mondo intero, e quindi a proiettare la sua forza militare sui mari per garantirsi la sicurezza negli approvvigionamenti. Ora la Cina deve imparare oneri ed onori che accompagnano il suo nuovo status. Per la prima volta quest´anno diventerà un paese donatore, e non beneficiario, degli aiuti allo sviluppo. Di fronte alle immagini dello tsunami, il nuovo ceto medio cinese ha avuto la stessa reazione degli americani e degli italiani: ha donato su Internet, attraverso giornali e tv, usando strumenti di beneficenza privata un tempo estranei all´ideologia comunista. Ma i mezzi sono ancora limitati.
I 70 milioni di dollari donati da Pechino alle vittime del maremoto valgono un anno di reddito per 70.000 contadini cinesi.
All´Europa non mancano i mezzi ma l´armonìa per metterli assieme.
La cacofonia nel pollaio europeo – dove nei primi giorni tre o quattro governi si sono autonominati “coordinatori” degli aiuti – è stata uno spettacolo umiliante. È già un miracolo che gli europei (soprattutto per insistenza francese) abbiano convinto gli americani a cedere all´Onu il ruolo di regìa.

Da Kofi Annan a Giakarta è venuto il monito più severo. Non fatevi belli oggi – ha detto ai paesi ricchi – con le vostre promesse di tre miliardi di dollari di aiuti, per poi dirottarli da altri programmi di assistenza al Terzo mondo. Purtroppo ha parlato per esperienza.

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