Lo Stato sionista d’Israele sta massacrando la popolazione di Gaza. Da giorni proseguono i bombardamenti indiscriminati da cielo, terra e mare, il blocco di elettricità, acqua e cibo. Mentre scriviamo si contano migliaia di morti, feriti, persone sotto le macerie, più di un milione di sfollati, centinaia di morti solo per il bombardamento dell’ospedale al-Ahli di Gaza City, centinaia di migliaia di ricoverati negli altri ospedali condannati ad una fine tragica, dal momento che, oltre ai bombardamenti, mancano medicinali ed il supporto di aiuti umanitari. Sono al 65% donne e bambini. E’ una catastrofe umanitaria. Il “regolamento dei conti” contro Hamas da parte di Netanyahu dopo gli attacchi delle milizie palestinesi del 7 ottobre scorso, diventa in realtà una potenziale pianificazione della “pulizia etnica” di un intero popolo.
Quella che ci viene presentata come “guerra tra Hamas e Israele” è in realtà l’ennesima sanguinosissima tappa dell’oppressione di un popolo vittima delle spartizioni imperialistiche e degli appetiti delle borghesie nazionali dell’area mediorientale; per come esse si sono delineate e sviluppate dal secondo dopoguerra ad oggi in un ganglio fondamentale dello scacchiere internazionale.
Il ruolo dello Stato sionista d’Israele è sempre consistito nel fungere da gendarme alla penetrazione dei capitali occidentali, non disdegnando – tra una guerra e l’altra – periodici approcci vuoi con Mosca, vuoi con le non meno voraci borghesie arabe sue vicine. Il tutto ai danni del proletariato mediorientale (compreso quello israeliano), “privilegiando” la diaspora, l’oppressione sociale e nazionale, ed infine il massacro di quel popolo palestinese oggetto delle sue mire espansionistiche e coloniali a sfondo razziale.
I governi e politici di Europa e Stati Uniti mantengono il loro sostegno a Israele. USA e UK hanno inviato portaerei, mentre Israele bombardava gli aeroporti di Damasco e Aleppo. USA, Gran Bretagna, Francia e Germania hanno vietato manifestazioni a sostegno del popolo palestinese con il pretesto del terrorismo, quando stanno sostenendo la più grande operazione terroristica del dopoguerra nei confronti di 2,3 milioni di persone. Una Gaza liberata dai suoi scomodi abitanti prospetta un più agevole sfruttamento dei ricchi giacimenti di petrolio e gas che abbondano nel mare di fronte alle sue coste.
La possibilità che il conflitto si allarghi, mettendo in moto forze incontrollabili in questa vera e propria “polveriera mondiale” (Hezbollah, Iran, Siria, la stessa Cisgiordania) ha messo in moto le diplomazie delle grandi potenze, le quali cercano di indirizzare la situazione non di certo verso “soluzioni umanitarie” (che non siano quelle tra guerrafondai), bensì nella direzione di volgere a proprio vantaggio le dinamiche dello scontro.
Così mentre gli USA, pur appoggiando Israele, “sconsigliano” ad essa di “rioccupare” la striscia di Gaza dopo averne fatta tabula rasa, nell’ottica di mantenersi il ruolo di “mediazione” nell’area, la Russia di Putin cerca a sua volta di uscire dall’impasse ucraino riverniciandosi come “potenza di pace” e la Cina (ultima, ma non di certo l’ultima) cerca di tessere la propria pax mediorientale, con l’Arabia Saudita che potrebbe entrare nella CSO (l’organizzazione cinese di sicurezza asiatica in cui già ci sono Russia, Iran e India) e rilanciando la “nuova via della seta” (il BRI, “Belt and Road Initiative”, un affare da 1.000 miliardi di dollari già sottoscritto da 152 paesi) ponendosi di traverso a qualsiasi “affondo” israeliano.
E ancora la Turchia di Erdogan che, dopo l’Ucraina, è ambiziosa di assumere un ruolo da protagonista, sfruttando sia l’appartenenza alla NATO sia i legami dell’AKP coi Fratelli Musulmani. L’U.E., in ordine sparso, poggia sull’asse USA-Israele per approfittare degli inevitabili rimescolamenti che si venissero a determinare.
Una cosa è chiara: il popolo ed il proletariato palestinese, la storia insegna, non potranno attendersi nessuna emancipazione da soggetti di questo genere! Gli unici possibili “aiuti” potranno venire solo dagli sfruttati e dagli oppressi del Medio Oriente, nonché da quelli delle metropoli imperialiste man mano che essi si scrolleranno di dosso la plumbea cappa dello sciovinismo, della “superiorità culturale” e dell’indifferenza.
Il rapporto di forza tra popolo palestinese e Stato sionista, soprattutto dopo gli ultimi eventi, non permette a breve una “soluzione” del problema che non sia la riproposizione, peggiorata, dei vecchi compromessi nell’ottica di nuove spartizioni tra borghesie.
Perciò condanniamo il terrorismo di stato di Israele che prosegue da decenni, e appoggiamo la lotta del popolo palestinese contro l’oppressione del sionismo razzista. D’altro canto, settantacinque anni di oppressione e guerre hanno mostrato che la libertà e l’autodeterminazione per il popolo palestinese non potrà venire dagli Stati arabi (che sfruttano e opprimono i rifugiati palestinesi; e che sono venuti a patti con Israele), o dall’Iran reazionario, né dalle leadership palestinesi ad essi legate, inclusa Hamas, che pure sta subendo una feroce repressione per avere osato contrattaccare.
Una direzione proletaria della lotta di autodeterminazione palestinese dovrà dunque necessariamente liquidare, in prospettiva, ogni “razzismo a rovescio”, ogni Stato “etico-religioso”. E tutto ciò nell’ottica di conquistare il proletariato israeliano, per non lasciarlo preda del nazionalismo più ottuso e feroce, e per sconfiggere quella borghesia araba che sfrutta e opprime gli stessi palestinesi, spesso in società con Israele.
Solo l’unione dei proletari del Medio Oriente, arabi, curdi, ebrei e di ogni altra etnia o confessione, potrà abbattere lo stato israeliano sionista. Una unione che non è una vaga aspirazione o un puro auspicio, ma una possibilità concreta.
Le grandi manifestazioni dei mesi scorsi contro il governo israeliano, come quelle contro il governo libanese, le sollevazioni popolari in Siria e Iran represse nel sangue, le proteste sempre più forti in Iraq mostrano le potenzialità rivoluzionarie dell’area mediorientale, e la necessità di lavorare per l’unione su base di classe, contro le borghesie sfruttatrici legate agli imperialismi.
L’imperialismo italiano è parte di questa oppressione, partner commerciale, politico e militare di Israele. Ed è contro la complicità e il sostegno dell’imperialismo italiano a Israele come la sua partecipazione piena alla guerra in Ucraina che deve dirigersi innanzitutto la nostra azione. Non dando tregua al governo Meloni ed alla sua politica bellicista e guerrafondaia che si sposa perfettamente con la sua politica antioperaia.
Quest’altra sanguinosa e raccapricciante pagina di guerra imperialista che riesplode parallelamente al massacro in Ucraina, arrivando al massacro del popolo palestinese, deve spingere i proletari più coscienti e combattivi a serrare le fila per costruire una opposizione internazionale e internazionalista alla società del profitto, dell’oppressione, della miseria e della morte!
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