Aiutiamoci in casa loro

L’Italia fascista aggredì l’Etiopia nel 1935, in barba alle sanzioni della Società delle Nazioni, per venire sconfitta dall’imperatore Hailé Selassié (armato dagli inglesi), non prima di avere perpetrato orrendi massacri di contadini, donne e bambini compresi.

88 anni dopo la nipotina dei gerarchi Giorgia Meloni torna nel grande paese del Corno d’Africa senza una parola di scuse per la violenza e i massacri del regime cui il suo partito si ispira…

Consolidando i rapporti con il governo etiopico, Meloni cerca di posizionare l’imperialismo italiano nel processo di crescita capitalistica di questo grande paese (ampio quasi 4 volte l’Italia, e con una popolazione ormai doppia di quella italiana). Sul solco dei lucrosi affari di Webuild (alias Salini Impregilo), che ha costruito mega dighe (e chi se ne importa se è avvenuto a scapito di migliaia di contadini espulsi dalle loro terre per far posto alle dighe e privati dell’acqua) Vuole che i gruppi economici italiani abbiano la parte del leone nella costruzione delle infrastrutture (elettricità, trasporti, telecomunicazioni ecc.), contenendo l’avanzata della Cina, che ha inserito l’Etiopia nella sua Belt and Road Initiative con oltre 400 progetti.

Più che un “aiutiamoli in casa loro, così non ci mandano i migranti”, ci sembra un “aiutiamoci in casa loro”, visti i lauti appalti che offrono, sfruttando l’abbondante manodopera pagata 50 euro al mese. E, al posto di puntare le armi italiane contro di loro come i nostri nonni, vendiamogliele! Sapranno loro come consumarle (negli ultimi due anni ammazzando decine di migliaia di ribelli del Tigray).

In Etiopia (ancora oltre il 70% di contadini) sta formandosi una giovane classe operaia, che per il capitale italiano, turco, cinese ecc. ha l’attrattiva dei bassi salari, per noi sono nuovi fratelli di classe coi quali condurre le lotte comuni contro l’oppressione del capitale, per un mondo migliore.


Meloni è approdata in Etiopia, “buon’ultima” (nota 1), potremmo dire, dopo la pausa Covid, ma aveva già ricevuto il presidente Abyi in febbraio a Roma. Gli incontri sono stati presentati come un modo per rinsaldare la partnership commerciale ed evitare il temuto afflusso di immigrati dal Corno d’Africa in Europa.

Nel periodo 2017- 21 dal Corno d’Africa sono arrivati tramite Libia in Europa più di 200 mila immigrati. Ma in Italia gli etiopi presenti (dati 2021) sono 6.100, non proprio un’invasione. E’ vero che di tutti gli immigrati dall’Africa, il 40% viene dal Corno d’Africa, ma non tutti si dirigono in Europa (cfr. https://www.combat-coc.org/migrazioni-da-in-e-per-il-corno-dafrica/). La loro è una fuga drammatica da guerre, fame, land grabbing, inondazioni, siccità e genocidi etnici, ma raramente desiderano fermarsi in Italia.

A Roma e a Addis Abeba si è dunque parlato di affari. E’ stato firmato un programma di cooperazione triennale del valore di 140 milioni euro, di cui 40 milioni “a fondo perduto”, cui si sono aggiunti due accordi del valore di 42 milioni euro per proteggere la filiera del caffè e per potenziare le infrastrutture idriche nella capitale Addis Abeba, dove si concentrano le élites dominanti. Alcuni giornali hanno parlato di una “forte partnership commerciale”. Ma nel 2021 l’Italia aveva un interscambio commerciale di 42,1 miliardi di € con l’Africa (export italiano 18,2 miliardi). Con l’Etiopia, secondo più popoloso paese africano, l’interscambio nel 2021 era di 234,65 milioni di €, cioè lo 0,85% di tutto l’interscambio con l’Africa (nota 2). Non sta qui evidentemente il grosso del business per l’Italia.

Meloni ha riaperto il capitolo vendita di armi, anche se nella vulgata propagandistica di Meloni non ve n’è traccia. Sia il presidente etiope Abiy, che il suo omologo somalo, entrambi incontrati sia a Roma che nella capitale etiope hanno chiesto armi (nota 3). Servono ad Abyi per sottomettere i riottosi Amhara e Oromo, mentre dura la tregua nel Tigray. Servono al presidente somalo in vista del ritiro della missione ONU dalla Somalia, che potrebbe dar luogo al riaccendersi del terrorismo jihadista. Meloni ha subito chiarito che «sul settore della difesa ci piacerebbe lavorare a una cooperazione maggiore», del resto in continuità col passato (nota 3)

Questa ripresa di un “ruolo forte” dell’Italia in Corno d’Africa è in linea con gli auspici di molti settori militari, che vedono il “destino” dell’Italia in una presenza sempre maggiore nel Mediterraneo “allargato”, quindi non solo quello che va da Gibilterra al Libano, ma quello che si allarga da una parte al Golfo di Guinea e dall’altra nel Mar Rosso, in Somalia e Gibuti, allo stretto di Hormutz. Questo mare è “centrale” per l’imperialismo italiano perché lì passano strategici collegamenti energetici e delle comunicazioni ( https://www.combat-coc.org/dallucraina-al-tempest-per-limperialismo-italiano-riarmo-e-prove-di-alleanza/).

Quindi un ritorno alla grande di ambizioni militari e “colonizzatrici” per la gioia di Leonardo -Finmeccanica, del sottobosco di 140 aziende italiane del settore, nonché delle banche coinvolte, che hanno armato il capitalismo di stato etiope, per lo più per il tramite dell’Arabia Saudita, con il consenso di tutti gli ultimi governi (tranne una breve sospensione nel 2019) (nota 4).

. Meloni naturalmente ha ben presente anche gli interessi di Webuild – Salini Impregilo.

Salini Impregilo opera in Etiopia dal 1956. Vi ha costruito le tre dighe sul fiume Gilgel Gibe, i due impianti idroelettrici sul fiume Beles, per proseguire con la Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), iniziata nel 2011, sul Nilo Azzurro e solo parzialmente funzionante (4), mentre è già stata annunciata la costruzione della diga a Koysha sul fiume Omo.

Queste dighe sono state volute dal governo Zenawi e fatte proprie dai successivi governi etiopi.) non solo in vista di un aumento della domanda domestica, ma soprattutto con l’ambizione di diventare un centro esportatore di energia elettrica per tutta l’area ( e in particolare verso Kenya, Sudan e Gibuti)

L’Etiopia ha investito in queste opere faraoniche quote significative del suo PIL e tassato la popolazione (ad es. i dipendenti statali hanno dovuto versare un mese di stipendio).

Le popolazioni che praticavano la pastorizia e l’agricoltura nelle aree coinvolte son state cacciate con metodi di estrema violenza, denunciata da molte fonti (nota 5). In nessun caso c’è stato indennizzo e spesso la popolazione espulsa è stata concentrata in veri e propri campi di sfollati, come ai tempi di Menghistu. Le rivolte contadine legate alle dighe sono state innumerevoli e hanno rinfocolato le tensioni etniche per la gestione delle risorse (prima di tutto la terra). I due terzi della popolazione etiope non ha accesso all’elettricità. Inoltre le dighe sono collegate a progetti di irrigazione di alcune grandi piantagioni di proprietà statale (come il il Kuraz Sugar Development Project, che prevede va 100.000 ettari coltivati a canna da zucchero), che di fatto toglie l’acqua alle popolazioni. Al contrario i progetti di sviluppo dell’irrigazione a vantaggio del grosso della popolazione sono in colpevole ritardo, in un paese che è minacciato pesantemente dalla siccità. Una scelta che è legata ai piccoli e ai grandi fenomeni di corruzione che si creano intorno ai mega progetti (le dighe, le piantagioni, ma anche le aree industriali speciali), come quello che riguardato proprio la Gerd e che riguardava ina ditta parastatale legata all’esercito, la Metec (nota 6). Le inadempienze, gli sprechi, i furti hanno rallentato la conclusione dell’opera, ma sono state fonti di arricchimento per le consorterie legate al governo di Addis Abeba oltre che per i vertici dell’esercito etiope.

Salini Impregilo ha volutamente ignorato le denunce relative al rispetto dei diritti umani o ai danni ambientali. Il suo sito dedica ampio spazio all’intervento in Etiopia, “fiore all’occhiello” “dell’ingegno italico” (come si esprimeva Renzi), in cui si legge che “Gerd è una visione, un’aspettativa condivisa di un’opera che potrà contribuire a ridurre la povertà, gli scontri sociali, l’arretratezza economica”. Un peana propagandistico che non basta a cancellare l’evidenza, cioè che l’impresa ha ottenuto l’affare Gerd (un affare da 4,8 miliardi di $), senza gara d’appalto perché ha procurato la relazione per l’OCSE che escludeva i danni ambientali e ha chiuso tutti e due gli occhi sulle angherie subite dai lavoratori e dalle popolazioni. Con un doppio proprio tornaconto, un fatturato di tutto rispetto e lo sfruttamento di manodopera a basso costo e senza alcun diritto sindacale. C’è quindi una complicità fra il capitalismo privato italiano e il capitalismo di stato etiope, con l’interessata copertura dei rispettivi governi (nota 6). E’ evidente che l’elettricità serve a tutti i giovani capitalismi, è evidente che più elettricità significa poter far funzionare fabbriche che a loro volta danno lavoro, ma a che prezzo e con che metodi non è indifferente.

E’ altrettanto evidente che la messa in funzione di Gerd è al centro di un conflitto regionale, una vera e propria guerra per l’acqua, fra l’Etiopia e i paesi che vedrebbero calare la portata dei fiumi nei loro territori, man mano che gli invasi delle dighe drenano l’acqua. Ci sono stati continui incontri di mediazione con i governi di Sudan ed Egitto stato ostacolato anche dai conflitti sorti con gli stati che ricevono le acque dei fiumi dopo le dighe. In particolare Sudan ed Egitto hanno tentato di incidere sulla quantità di acqua drenata e i tempi di pieno funzionamento sia di Gibe III che di Gerd. Le trattative hanno visto continui interventi di mediazione degli imperialismi e delle potenze regionali (nota 7).

Analogo esempio di come il capitalismo internazionale volutamente ignora le conseguenze sociali del suo intervento è l’entusiasmo espresso dal FMI che ha collocato l’Etiopia fra le prime 5 economie mondiali per crescita. Alle alte percentuali di crescita del PIL contribuiscono in modo massiccio gli investimenti nelle infrastrutture, fra cui anche le dighe. Al FMI non interessa invece verificare i livelli di povertà e la totale mancanza di servizi (nota 8), né quanto queste dighe contribuiscano alla siccità in altre aree o ai conflitti regionali, né infine quanti disperati saranno costretti a scegliere la via dell’emigrazione lungo un percorso non dissimile a un girone dell’inferno. Per il FMI l’Etiopia è un ottimo affare, affonda nei debiti: secondo un rapporto del governo di Addis Abeba 26 miliardi di $ nel 2022 e un interesse sul debito di 1,7 miliardi ogni anno. Debiti che si traducono in una inflazione a due cifre che taglieggiano i già bassissimi salari.

In questo senso Meloni ha orchestrato intorno al suo viaggio un apparato propagandistico in cui non solo ha esibito la sua “sensibilità” sociale, comprensivo di abbraccio, davanti ai fotografi, di due bambini Africa (vedi il commento di Djarah Kan su Pungolo rosso https://pungolorosso.wordpress.com/2023/04/16/una-foto-oscena-djarah-kan/). E ha orchestrato abili interventi sui talk show dei suoi accoliti, che hanno sottolineato come che la Cina per i suoi investimenti in Etiopia importi manodopera cinese, mentre l’Italia con i suoi investimenti da lavoro ai locali ed è stato citato proprio l’esempio dei 15 mila posti di lavoro creati da Salini Impregilo per Gerd fra assunti diretti e dipendenti di agenzie interinali locali, oltre all’indotto. Addirittura, si è sostenuto, ben il 63% dei “manager” è locale. E molte forniture sono garantite da ditte locali. Quindi si è “redistribuita ricchezza”. Dei profitti ovviamente non si fa parola. Hanno risposto alcuni etiopi della diaspora che le opportunità di arricchimento sono soprattutto per i funzionari di alto grado nell’amministrazione federale e per i “manager” legati al governo o per chi gestisce le agenzie interinali e assume tra la popolazione locale la bassa manovalanza per lavori pericolosi e malpagati.

Meloni, infine, ha fatto intendere che l’intervento forte dell’Italia in Corno d’Africa ha il consenso degli Usa e dell’Occidente, al fine dichiarato di contenere la Russia e la Cina. L’ennesima esibizione di fedeltà atlantica che però deve fare i conti con interessi Usa divergenti nell’area, in particolare per quanti riguarda Sudan ed Egitto.

In realtà in questa ambizione di contenimento il capitalismo italiano ha un interesse proprio perché la Cina è una presenza massiccia nel campo sia dell’investimento finanziario che della costruzione di infrastrutture. E se Meloni vuole rilanciare l’iniziativa italiana in Corno d’Africa deve fare i conti con la Cina, ma anche con la Russia.

Per comprenderlo occorre fare un passo indietro. Le ambizioni italiane di allargare la propria presenza economica e politica in Etiopia si fondava nel 2018-19 sul ruolo che l’Italia esibiva di aver avuto nel riavvicinare l’Etiopia all’Eritrea (pace del 2018). Questa pace era la premessa per un progetto di costruzione o ricostruzione di una rete di trasporti che raggiungesse il mar Rosso e i porti eritrei, aggirando Gibuti, dove pure l’Italia ha una base logistica militare, ma è ormai sovraffollata. Questo progetto era condiviso con alcuni paesi del Golfo. Ma è stato bloccato dalla guerra del Tigray che ha anche aperto la strada a un ritorno in forze della Russia, che si propone in primis come partner militare (cfr parte finale di https://www.combat-coc.org/situazione-sociale-in-eritrea/)”.). Se nel 2018-19 la Russia poteva essere vista come presenza non ostile, oggi, dopo la guerra in Ucraina, le cose sono cambiate.

Il capitalismo italiano deve sgomitare in un ambiente affollato per riaffermare gli interessi della sua ’imprenditoria italiana (nota 9). Ma molto dipende da quanto reggerà la tregua nel Tigray, come si evolverà il rapporto fra Abyi e il direttore eritreo Afwerki (che mantiene le sue truppe in alcune aree del Tigray, quasi ad intendere che vuole la sua parte nella spartizione delle spoglie di un’area dove si è perpetrato un vero e proprio genocidio, in cui l’Italia ha fornito il suo contributo in armi (cfr. https://www.combat-coc.org/tigray-le-stragi-di-una-guerra-dimenticata/)


Pochissima attenzione ha suscitato l’incontro, sempre ad Addis Abeba, di Meloni con il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud, eletto nel 2012. Anche quest’ultimo era stato in visita a Roma a febbraio di quest’anno. Minniti lo ha invitato alla fondazione Med-Or assieme a Crosetto, Piantedosi e Tajani (quando si dice la trasversalità dei valori dei politici italiani quando sono sul libro paga di Leonardo Finmeccanica). Tema: il Mediterraneo allargato.

Dire chi controlla la Somalia o anche solo definire i confini delle “Somalie” è difficile. Il governo di Mohamud controlla le città del Centro-Sud e poche aree rurali. Eppure viene preso sul serio da tutti per il forte valore geopolitico del paese, anche così com’è, perché può essere l’alternativa all’Eritrea per porti e basi militari in vista dell’Oceano indiano, sulla via della seta ecc.

Mohamud, lo abbiamo già scritto, chiede armi. L’Italia dal 2013 mantiene del paese circa 600 militari, suddivisi in tre diverse missioni di “pace”. Ufficialmente questi militari italiani formano poliziotti e militari somali contro la pirateria, le formazioni “terroriste” di Al Shaab e quant’altro. Hanno una base logistica a Gibuti e hanno un costo annuo intorno ai 60 milioni di €. Da anni le organizzazioni umanitarie denunciano che l’esercito e la polizia somala violano continuamente i diritti umani, utilizzano bambini soldato, compiendo ogni sorta di atrocità. Invano. Ad Addis Abeba si è tenuto un inedito trilaterale Italia-Etiopia-Somalia, il cui contenuto è rigorosamente top secret, salvo un vago riferimento “piano Mattei” che sarà partorito solo a ottobre. Nel frattempo il 30- 31 maggio si terrà a Mogadiscio la seconda edizione dell’Italia-Somalia Business & Trade Forum. Come volevasi dimostrare.

Nota 1: Nell’ordine vi si sono recati Renzi luglio 2015, Gentiloni gennaio 2016, Mattarella marzo 2016. Giuseppe conte ottobre 2018, Manuela del Re (Affari esteri( giugno 2019)

Nota 2: https://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=11

Nota 3: https://www.dire.it/17-03-2021/612738-etiopia-la-diaspora-tigrina-litalia-blocchi-la-vendita-di-armi/
https://ilmanifesto.it/per-meloni-in-etiopia-un-ritorno-in-armi-da-vendere

Nota 4: https://www.farodiroma.it/il-governo-meloni-e-diplomazia-delle-armi-come-lindustria-della-morte-sta-violando-la-costituzione-e-le-leggi-italiane-fulvio-beltrami/

Nota 5: https://altreconomia.it/le-dighe-di-webuild-salini-impregilo-e-gli-impatti-sui-diritti-e-sullambiente/
https://frontierenews.it/2013/01/etiopia-il-massacro-dei-contadini-contro-la-diga-delle-multinazionali-italiane/

Nota 6: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/grandi-dighe-benefici-e-costi-del-rinascimento-delletiopia-23963
https://www.farodiroma.it/etiopia-il-regime-avvia-la-produzione-di-elettricita-presso-la-mega-diga-gerd-per-finanziare-la-guerra/
Nell’articolo di adombra un possibile intervento di Gentiloni presso l’OCSE per far archiviare le denunce degli ambientalisti.

Nota 7: https://www.agenzianova.com/news/sudan-chi-sono-le-parti-in-conflitto/
A trattare con l’Etiopia per conto del Sudan negli incontri che hanno portato a una fragile tregua nel dicembre 2022 è stato Mohammed Hamdan Dagalo, il famigerato capo delle Forze di supporto rapido che contendono, in questi giorni, il potere all’Esercito regolare a Khartoum. Dagalo è vicino alla Wagner e alla Russia, mentre il concorrente Al Burhan è vicino all’Egitto, che a sua volta sulla questione dell’acqua ha l’appoggio degli Usa. Al Burhan e al Sisi, come già scritto, vogliono avere voce in capitolo sui tempi di colmatura degli invasi della Gerd, preoccupati per gli effetti della mancanza d’acqua sui contadini e sui pastori. Dagalo invece, ansioso di incrementare i propri affari legati alle miniere d’oro, si è dimostrato interessato soprattutto alle forniture, in tempi brevi, di elettricità a basso costo.

Nota 8: Solo due dati a conferma Il il 47% della popolazione vive sotto il livello di povertà. Solo il 54% dei bambini “normali” frequenta la scuola elementare. Nelle zone rurali c’è un medico ogni 75 mila abitanti. Molti giornali ospitano entusiastici articoli sui 500 mila universitari presenti in Etiopia, dimenticando di dire che molte università sono private e ovviamente costosissime. Per approfondimenti rimandiamo a

Nota 9: Nel 2018 l’Ispi aveva fornito una panoramica dei progetti in corso di attuazione in Etiopia per merito dell’imprenditoria italiana, al di là delle dighe, citando la CHV/Iveco (assemblaggio veicoli), l’Enel, Calzedonia ecc. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/non-solo-dighe-gli-interessi-italiani-etiopia-ed-eritrea-23928. Durante la visita di Abyi a Roma imprese della logistica lo hanno contattato e sono stati firmati contratti per parchi industriali integrati.

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