Migrazioni da, in e per il Corno d’Africa

Le condizioni di vita nel campo di Ali Hussein nel Corno d’Africa. Fonte: Oxfam
Le condizioni di vita nel campo di Ali Hussein nel Corno d’Africa. Fonte: Oxfam

Difficile trovare aggettivi non usurati, per descrivere le catastrofi umanitarie in Corno d’Africa. E le conseguenti migrazioni.

La massa di migranti è passata da 3,5 milioni nel 2010 a 5,4 nel 2015 ai 6,2 milioni nel 2020, cioè un quarto dei migranti presenti in tutta l’Africa.

La maggior parte abbandona il Corno d’Africa, ma molti ci arrivano, perché per quanto disgraziato sia un luogo, ce n’è spesso uno anche peggiore li vicino. E così in Etiopia sono arrivati negli ultimi anni migliaia di profughi dalla repubblica Democratica del Congo, dal Sud Sudan e dallo Yemen. C’è poi lo specifico fenomeno dei migranti economici rimpatriati a forza dall’Arabia Saudita: domestiche, agricoltori, muratori, operai comuni e anche tecnici e professionisti.

Sono numerosi anche gli spostamenti interni fra paesi e fra aree dei paesi del Corno d’Africa, per sfuggire alle persecuzioni etniche o politiche.

Negli ultimi 10 anni mentre la migrazione verso paesi a medio o alto livello di reddito (ad es. Sudafrica da un lato, Usa ed Europa dall’altro) è rimasta stabile, il flusso verso regioni a basso reddito è triplicato. a indicare che non si tratta tanto di spostamenti alla ricerca di migliori condizioni di vita, ma della spinta impellente a fuggire da guerre, fame, land grabbing, inondazioni, siccità e genocidi etnici.

Nel 2020 dalla Somalia 120 mila si sono diretti in Gran Bretagna, 420 mila verso il Kenya, 400 mila verso l’Etiopia, 220 mila verso lo Yemen (per valutare il fenomeno teniamo conto che la Somalia ha 17 milioni di abitanti). Dall’Eritrea (3,6 milioni di abitanti) 200 mila si sono diretti verso il Sudan e 180 mila verso l’Etiopia. Verso i due paesi si sono avuti sconfinamenti di gruppi in rivolta contro il governo centrale o cacciati dalle loro terre dall’Etiopia. I migranti dall’Etiopia verso gli Usa sono stati 230 mila, 130 mila verso l’Arabia Saudita via Gibuti e Yemen. Questi movimenti di popolazione rappresentano il 40% delle migrazioni di tutto il continente africano.

Assai più ampio il fenomeno degli sfollati temporanei che erano per l’Etiopia e per la Somalia 2,9 milioni nel 2021.

La vera novità è che mentre fino al 2015 a spostarsi erano prevalentemente gli uomini (59%), in anni recenti la quota di donne rappresenta il 50,4%. I paesi che assorbono più donne sono il Sudafrica (compreso il fenomeno delle mogli “importate”) e i paesi del Golfo (principalmente domestiche). La percentuale di genere muta se consideriamo i soli Workers (lavoratori manuali). L’ African Union Institute for Statistics ritiene che siano 3,7 milioni di cui 1,9 uomini, cioè il 54% (nota 1).

Il tesoretto delle rimesse

Il fenomeno che significa sofferenze, pericoli e talvolta morte per i protagonisti, costituisce invece un gradito regalo per i politici le borghesia locali, che così rimettono in sesto la loro bilancia dei pagamenti, Anche le rimesse degli immigrati hanno assunto una rilevanza crescente: si calcola che se nel 2011 nel Corno d’Africa sono arrivati 3 miliardi di $ in rimesse, nel 2021 la cifra è salita a 8,9 miliardi. Il Somalia nel 2021 le rimesse costituivano il 32% del PIL nazionale, anche per la disastrata situazione economica del paese.

I profughi ambientali

Sempre più si usa questo termine nei confronti dei migranti africani, perché molti fenomeni connessi col clima influenzano gli spostamenti. In Corno d’Africa c’è stata l’invasione delle locuste del 2019-20, solo apparentemente legata al clima, in realtà conseguenza del fatto che in presenza della guerra non si può disinfestare.

La siccità che nel solo 2021 in Corno d’Africa ha prodotto una drastica riduzione del cibo a disposizione. La stampa cristiana, cattolica ma anche protestante, dà ampio spazio a questo problema ad es. l’osservatore Romano del 7 gennaio 2023 parla di 58 milioni di persone minacciate in Corno d’Africa da fame e sete (nota 2) Siccità e carestia hanno infierito in Somalia nel 2021 e 2022; hanno riguardato fino a 3 milioni di persone, prodotto lo spostamento di almeno un milione. Circa 4 milioni fra Oromo e Somali in Etiopia hanno fatto la stessa esperienza sempre nel 2021. Il fenomeno ha inciso molto sulle popolazioni nomadi e aumentato i conflitti fra stanziali e nomadi per il controllo delle risorse d’acqua. Si calcola che nell’intero Corno d’Africa esteso (comprendendo anche il Kenya) oscillino fra i 12 e i 22 milioni le persone che praticano la transumanza (stabilmente o solo negli anni di siccità).

Contemporaneamente alla siccità nella primavera del 2021 piogge torrenziali hanno prodotto inondazioni in Somalia che hanno coinvolto 400 mila persone e portato a emigrare almeno 100 mila

Vittime del “progresso” e degli investimenti

Nel 2018 l’OIM ha stanziato per il “Piano regionale per i migranti”, un progetto destinato a favorire il rientro in sicurezza di 80 mila emigranti irregolari in Yemen o nel Corno d’Africa per il periodo 2018-2020 (spesa 35 milioni di €). Nel 2017 la UE aveva stanziato 110,5 milioni di € da dividere fra Etiopia, Somalia, Gibuti, Uganda e Kenia per lo stesso motivo. Nel 2015 in un periodo in cui i migranti del Corno d’Africa arrivavano più numerosi in Europa (circa 4-5 mila all’anno), fu fondato il European trust fund, per combattere le cause di migrazione e sfollamento (il famoso “aiutiamoli a casa loro”). Nessun resoconto di come sono stati spesi questi fondi è stato presentato.

A fianco di queste modeste elemosine si collocano le commesse alle aziende italiane pagate con i soldi degli “aiuti”.

Abbiamo già parlato del Land grabbing (https://www.combat-coc.org/tigray-le-stragi-di-una-guerra-dimenticata/) che produce masse di senza terra e senza acqua che devono lasciare il paese. Ma ora vogliamo parlare del ruolo delle dighe

Ovviamente consideriamo le dighe per produrre energia elettrica un progresso. Ma anche come lo si fa in un sistema capitalistico, sia pure arretrato, in mano a consorterie di potere, ha la sua importanza

Due sono i casi famosi: la diga sull’OMO e la diga sul Nilo Azzurro.

L’Omo nasce sull’altopiano etiope e sfocia nel lago Turkana in Kenya. Il fiume e il lago erano l’habitat di 800 mila persone di 17 tribù che vivevano di pesca e agricoltura, ma indirettamente permettevano la vita a qualche milione di nomadi che allevavano in zona il loro bestiame. La diga, Gilgel Gibe III, costruita in dimensioni mastodontiche dalla Salini Impregilo italiana, con i soldi del Development assistance group, della Banca Mondiale e di molte agenzie per lo sviluppo (sviluppo del profitto?), è stata a suo tempo definita da Renzi “un orgoglio italiano” (nota 3). Ovviamente la produzione di energia è molto alta, venduta alle nazioni limitrofe, perché gli Etiopi che abitano intorno non usano l’elettricità. In cambio è stata tolta loro anche l’acqua residua, concessa per 99 anni a 445 aziende agricole straniere. I contadini che si sono opposti sono stati uccisi a centinaia, le donne violentate i bambini gettati nei fiumi (nota 4)

Un caso sempre di diga, ma con maggiori implicazioni politiche è quello della Diga sul Nilo Azzurro, anch’essa costruita dalla Salini, che ha scatenato il conflitto con l’Egitto di Al Sisi e con il Sudan per la spartizione delle acque. L’Etiopia è spalleggiata dalla Turchia alle prese con problemi analoghi con l’Eufrate, l’Egitto dagli Usa. Il problema delle acque del Nilo fu affrontato addirittura nel 1929 e nel 1959 con degli accordi che ovviamente non presero in considerazione le esigenze dell’Etiopia. Oggi con le trattative si è a un punto morto. Sottolineiamo che questa diga da 4,8 miliardi di dollari è stata aggiudicata nel 2011 senza offerte competitive a Salini Costruttori  S.p.A dall’allora primo ministro Meles Zenawi.

Le direttrici di Emigrazione

Le direttrici di movimento individuate dall’IOM (o OIM L’Organizzazione internazionale per le migrazioni) sono da decenni 4: interne al Corno d’Africa, verso il Mediterraneo (da qui negli Usa), verso i paesi del Golfo e verso il Sudafrica.

Il blocco operato da Trump, ad es. nei confronti dell’Eritrea e in generale degli immigrati Africani negli Usa, e dai governi Europei per il Covid, hanno stravolto nel 2021 le proporzioni delle 4 direttrici, tanto che verso il Mediterraneo si è diretto solo l’1% dei migranti; verso il Sudafrica il 9% il 40% verso i Paesi arabi del Golfo, mentre il resto sono migranti interni

Gibuti , caserma del mondo, crocevia di flussi migratori e di investimenti

Da Bab el Mandeb passa la via della seta cinese, Gibuti è una piccola Hong Kong di militari, diplomatici, uomini d’affari. Nel centro urbano vivono americani, francesi, italiani, cinesi e così via, alcune vie potrebbero sembrare europee. Accanto sorgono i campi profughi dove migliaia di disperati si accalcano, gli uni per raggiungere l’Etiopia, gli altri per andare in Yemen e poi passare in Arabia saudita a trovare lavoro.

Gli Yemeniti fuggono a migliaia dalle zone di guerra. Finiscono a Marzaki, in un campo profughi che non ha luce elettrica né riserve adeguate di acqua, non presidi medici, né scuole, il cibo è scarso. Appena arrivati i profughi capiscono che è un inferno e tentano di tornare indietro. Intruppandosi fra chi parte.

A Gibuti arrivano, spesso a piedi, dopo aver attraversato il deserto, Etiopi ed Eritrei, vengono intercettati dagli scafisti. Ma ci sono anche bande criminali che li catturano, li torturano per avere un riscatto. Le donne finiscono spesso nella prostituzione o fanno le domestiche in condizioni di quasi schiavitù. Soprattutto il governo Saudita li rimpatria spesso forzatamente (20 mila solo nel dicembre 2022), dopo mesi di carcere, dove qualcuno muore per il “trattamento”. Al loro rientro l’amico governo etiope li deporta in Afar o nelle più povere regioni dell’Oromia. Molti semplicemente scompaiono. Anche quando trovano lavoro fra i sauditi questi immigrati vengono sfruttati senza pietà, il passaporto viene ritirato ecc. (nota 5)

Rotta verso gli Usa

Intorno al 2014 il Brasile allentò le misure di controllo per chi entrava dall’Africa. Molti giovani africani ne approfittarono negli anni successiv,i per coprire poi con mezzi di fortuna gli 11 mila km che li separavano dal confine Usa. Ma passare il confine Usa è stato estremamente difficile. In particolare con la presidenza Trump, che ha imposto feroci restrizioni. Non parlando spagnolo, i migranti africani furono presi di mira dalle bande criminali messicane, molti ammazzati o schiavizzati nella indifferenza generale (nota 6)

La rotta verso l’Europa

Fiorente fino alla guerra di Libia, la rotta verso l’Europa è diventata molto più difficile. Solo gli Eritrei tentano ancora. Raggiungono Kassala o il campo profughi di Shagrab in Sudan oppure il campo di Mai Aini in Etiopia. Una volta raggiunta Khartoum, i migranti attraversano il deserto verso la Libia con i pick-up. La durata media del viaggio dal paese di origine è di 15 mesi. Il tempo medio di permanenza in Libia per i migranti del Corno d’Africa (la maggior parte eritrei) è di tre mesi. L’altra rotta attraverso il Sudan fino in Egitto, si è via via ridotta a causa del numero di morti fra deserto da attraversare e bande vhe li aggredivano e torturavano. Tra il 2017 e il 2021 dal Corno d’Africa sono arrivati tramite Libia in Europa più di 200 mila immigrati. Nel 2022 6.500.

In Italia gli Eritrei sono arrivati in due ondate migratorie consistenti nel 1974 (colpo di stato di Mengistu), ma furono registrati come etiopi, e negli anni ’90 e poi nel 2015. Nel 1960 vennero rimpatriati un certo numero di eritrei di padre italiano, ma non sempre riconosciuti. Lo stato italiano non ha mai riconosciuto loro la cittadinanza come per i discendenti degli emigrati latino americani. Gli eritrei assieme ai cinesi sono gli unici stranieri alla terza generazione. Quelli registrati sono passati dai 9 mila del 2006, ai 13.400 del 2010 ai 9.500 del 2015. Le cifre sono relativamente significative perché rispetto all’anno precedente sono il risultato per sottrazione di quelli che ottengono la cittadinanza e di quelli che dall’Italia vanno in Europa; per aggiunta di quelli che arrivano. (nota 7)

Gli Etiopi

Difficile fare la storia della loro emigrazione perché fino al 1991 furono registrati assieme agli eritrei (sic). A differenza degli eritrei veri appena possibile hanno preso la cittadinanza italiana, quindi sono usciti dalle statistiche. Interessante che dal 1935 furono ordinati sacerdoti cattolici etiopi. Erano 6700 nel 2006 , 8600 nel 2020, 8 mila nel 2015 e 6,100 nel 2021. E’ una comunità a prevalenza femminile (badanti). Gli uomini soli vogliono emigrare in Germania. Le richieste d’asilo sono poche e quindi accolte all’85%.

I Somali in Italia sono circa 10 mila, 2 mila vivono a Roma. All’arrivo i rifugiati somali ottengono il permesso di protezione sussidiaria. Nient’altro. I passaporti somali sono ritenuti idonei per entrare in Italia.

Rimandiamo ad altro artciolo una nota sulle associazioni politiche dei migranti e rifugiati del Corno d’Afrivca e della selva di onlus e ong che gravitano intorno a loro.


APPENDICE UMORISTICA MA NON TROPPO

Raccontò di Menghistu, un giovane amarico, da molti anni in Italia e già studente d’ingegneria a Roma : “La mattina dopo il mio arrivo nel carcere di Palermo bussai alla porta perché volevo il sottocapo. Una guardia si affacciò allo sportello e appena mi vide: ‘O Santa Rosalia’ esclamò? Mandarmi pure chiste cà, ora! … Nu negro…’ ‘Ho bisogno urgente’ gli spiegai ‘di parlare col sottocapo. Me lo chiami per favore’. Ma quello mi guardava scuotendo la testa: ‘Ecchi  o’ capisci iddu?’ ‘Ma io parlo bene l’italiano’, insistei ‘desidero parlar subito col sottocapo’. Macché! Allora si era messo in testa che dovevo parlare moresco, e a tutte le mie spiegazioni non sapeva replicare altro che: ‘Ecchi o’ capisci iddu? Oh Bedda Madre! O Santa Rosalia! Ecchi o’ capisci iddu?’ E alla fine si decise a chiamare un’altra guardia: ‘Vieni a’ccà. Vidi tu siddu poi capire a chisti cristianu.’ Quello era più sveglio. Si affacciò allo sportello: ‘Cosa volere? Dire pure […]’ ‘Avrei bisogno urgente di parlare al sottocapo’, ripetei. ‘Fesso’ fece allora quello rivolto al collega ‘Ma non senti che parla italiano meglio di te?’, ‘Davvero? Oh Santa Rosalia! […]’ E solo da quel momento, come se gli si fossero sturati gli orecchi, riuscì a riconoscere nella mia voce delle parole corrispondenti alla lingua sentita tutti i giorni.


NOTE:

Nota 1) https://publications.iom.int/system/files/pdf/EHoA-Region-on-the-Move-2021_4.pdf

Nota 2) https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-01/quo-013/corno-d-africa-morsa-mortale.html

Nota 3) https://archivio.caritas.it/materiali/Mondo/Africa/campagna_corno_sahel/dossier_diritti_risorse_corno.pdf
Renzi visita diga Salini-Impregilo in Etiopia – Economia – ANSA

Nota 4) https://frontierenews.it/2013/01/etiopia-il-massacro-dei-contadini-contro-la-diga-delle-multinazionali-italiane/

Nota 5) https://nena-news.it/migranti-in-trappola-tra-yemen-e-arabia-saudita/
https://www.avvenire.it/mondo/pagine/arabia-saudita-deporta-etiopi-amnesty-international-denuncia

Nota 6) https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/migranti_africa-stati_uniti_la_nuova_rotta_delle_migrazioni

Nota 7) https://www.nuoveradici.world/attualita/tekle-gli-eritrei-che-sono-gia-alla-terza-generazione/ https://inmigration.caritas.it/sites/default/files/docs/2021-05/Eritrea.pdf

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