(Viglongo, 1916 – Milano, 1999), operaio
Chi è Giulio Seniga?
Pietro Secchia, di cui Seniga fu il braccio destro nel PCI, nel suo archivio lo definì un degenerato politico, un provocatore, un bandito, un avventuriero, un nemico del partito, un diffamatore, un ricattatore, un volgare malfattore, un ladro, un traditore, un calunniatore, un mascalzone, una canaglia, uno squilibrato, un disonesto, un megalomane, un losco.
La credibilità di uno stalinista come Secchia, abituato alle calunnie più infami, è nulla. La vita e la biografia di Seniga dicono ben altro.
Nato nella Bassa Cremonese in una famiglia del proletariato agricolo, giovanissimo entrò in fabbrica all’Alfa Romeo; comunista e antifascista, dopo l’8 settembre 1943 passò in clandestinità; andò al comando militare di Milano per organizzare la distribuzione delle armi. Riparò in Svizzera e nel 1944 rientrò in Italia, inquadrato nelle Brigate Garibaldi dell’Ossola. Alla caduta della Repubblica, il 21 ottobre 1944 con alcuni partigiani del suo reparto tra cui Aurelio Staletti “Luca” mise in salvo a Iselle un convoglio ferroviario di metalli pregiati e bombole di mercurio conducendolo fino a Briga prima che i tedeschi se ne impossessassero. Dalla Svizzera rientrò in Italia attraverso i passi alpini, al Cingino precipitò per cento metri (un volo che divenne il “salto del Nino”) riportando gravi fratture. Il medico partigiano Ruggero Ascoli e i guardiani della diga lo nascosero in una baita a 2.200 metri di altezza dove rimase fino a gennaio 1945, per poi scendere a valle.
Nel 1947 venne chiamato a Roma da Pietro Secchia con l’incarico di svolgere attività segrete (ubicazione dei nascondigli in caso di avversità e accumulo di ingenti fondi illegali provenienti dall’URSS). Schifato dall’involuzione del partito e dall’imborghesimento del gruppo dirigente del PCI, visse i continui compromessi e la moderazione del partito come un tradimento verso la base che credeva sinceramente nella Rivoluzione; pervaso da una forte ingenuità, che lo accompagnerà sempre, Seniga credeva addirittura che Secchia potesse seguirlo in un atto di rottura.
Il 25 luglio 1954 abbandonò Roma con “armi e bagagli” portando con sé documenti, tra cui gli appunti raccolti da Secchia a Mosca alla fine del 1953 e censurati dal PCI (recuperati nel cestino dei rifiuti, preziosa testimonianza delle difficoltà economiche dell’Urss e delle nascenti critiche al culto della personalità), e fondi di provenienza sovietica. Nella sua temeraria azione fu accompagnato dalla sua compagna di vita e di lotta Anita Galliussi (figlia di Sante), l’autrice de I figli del partito.
Con la pubblicazione delle Lettere ai compagni e del giornale «Azione Comunista», che uscì anche grazie ai fondi prelevati da Nino provenienti dall’URSS (il che paradossalmente impedì alla cricca togliattiana di accusare i dissidenti di essere finanziati dalla CIA…), Seniga venne affiancato da vecchi “sinistri” da sempre sospettati di eresia (i comunisti dal ‘21 Fortichiari e Mario Noè), un comandante partigiano (Luciano Raimondi), un dirigente sindacale (Emilio Setti) e molti giovani partigiani e militanti delusi dal PCI, tra cui si distinse il gruppo della Bovisa con Staletti. In quattro anni di vita del movimento, di cui i primi due “clandestini” ed ancora all’interno del PCI (le espulsioni arriveranno nel ‘56), il passaggio più significativo fu senz’altro la la convergenza tra quattro gruppi rivoluzionari: il Partito Comunista Internazionalista – Battaglia Comunista, i trotzkisti della Quarta Internazionale, i Gruppi Anarchici di Azione Proletaria (GAAP) oltre ovviamente ad Azione Comunista; gli ultimi due gruppi si fusero dando vita al Movimento della Sinistra Comunista (MSC).
I contrasti fra le anime del Movimento e le contrapposte visioni sulla prospettiva e gli aspetti politico-organizzativi emersero in breve tempo. Seniga era contrario alla costituzione di un partito rivoluzionario (voluta in particolare dai militanti provenienti dalle fila dei GAAP, guidati da Cervetto, Parodi ed Aldo Vinazza), convinto di trovare spazi di manovra agendo verso i proletari ancora inquadrati nei partiti della sinistra parlamentare; in tal senso privilegiò incursioni nella base del PCI con l’obiettivo di creare fratture con la dirigenza togliattiana, ed azioni su obiettivi immediati, convinto vi fossero spazi in termini di miglioramento delle condizioni di vita dei proletari, pur in un quadro di sviluppo capitalistico.
Nel 1958 Seniga venne messo in minoranza e si trovò fuori dal Movimento assieme a Pier Carlo Masini, intellettuale ex anarchico ormai approdato a posizioni apertamente socialdemocratiche.
L’impegno di Seniga proseguì con la fondazione della casa editrice “Azione Comune”, che permise di tradurre numerosi testi del comunismo eretico mondiale e dell’anarchismo, oltre ad altri di denuncia dei crimini dello stalinismo.
A questo punto del suo percorso virò decisamente fuori da ogni prospettiva rivoluzionaria entrando in contatto con ambienti vicini al PSI ed alla socialdemocrazia: un destino che lo accomunò ad altri rivoluzionari dissidenti (basti pensare solo alle storie personali, seppur diversissime tra loro, di Luigino Repossi, Mario Lanfranchi, Carlo Andreoni), così come a riformisti provenienti dal PCI che rivoluzionari non lo erano mai stati (i filo – jugoslavi Magnani e Cucchi dell’Unione Socialista Indipendente cui approdò Lanfranchi, il gruppo di intellettuali usciti dal PCI dopo Ungheria ‘56).
Negli anni ‘60 Seniga approdò definitivamente all’ossimoro di “riformista rivoluzionario”, comunque fuori dal campo rivoluzionario.
Del Seniga delle origini rimasero solo la grinta, il coraggio, l’abnegazione ma anche una dose altissima di ingenuità e incoscienza, che lo portarono a contatti pericolosi con individui del calibro di Federico Umberto D’Amato, uomo dei Servizi cui comunque non rivelò nulla: nel suo percorso rimase onesto, non cedendo alle tentazioni di rivelazioni scandalistiche, per non prestarsi all’opera del nemico di classe; quando si accorse o sospettò di essere in contatto con elementi equivoci e reazionari, non esitò a sganciarsi o mantenere uno stretto riserbo.
Successivamente militò nel PSI e nell’Unione Democratica Amici d’Israele.
FONTI: G. Seniga, Credevo nel partito, a cura di M. A. Serci e M. Seniga, BFS, 2011