BONCIANI, Alberto “Grandi”

(Firenze, 1901 – Mosca, 1933), Elettricista

 

Spesso confuso con Alfredo (n. 1874 a Signa), già giovanissimo venne più volte arrestato e fermato. Il 22 luglio 1930 fu incaricato dal partito, assieme ad Angelo Gallori e Faliero Focacci, dell’esecuzione della spia Armido Cadente, ex comunista fiorentino arrestato, che aveva stipulato il “compromesso” col questore Cammarota (quello che nel 1926 aveva arrestato Onorato Damen); ovvero, Cadente era divenuto “informatore organico” dell’OVRA, causando arresti a catena e lo smantellamento delle cellule comuniste nel capoluogo toscano. Il 22 luglio 1930 Cadente fu convocato dai tre in un magazzino abbandonato fuori città col pretesto di una riunione clandestina, e finito a sprangate. Venne diffusa ad arte la notizia che Cadente fosse espatriato clandestinamente e la polizia ci credette, tanto che il suo nome finì per essere iscritto nella rubrica di frontiera. Solo dopo undici mesi si scoprì la verità, col ritrovamento del cadavere quasi irriconoscibile, verde di muffa e rosicchiato dalle talpe.

Bonciani riparò in URSS, dove si fece chiamare “Grandi” nonostante fosse un mingherlino. Lavorava come elettricista alla Kaganovič, la fabbrica di cuscinetti a sfera costruita dalla RIV della famiglia Agnelli. Nelle riunioni degli emigrati esternò le proprie critiche al regime sovietico, dichiarando tra l’altro che i dirigenti del partito e del governo rappresentavano una “borghesia rossa” e non avevano istituito la dittatura del proletariato ma sul proletariato. Finì per essere segnalato ed espulso dalla sezione italiana del partito russo. Nella primavera del 1933 perse il posto di lavoro in quanto si era addormentato durante un turno e tre motori erano bruciati. Negatagli la possibilità di ricongiungersi con moglie e figlioletta lasciati a Firenze, alla fine del 1933 si presentò all’ambasciata italiana a chiedere un visto per rientrare in Italia. L’ambasciata prese tempo, su di lui pendeva un mandato di cattura per l’omicidio di Cadente, poi da Roma arrivò il “sì” al visto, ma il Grandi, inaspettatamente, ci ripensò. Il 10 dicembre 1933 venne convocato per un “chiarimento” all’hotel Krasnij Majak; entrò nella stanza 217 e si trovò di fronte Luigi Capanni, Giovanni Bertoni (Faenza, 1906 – Montevideo, 1964) e l’italo americano Anselmo Pera “Il genovese”; ferito a coltellate Bonciani riuscì a fuggire ma perdeva troppo sangue e morì cinque giorni dopo. Grazie ad una finlandese che aveva riconosciuto Capanni e Bertoni mentre fuggivano, i due vennero arrestati ma se la cavarono con pene lievi.

Almeno due dei sicari di Bonciani vennero a loro volta stritolati dalla macchina di morte sovietica.

Il gangster Pera finì nelle purghe e venne giustiziato poco più che trentenne nel GULag di Cibiu.

Bertoni nel 1938 venne inviato in Spagna a reprimere anarchici, poumisti e dissidenti trotskisti durante la guerra civile. Alla fine della guerra, a tutti gli effetti spia del NKVD, si sposò con la spagnola Africa De Las Heras detta “Patria”, pluridecorata spia e cinica stalinista, i due andarono a vivere a Montevideo dove svolsero attività di spionaggio. Bertoni, che si farà chiamare Valentino Marchetti, agli inizi degli anni ’60 avanzò timidissime critiche all’URSS, Patria a quel punto lo accusò di deviazionismo e titoismo. Quattro anni dopo Bertoni improvvisamente morì in casa, col sospetto che non si trattasse di cause naturali: come noto, il KGB da sempre usa veleni che non lasciano tracce.

 

FONTI: memoriaitalia.it; M. Canali, Le spie del regime, Il Mulino, 2004; Italiani vittime di Togliatti e dello stalinismo, Massari 2019

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