Pubblichiamo la sintesi di un articolo scritto da Satarupa Chakraborty (*) e pubblicato su Peoples’ Dispatch il 16 marzo 2021.
Dal rapporto dell’Economic and Political Weekly risulta che in India ci siano più di 50 milioni di lavoratori domestici, una forza lavoro costituita per oltre il 75% da donne. (Le stime ufficiali del governo sono di 3,9 milioni, ci cui 2,6 milioni donne.)
A Bangalore, capitale del Karnataka, uno stato dell’India meridionale, ci sono circa 400.000 lavoratori domestici, una grossa quota della forza lavoro della città. Il loro lavoro non è tuttavia riconosciuto, e così sono privati dei diritti lavorativi, di condizioni di impiego regolari e del rispetto, un fatto che è emerso con ancora maggiore evidenza dall’inizio della pandemia.
I lavoratori migranti dell’India, che si spostano dalle aree rurali a quelle urbane in cerca di un’occupazione remunerativa, mantengono le proprie famiglie nei villaggi con rimesse che rappresentano gran parte del loro salario. Essi vivono in anguste baracche fatte di teloni e lamiere, in una città tentacolare con costi e distese crescenti.
In India non esiste una legislazione nazionale che garantisca ai lavoratori domestici condizioni di impiego regolari, un salario minimo e condizioni di lavoro decenti. Le lavoratrici sono spesso alla mercé dei loro datori di lavoro, il che può significare minacce, intimidazioni e violenza; non sono riconosciute alla maggior parte dei lavoratori domestici il riposo settimanale, festività o ferie retribuite, anzi nei giorni di festa il loro lavoro aumenta fortemente. Inoltre non hanno diritto a nessun sussidio sociale ed economico da parte dello stato.
La segretaria generale del sindacato dei lavoratori domestici, affiliato al CITU (Centre of Indian Trade Unions) riferisce che le minacce di violenza più comuni emergono quando una lavoratrice chiede un aumento del salario o si rifiuta di svolgere compiti diversi da quelli concordati nelle trattative verbali al momento dell’assunzione, o quando una lavoratrice resiste agli abusi sessuali del datore di lavoro maschio. Intimorite dalla minaccia che il datore di lavoro possa sporgere una denuncia di furto alla polizia contro di loro (anche se sono innocenti), la maggior parte delle lavoratrici domestiche evitano di sporgere denuncia, temendo di perdere il lavoro, ritorsioni su di loro o sulle loro famiglie da parte dei datori di lavoro.
La lotta dei sindacati e delle organizzazioni per salvaguardare i diritti e la vita dei lavoratori domestici ha spinto il governo centrale a introdurre nel 2017 la Legge sui lavoratori domestici (Regolamentazione del lavoro e Previdenza Sociale).
Non solo il loro lavoro è invisibile, ma loro stessi sono visti come persone subumane.
Occorre combattere questa mentalità e le pratiche disumane che ne derivano con una lotta organizzata delle lavoratrici domestiche per risolvere le loro angustie quotidiane e far progredire la loro vita sociale.
(*) Satarupa Chakraborty è un’attivista della AllIndia Democratic Women’s Association (AIDWA). È una Globetrotter/Peoples Dispatch fellow e una ricercatrice al Tricontinental: Institute for Social Research ed è attualmente basata nell’ufficio di Nuova Delhi in India. Sta anche conseguendo un dottorato di ricerca in filosofia all’Università Jawaharlal Nehru (JNU) in India.