Nel marzo 2015, l’allora presidente del consiglio Matteo Renzi, a Sharm El Sheikh, dichiarò: «L’Egitto è un’area straordinaria di opportunità. Abbiamo fiducia nell’Egitto e nella sua leadership, nelle sue riforme macroeconomiche ambiziose: sosteniamo la sua missione in favore della prosperità e della stabilità».
Nel gennaio 2016, a poche settimane dal rapimento e uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni, le lodi per regime di Abdel Fatah al-Sisi vennero tessute anche dall’Ente Italiano per il commercio con l’estero: «Il processo di stabilizzazione politica, che ha visto nell’elezione del presidente Abdel Fattah al Sisi il suo momento culminante, si sta riverberando positivamente sull’economia dell’Egitto. … nuove e interessanti opportunità per le nostre imprese».
Una “stabilizzazione politica”, ottenuta con il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori egiziani, provocato dalle riforme richieste dal Fondo Monetario Internazionale per un prestito da 12 MD di $, e con una feroce repressione (nota 1).
Il caso Regeni è la punta di un iceberg di quella violenta e brutale repressione che il regime egiziano attua “normalmente” per, appunto, “stabilizzare”, impedire le rivolte popolari contro le ingiustizie a esso perpetrate.
La tragedia di Regeni ha rivelato pubblicamente questa realtà, già ben nota e nascosta ad arte dalla diplomazia degli stati che hanno interesse a mantenere rapporti economici e politici con un paese di importanza strategica internazionale come l’Egitto: oltre cento milioni di abitanti, snodo tra l’Africa e il Medio Oriente – tra la Libia, la penisola arabica, Israele e la Giordania, e fondamentale per gli equilibri in Libia; alleato dell’Arabia Saudita.
L’Egitto attira i capitali esteri, perché offre opportunità di profitti per i suoi grandi progetti infrastrutturali.
Zone industriali e portuali lungo il canale di Suez appena raddoppiato, un nuovo triangolo industriale sul Mar Rosso, chiamato “Triangolo d’Oro” ricco di risorse minerarie (nota 2), e infine nuovi centri urbani e industriali sulla costa mediterranea intorno a El Alamein.
Per quanto riguarda l’Italia, le risorse energetiche dell’Egitto interessano alquanto uno dei maggiori gruppi nazionali, l’ENI, L’Ente italiano per gli idrocarburi, che nel Paese ha investito quasi 14 miliardi di dollari, estraendo petrolio nel deserto occidentale e gas dal giacimento di Nooros, delta del Nilo, dopo aver scoperto nel 2015 (l’anno delle lodi di Renzi!) un nuovo giacimento, offshore, Zhor, in una zona di sua concessione nelle acque egiziane del Mediterraneo, le cui riserve stimate sarebbero di 850 miliardi di m3.
L’Eni è solo il capofila della corsa dei capitali italiani ad investire in Egitto. Tra questi i gruppi più noti sono Edison (2 MD di investimenti); Banca Intesa San Paolo, che si è inglobata Bank of Alexandria, pagata 1,6 MD$; Gruppo Caltagirone, Danieli Techint, Italcementi, Italgen, Pirelli; e nel turismo Alpitour, Valtour. In totale sono presenti circa 130 imprese italiane, di servizi, trasporti e logistica impiantistica.
E poi… E poi al-Sisi ha lanciato in un grosso programma di riarmo, con il sostegno finanziario anche dagli alleati del Golfo.
Il riarmo egiziano è da inquadrare nella regione MENA (Medio Oriente-Nord Africa) dove è in corso un riassetto degli equilibri di potere, con l’asse Egitto-Golfo in competizione con Turchia e Qatar. La nuova flotta egiziana vorrebbe assicurarsi il controllo del Mediterraneo orientale, dove è in costruzione una seconda base aeronavale, vicino al confine libico, dopo quella di Ras Banas nel Mar Rosso.
Questo programma di riarmo alletta ovviamente i maggiori produttori di armamenti, Stati Uniti, Russia e Francia, e anche l’Italia, senza differenza alcuna nei governi successivi a quello del Pd renziano, Conte 1 con Cinquestelle e lega, e Conte 2 con PD e Cinquestelle. L’Italia sta per accaparrarsene una bella fetta, 9 MD$, per fregate Fincantieri Fremm (6, di cui 2 sarebbero già certe, e le altre da confermare), e forse anche per una ventina di pattugliatori, 24 cacciabombardieri Tifone, e aerei da addestramento Macchi M-346. Leonardo ha già venduto una ventina di suoi elicotteri da guerra, AW149.
Armi ad una dittatura, armi nonostante il pubblico sdegno e le pubbliche accuse, per il caso Regeni prima e ora contro la prolungata detenzione di Patrick George Zaki, il ricercatore egiziano che lavora presso in Italia, presso l’Università di Bologna.
Delle licenze all’esportazione di armamenti approvate nel 2019 dal governo italiano, la quota maggiore, pari a oltre 1/5 del totale, è costituita da quelle per l’Egitto, valore 871,7 milioni.
È in progetto una cooperazione su larga scala Italia-Egitto nell’industria militare, già concretizzata con la firma di «nove memorandum d’intesa», compresa la realizzazione di una «unità logistica integrata» al Cairo.
Nel dibattito sulla liceità morale della vendita di armamenti a regimi autoritari, la scelta di farlo viene in qualche modo ipocritamente giustificata dal fatto che altre potenze “democratiche”, come Francia e Germania, oltre alla Russia, hanno già concluso accordi in questo campo con al-Sisi. Leggi: non dobbiamo rinunciare a fare affari, perché in ogni caso quelli che non facciamo noi ce li soffiano i nostri concorrenti.
Questa la conclusione di fatto dell’immorale imperialismo di casa nostra, dopo le rimostranze di facciata sui diritti umani!
Note:
Nota 1: Per una sintesi di queste riforme cfr. scheda precedente: 210126LE PROTESTE PREOCCUPANO ANCORA IL REGIME EGIZIANO.docx
Nota 2: Il Triangolo d’Oro, con una superficie di oltre 155 chilometri quadrati, si trova sulla strada costiera che collega i confini orientali dell’Egitto da Nord fino a Sud, ed è collocata tra il governatorato del Mar Rosso, a Est, e il governatorato di Qena, a Ovest, con un lungomare di 80 chilometri va da Safaga e a al -Qusayr. Secondo il rapporto di un’Agenzia governativa egiziana, l’area del Triangolo d’Oro contiene minerali di ferro, rame, oro e fosfato, pari al 75% di tutte le risorse minerarie dell’Egitto. Le riserve aprono la strada a numerose opportunità di investimento nella costruzione di nuove fabbriche. A capo del governatorato del mar Rosso c’è il generale Ahmed Abdullah.