Pubblichiamo una scheda informativa sul conflitto interno all’Etiopia e sull’intervento delle potenze nella regione.
Fonti: Bbc 12,14,15 nov. 2020/Al Jazeera, 11,12 nov. 2020/Amnesty International 12 nov. 2020/Quartz, 13 nov. 2020
Sulle relazioni Italia-Etiopia rimandiamo a questo articolo.
Lo scontro tra il Partito al governo nella regione etiope ribelle del Tigrai (Nord Etiopia), il Fronte di Liberazione del Popolo del Tigrai (FLPT) (nota 1), e il governo federale etiope del primo ministro Abiy Ahmed, si è intensificato lo scorso settembre, quando Abyi ha dichiarato illegale le elezioni regionali in Tigrai, indette nonostante il divieto imposto a causa della pandemia Covid.
Centinaia le vittime degli scontri, con massacri di civili. Il governo regionale di Ahmara riferisce di 500 vittime civili, per lo più lavoratori a giornata suoi cittadini.
Le profonde divisioni interne offrono la possibilità di interferenza alle potenze regionali e globali interessate.
Da un rapporto di Amnesty International risulta che il 9 novembre “decine, se non migliaia di persone sono state colpite a morte con pugnali o machete, nella città del Tigrai di Mai-Kadra, per opera delle Forze di Polizia Speciale del Tigrai e altre milizie del Fronte, sembra dopo una sconfitta militare da parte delle forze dell’esercito etiope e delle Forze speciali di Ahmara.
In precedenza il FLPT aveva minacciato la secessione, in base alla Costituzione federale che riconosce il “diritto incondizionato all’autodeterminazione, compreso il diritto alla secessione” (nota 2). Ad ottobre il parlamento etiope ha tagliato i fondi di assistenza al Tigrai, e ha tolto l’immunità a 39 suoi membri, tra cui il presidente della regione del Tigrai Debretsion Gebremichael, come pure a Getachew Reda, un alto funzionario del FLPT.
Il governo centrale vuole contenere a tutti i costi le rivendicazioni secessioniste del Tigrai per non stabilire un precedente per le altre regioni, con il rischio di una balcanizzazione dell’Etiopia.
I soldati del Tigrai sono esperti e conoscono bene il terreno montuoso, motivo per cui il conflitto potrebbe non concludersi così velocemente come dichiarato da Abyi. Preoccupati per la possibilità che il conflitto destabilizzi l’intera regione strategica e vulnerabile del Corno d’Africa, Regno Unito e Unione Africana hanno chiesto ad Abiy un allentamento della tensione, ma quest’ultimo non accetta la loro mediazione. Il FLPT ha emesso un’obbligazione per raccogliere i fondi in preparazione allo scontro militare.
La ripresa degli scontri ha messo in fuga almeno 17mila civili verso il confinante Sudan, e si prevede che potrebbero raggiungere i 200mila. L’Onu sta chiedendo l’apertura di un corridoio umanitario per rifornire i rifugiati di cibo, medicinali, e generi di emergenza.
Nel Nord Etiopia ci sarebbero già 100mila profughi interni e 600mila persone che dipendono dagli aiuti alimentari umanitari.
Sono stati interrotti i servizi internet e dei cellulari; chiusi gli aeroporti del Tigrai, si registra già penuria di farina e combustibili e di acqua, che viene razionata; danneggiata una centrale elettrica, chiuse le banche.
L’Etiopia, uno stato federale secondo più popoloso dell’Africa con 110 milioni di abitanti, e diviso in 80 gruppi etnici di cui quattro maggiori (Oromo il maggioritario con circa 1/3 degli abitanti, Amhara, Somali e Tigrini) è uno dei paesi africani a più veloce sviluppo, ragione per cui gli eventi al suo interno hanno un impatto sulla intera regione, Somalia, Sud Sudan ed Eritrea, quest’ultima confinante con il Tigray. È in già in atto una contesa tra Etiopia ed Egitto per la costruzione della Grande Diga del Rinascimento Etiope, una grande centrale idroelettrica che, secondo il Cairo, rappresenta una minaccia esistenziale perché potrebbe modificare il flusso del Nilo da cui dipende l’Egitto.
Sotto il precedente governo di coalizione, che ha governato il paese per 27 anni fino al 2018, l’economia è cresciuta di quasi il 10% all’anno per circa due decenni. (crescita media del 10,8% nel decennio 2004-2014 e +9% nel 2018-2019 – World Bank).
Ma questo veloce sviluppo è stato accompagnato da un pesante costo sociale, scatenando negli ultimi anni proteste di massa contro l’accaparramento delle terre, gli sfratti e le demolizioni di case. Più del 25% della popolazione etiope vive ancora con meno di due dollari al giorno.
Lo scontro del governo centrale con il Tigrai rischia di indebolire il fronte di lotta del governo eritreo e somalo contro i guerriglieri di al-Shabab, consentendo loro di riunirsi e riprendere gli attacchi.
Il primo ministro etiope, Abiy Ahmed (nota 3) è alleato del despota dell’Eritrea, Isaias Afwerki, contro il FLPT. Il partito FLPT ha a lungo controllato la politica etiope, compreso il periodo della sanguinosa guerra con l’Eritrea, che causò migliaia di vittime; esso ebbe un ruolo fondamentale nella destituzione di Mengistu.
Quando nel 2018 Abyi salì al potere, concludendo formalmente la sanguinosa guerra contro l’Etiopia (nota 4), introdusse importanti riforme tese a indebolire il potere delle regioni: nel 2019 sciolse la coalizione di governo (EPRDF) composta da 4 partiti regionali su base etnica – e in cui predominavano esponenti del Tigrai, nonostante la regione rappresentasse solo il 6% della popolazione globale – e li riunì in un solo partito nazionale il Prosperity Party (PP), al quale il FLPT non volle aderire.
Abyi ha accusato di corruzione e violazioni dei diritti umani i funzionari di precedenti governi, e ha destituito dal governo centrale alcune figure chiave del FLPT, tra cui il capo dell’intelligence, ha fatto arrestare eminenti membri dell’opposizione, tra cui Jawar Mohammed, un leader oromo (nota 5) assurto a livello nazionale, e ha nominato un nuovo leader per la regione.
Il governo di Abiy intende modificare il modello di sviluppo di tipo statalista aprendo al capitale privato; in questo contesto ha avviato il processo di privatizzazione del settore delle telecomunicazioni, il più grande monopolio mondiale del settore.
Ci sono forti preoccupazioni in Etiopia e a livello internazionale che la crisi con il Tigrai, nel Nord, possa diffondersi verso Sud in altre regioni politicamente fragili del Paese, tra cui Oromia e Amhara, dove nell’ultimo anno si sono susseguite proteste e attività militanti.
Il Sudan ha offerto la propria mediazione tra FPLT e governo federale; quest’ultimo tra le condizioni per un cessate il fuoco, chiede gli vengano consegnati, perché siano processati, i leader del Tigrai dichiarati fuorilegge.
Questo, in un momento in cui, a causa della crisi globale del coronavirus, è già in atto una pressione sulla solvibilità del paese, avrebbe un impatto significativo sull’economia nazionale, in particolare sul cambio estero, che è stato uno dei maggiori vincoli alla crescita.
Ad inizio 2020 il PIL del paese era già in rallentamento; poi con la crisi Covid l’FMI ha tagliato le previsioni di crescita dal 6,2% al 3,2%. La crisi politica in corso potrebbe azzerare la crescita.
La Grande Diga del Rinascimento etiope
La Grande Diga del Rinascimento etiope, finanziata da obbligazioni patriottiche, è la più grande centrale idroelettrica dell’Africa e il più ambizioso tentativo di sfruttamento della potenza del Nilo della storia. Il progetto, costo 4,8 miliardi di $, raddoppierà la capacità di generazione dell’Etiopia imprimendo una spinta ulteriore alla più dinamica grande economia dell’Africa subsahariana.
La diga ha creato tensioni con l’Egitto, che teme di perdere il controllo su un corso d’acqua che ha plasmato il suo destino per millenni. La più ampia regione in cui si colloca l’Etiopia, il Corno d’Africa (che comprende Gibuti, Eritrea e Somalia, più l’auto-dichiarata entità indipendente del Somaliland), è oggetto di attenzioni/interferenze, di una serie di potenze tra cui gli Stati del Golfo, l’Arabia Saudita, la Cina, la Turchia e gli Stati Uniti, paesi hanno investito riversato miliardi di dollari in porti, aeroporti, ferrovie, agricoltura e istruzione, proiettando anche le loro rivalità su questa regione già molto divisa.
Investimenti Esteri Diretti (IED) in Etiopia
India e Cina, nel ventennio 1997-2016.
Il principale partner commerciale dell’Etiopia è la Cina sia per le importazioni che per le esportazioni. Il 33% delle merci viene importato dalla Cina e il 16% delle merci viene esportato dalla Cina. Oltre il 60% delle esportazioni etiopi è costituito da prodotti agricoli come il caffè e i semi oleosi. L’11% delle esportazioni è costituito da oro.
L’afflusso di IDE dall’India e dalla Cina ha avuto incremento con un tasso medio dell’82% e del 202%, rispettivamente, in questi due decenni, con fluttuazioni per entrambi i paesi nel corso degli anni.
La manodopera a basso costo è un importante fattore di attrazione per l’afflusso di IDE cinesi.
Secondo le stime della Banca Mondiale, l’Etiopia è una delle economie africane in rapida crescita, con una crescita media del 10,6% negli ultimi decenni e mezzo (World Bank Group 2016).
La crescita dell’Etiopia è stata prodotta dalla modernizzazione agricola, lo sviluppo di nuovi settori di esportazione, la forte domanda globale di materie prime e gli investimenti governativi per lo sviluppo (BM 2012). Il Governo etiope sta attuando la seconda fase del Piano di Crescita e Trasformazione (GTP-II) per il periodo di 5 anni (2015/16-2019/20) con l’obiettivo di trasformare il Paese in un polo produttivo (World Bank Group 2016). L’Etiopia è il secondo paese africano per popolazione, con 99,39 milioni di abitanti nel 2015 (stime Banca Mondiale, BM).
La Cina, seconda economia mondiale, ha un ruolo sempre più importante negli investimenti dell’Africa in generale e nell’afflusso di IED in Etiopia in particolare.
Anche l’India, l’ottava economia mondiale in termini di PIL reale nel 2013 secondo BM, ha un ruolo significativo in Africa in generale, e in Etiopia in particolare per i suoi IED e le relazioni commerciali.
La cooperazione economica tra Cina ed Etiopia è iniziata nei primi anni ’70, ma ha ha preso slancio dopo il 1995, con l’istituzione della Commissione congiunta Etiopia-Cina. Le relazioni economiche tra Etiopia e India, iniziate nel 1948, hanno registrato un significativo progresso solo dopo il 1991, anno in cui è stata introdotta la liberalizzazione economica in Etiopia. Le relazioni si sono ulteriormente rafforzate con l’istituzione dell’Accordo bilaterale di promozione e protezione degli investimenti (BIPPA) nel 2007.
La manodopera a basso costo e abbondante, l’accesso privilegiato ai mercati ad alto reddito e i mercati interni e regionali in crescita aumentano l’attrattività dell’Etiopia per gli Investimenti Esteri Diretti. Ma il loro attuale livello in rapporto al Pil (2,0% del PIL tra il 2004 e il 2014) rispetto a quelli ad es. in Cina (il 3,9% del PIL nel 1991-2010), indica la possibilità di un loro incremento.
Ma lo stock di IED dell’Etiopia è in crescita dal 1995; il Paese è ora il terzo maggiore destinatario di IED in Africa. Il flusso di IED verso l’Etiopia è stato di 146,6 milioni di dollari nel 1997 e l’afflusso annuale di IED ha oscillato tra i 146,6 e i 977 milioni di dollari tra il 1997 e il 2016. L’Etiopia sta attirando capitali asiatici per sviluppare la propria base produttiva. Infatti, gli IED nella manifattura leggera provenienti da Cina, Turchia e India sono la causa principale incremento degli IED in Etiopia.
Nonostante sia un esportatore agricolo, l’Etiopia ha attratto un significativo volume di IED dalla Cina, con una media di 88,5 milioni di dollari all’anno nel 1997-2016, con una crescita media del 202%. Analogamente, l’afflusso di IDE dell’India verso l’Etiopia è stato in media di 40,9 milioni di dollari all’anno per lo stesso periodo, con una crescita media dell’82%. (Analisi propria dei dati della Commissione Investimenti etiope).
Turchia-Etiopia
La Turchia è il secondo maggiore investitore estero in Etiopia, con un capitale di investimento di 2,5 miliardi di dollari, per la maggior parte nel tessile. Attualmente sono presenti in Etiopia più di 150 aziende turche, attive in edilizia, manifattura, agricoltura e chimica.
Sarebbero oltre 30.000 i posti di lavoro creati da questi investimenti.
L’Etiopia, dove la Turchia sostiene scuole e moschee, è per Ankara la prima destinazione africana dei suoi investimenti diretti esteri.
Nel febbraio 2020, il primo ministro Abiy Ahmed ha accettato di collaborare con il governo federale somalo, il principale alleato di Ankara nel Corno d’Africa, invertendo l’annosa di rivalità tra Addis Abeba e Mogadiscio.
Un ruolo importante nelle esportazioni turche è quello delle costruzioni e i prodotti da costruzione.
Note:
Nota 1: Gli abitanti del Tigrai rappresentano circa il 6% del totale della popolazione etiope.
Nota 2: In base alla costituzione del 1995, le regioni autonome – che ora sono 10 – potevano parlare la propria lingua e praticare le proprie usanze. In teoria esse avevano il diritto alla secessione, ma nella pratica la loro autorità venne limitata.
Con l’aumento dello scontento, dal 2015 ci sono state proteste di massa, in particolare negli stati di Oromia e Amhara, i cui abitanti costituiscono rispettivamente circa il 35% e il 27% della popolazione nazionale. Nel corso delle proteste furono uccise migliaia di persone e decine di migliaia arrestate. Per cercare di risolvere la crisi, nel 2018 il governo di coalizione scelse come primo ministro Abiy Ahmed, un Oromo, un colpo inferto ai tigraiani.
Nota 3: Il primo ministro Abyi Ahmed (44 anni, il più giovane primo ministro africano) è un ex capo della sicurezza, su posizioni politiche ed economiche liberiste. Nominato primo ministro ha liberato migliaia di prigionieri politici, ha tolto il divieto ai partiti politici e ha avanzato le proposte di pace all’Eritrea, divenuta indipendente ad inizio anni Novanta, ma in guerra con l’Etiopia dal 1998 al 2000.
Nota 4: La guerra tra Etiopia ed Eritrea del 1998-2000 iniziò per una disputa territoriale lungo quel confine, in particolare nella zona intorno alla città di Badme, il cui status rimane irrisolto. L’Eritrea vuole che l’Etiopia consegni la città, in ottemperanza alla decisione di una commissione di frontiera sostenuta dall’ONU. Questo non può avvenire senza il consenso del Tigrai, che controlla l’area.
Nota 5: L’Oromia è la più ampia regione dell’Etiopia. Gli oromo rappresentano la minoranza musulmana del paese, con il 35%.