Le proteste della popolazione cilena contro l’aumento del costo della vita, iniziate come una manifestazione di studenti, continuano nonostante la repressione ordinata dal presidente Sebastian Piñera, che ha proclamato lo stato di emergenza e imposto il coprifuoco nella capitale Santiago, e in diverse altre città, come Antofagasta al nord, Valdivia al sud, Valparaiso, Temuco e Punta Arenas, facendo scendere in strada le forze di polizia e oltre 10 000 militari, che hanno usato gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili di gomma. Diciotto finora le vittime, oltre 1400 i feriti, e oltre 2500 arresti.
La risposta brutale del governo alle richieste della popolazione ha contribuito ad innalzare il livello della protesta, che da economica è divenuta politica e sociale. «Fuori i militari» le scritte sui muri e sugli striscioni, «Mai più i soldati in strada» gridano i manifestanti, donne in particolare, evocando la feroce dittatura del generale Pinochet (1973-1990).[i]
Il 23 ottobre, nonostante lo stato di emergenza, decine di migliaia di manifestanti hanno partecipato alla più grande marcia dall’inizio delle proteste al centro di Santiago, una mobilitazione indetta da una ventina di organizzazioni sociali e sindacati, che è proseguita il giorno seguente.
Tra i manifestanti una buona quota di giovani.
Dalla scorsa settimana centinaia di studenti hanno invaso diverse stazioni del metro attorno a Santiago, saltando i tornelli in segno di protesta per l’aumento della tariffa, a volte danneggiandoli per esprimere la propria rabbia. In Cile dal tempo della dittatura gli studenti hanno sempre partecipato ai movimenti politici, spesso ponendosi alla loro testa.
A scatenare le contestazioni è stato un secondo aumento del costo del biglietto del metro che, portato ad un equivalente di €1,04 nelle ore di punta (un record per la regione), è divenuto insostenibile per molti cileni.
Si calcola che una famiglia che vive di un salario minimo deve utilizzare 1/6 del suo reddito solo per i trasporti. Il costo dell’abbonamento mensile è di 90 euro circa, contro pensioni da 200 euro (grazie alla loro privatizzazione…).
I media, ma anche i dati di istituzioni internazionali come la Banca Mondiale, ci dicono che il Cile (18 milioni di abitanti) negli ultimi decenni è stato uno di paesi dell’America Latina con maggiore crescita economica, che ha permesso di ridurre la popolazione che vive in povertà (con 5,5 USD al giorno) dal 30% nel 2000 al 6,4% nel 2017. Ma è un livello pari a circa 150 euro al mese, da fame in Italia.
Forte ineguaglianza sociale
Il livello di ineguaglianza sociale relativizza fortemente il significato politico del dato sul tasso di povertà osannato dal governo cileno e dai media internazionali. Secondo i dati Onu, l’1% dei cileni detiene oltre un quarto della ricchezza del paese; dai dati del Ministero dello Sviluppo sociale cileno, per il 2017, il 10 per cento più ricco dei cileni guadagna 39,1 volte più del 10 per cento più povero.
In Cile il livello di ineguaglianza sociale, (come misurata dall’indice GINI) da anni è il più alto tra i paesi OCSE. Assieme a Honduras, Colombia, Brasile, Guatemala, e Panama, il Cile è tra i sei paesi più diseguali al mondo, dopo quelli africani.
Diseguaglianza aggravata dalla recente riforma fiscale introdotta dal presidente miliardario Piñera che abbassa le tasse ai più ricchi per attirare gli investimenti, mentre aggrava l’onere sulle fasce più povere della popolazione, che vedono ridurre la propria capacità di consumo, anche per i bisogni di base.
Ingiustizia sociale molla delle rivolte
Il fattore principale che anche in Cile – come nelle recenti proteste in Ecuador, Peru e Honduras – ha scatenato la rivolta è stato il senso di ingiustizia sociale. Il sentimento che la società in cui si vive, anche se con un governo democratico e non più dittatoriale, è organizzata per premiare una minoranza, sulle spalle della maggioranza, esclusa per gran parte dai dividendi dello sviluppo economico. Secondo un sondaggio due terzi dei cileni ritiene ingiusto che coloro che possono pagare di più abbiano accesso a una migliore salute e istruzione.
Il costo della vita continua ad aumentare, i salari non aumentano, il salario minimo da marzo è di meno di 400€, sanità ed educazione pubblica sono di qualità scandente, 45-50 gli alunni per classe.
Il peggioramento del servizio scolastico è un risultato del neoliberismo avviato durante la dittatura di Pinochet che ha privatizzato quasi tutti i servizi essenziali, e che è sostanzialmente continuato nei quasi 30 anni di governo guidati per la maggior parte dal centro-sinistra.
Il mediocre livello dell’istruzione pubblica è uno degli aspetti della diseguaglianza sociale, perché impedisce alla maggioranza della popolazione di acquisire le competenze necessarie per qualificarsi nel mercato del lavoro. Le fasce povere non sono in grado di mandare i figli all’università o in generale dar loro un istruzione superiore.
Assieme alla privatizzazione di istruzione e sanità sta avanzando anche quella del rifornimento idrico e delle autostrade, con un corrispondente aumento dei costi che spesso richiedono l’indebitamento delle famiglie per usufruire dei servizi base. Sono aumentati i costi delle bollette della luce, dei farmaci, delle assicurazioni sanitarie.
Il presidente Piñera ha giustificato lo stato di emergenza dichiarando «siamo in guerra». Sì è in corso una battaglia, non con i “delinquenti” come Piñera vuole fare credere, ma tra le classi. Tra la borghesia – a cui lui, uno dei cileni più ricchi, appartiene e che rappresenta – e la classe dei lavoratori salariati, che da essa si sentono «spremuti come limoni».
Dopo l’intensificarsi e l’ampliarsi delle proteste, Piñera è stato costretto a modificare in parte il suo approccio puramente repressivo. Pur continuando a rifiutarsi di revocare lo stato di emergenza, il ricorso all’esercito in funzione di ordine pubblico, ed escludendo un rimpasto di governo – ha chiesto in tv “perdono” per non aver compreso la drammaticità della situazione sociale esistente, e ha annunciato proposte per “una agenda sociale di unità nazionale”.
Un segnale anche per i lavoratori e la popolazione cilena che le lotte pagano, a condizione che il sentimento nazionalista non soffochi il senso di giustizia di classe.
[i] Durante la sua dittatura Pinochet si rese responsabile di un vero sterminio di massa, si calcola siano stati uccisi tra 1.200 e 3.200 oppositori, siano stati incarcerate, esiliate o arrestate in maniera arbitraria tra 80.000 e 600.000 persone, i torturati sarebbero tra i 30.000 e 130.000.