Jair Bolsonaro (Nickname: Messiah) prende ufficialmente il potere in Brasile il 1 gennaio 2019, giorno in cui “il popolo ha iniziato a liberarsi dal socialismo, dai valori invertiti, dal gigantismo statale e dal politicamente corretto” (1). Il suo discorso al paese contiene tutti gli argomenti che lo caratterizzano anche a livello internazionale: populismo, razzismo, omofobia, ordine e sicurezza, valori cristiani e moralità, il rifiuto delle ideologie (“la marmaglia rossa… che difende banditi e criminalizza la polizia, …aumenta la violenza e l’insicurezza di tutti, ideologizza i nostri figli, disprezza i diritti umani e la famiglia” finirà in galera o in esilio) (2). Il suo governo garantirà “scuole buone, che preparino i nostri figli al mercato del lavoro e non alla militanza politica”, il superamento del partitismo e della corruzione, la piena tutela della proprietà privata e della legittima difesa, la meritocrazia, “la valorizzazione e il sostegno al lavoro delle forze di sicurezza”; una politica estera che andrà “ a togliere l’inclinazione ideologica delle nostre relazioni internazionali” e proclamerà la leadership indiscussa del Brasile in America Latina.
Bolsonaro ha vinto le elezioni con il 55,2% di preferenze e si trova a governare con un parlamento estremamente semplificato: alla camera si contano 25 partiti, al senato 30, ma tutti di piccole dimensioni. Poiché i partiti che hanno meno di 10 rappresentanti non godono di finanziamenti federali, sta avvenendo una massiccia migrazione di eletti verso i partiti maggiori (3). Bolsonaro (4) mira a ridurre il potere dei partiti, privilegiando contatti e rapporti politici trasversali ad essi, sulla base di interessi. Privilegia insomma le ‘bancadas’ (lett. tribune del parlamento, che vanno ad identificare una coalizione politica) come interlocutore politico. Viceversa le bancadas hanno già oggi il potere di indicare ministri o porre il veto su altri.
La figura di Bolsonaro ha permesso alla grande borghesia di posizionarsi direttamente nei ranghi più elevati del potere: il Brasile è oggi in mano ad un governo di latifondisti e impresari della filiera agroalimentare, di grandi imprenditori e magnati, di militari torturatori, di uomini legati al potere finanziario e alla chiesa evangelica.
L’atto istituzionale n. 1 di Bolsonaro: attacco alle pensioni, al salario minimo, alle popolazioni indigene
Se il discorso inaugurale del suo mandato ha esplicitato una politica reazionaria diretta contro la classe lavoratrice e i settori più poveri e socialmente fragili del paese, il primo atto politico non lascia più dubbi sulla vocazione di estrema destra del presidente e sul futuro che dovrà affrontare il proletariato brasiliano.
Bolsonaro ha fretta di mostrare alla borghesia risultati immediati: il primo giorno di governo annuncia 50 misure per “sbloccare” l’economia nazionale: una dichiarazione di guerra alla classe.
Nel suo primo decreto fissa il salario minimo a R$ 998 (1R$=0,22 euro), inferiore al già basso valore stabilito nel Bilancio dell’Unione per il 2019 (R$1006) (5). L’istituto DIEESE ha calcolato che oggi il salario minimo per il mantenimento di una famiglia di 4 persone dovrebbe essere di R$ 3636.
Nello stesso decreto stabilisce che la demarcazione delle terre indigene e la riforma agraria siano di competenza del Ministero dell’Agricoltura, cioè dei latifondisti e del capitale agroalimentare, seppellendo il diritto alla terra, alla sussistenza e all’identità delle popolazioni indigene. Questo comporterà più sfollati e deportazioni e più violenza nei territori indigeni ed agricoli, esacerbata dalle nuove disposizioni sul diritto all’autodifesa armata che facilitano la detenzione di armi, soprattutto nelle zone agrarie (il Brasile è leader mondiale per gli assassini contro attivisti delle lotte per la terra).
Immediato è stato l’annullamento della riforma agraria, l’interruzione di tutti i processi di demarcazione delle terre indigene, di registrazione dei quilombo (6) e di distribuzione dei terreni. Benché i finanziamenti dal 2015 per il programma di riforma agraria siano stati ridotti, oggi saranno azzerati. Il responsabile di questo programma è il presidente della UDR (Unione Democratica Ruralista) ed è ben noto ai movimenti sociali per la sua vicinanza con le milizie che attaccano e uccidono i contadini in lotta per la terra.
I contadini e i lavoratori nei campi, già penalizzati dalla Riforma del Lavoro che ha legalizzato il lavoro schiavistico, saranno colpiti anche sotto un altro aspetto: il peggioramento delle condizioni previdenziali andranno ad intaccare una conquista relativamente recente, il diritto alla pensione dopo 15 anni di lavoro. Il nuovo governo introduce norme e condizioni più restrittive per i beneficiari, la diminuzione di fondi di sostegno e del salario minimo.
Nella determinazione a distruggere ogni protezione sociale, una delle vittime è il Consiglio Nazionale di Sicurezza Alimentare e Nutrizionale, organismo preposto ad affrontare il problema della fame, della denutrizione e della cattiva alimentazione; l’organismo era responsabile dei programmi Fame Zero, del Plano Safra per l’agricoltura familiare, del Programma Acquisti di Alimenti dall’agricoltura familiare e della refezione scolastica, tra altre cose.
Ma l’azione principale e più urgente è la riforma della Previdenza, “la madre di tutte le riforme” per la borghesia di tutto il mondo. E’ ritenuta la misura inevitabile e necessaria per affrontare la voragine del deficit di bilancio, di cui l’INSS sarebbe il principale responsabile. Questa tesi è stata ampiamente contestata dagli stessi analisti fiscali, ma la potente campagna mediatica organizzatale intorno ha coperto ogni analisi oggettiva dei dati economici.
Oggi l’importo medio di chi va in pensione per anzianità in Brasile è di 1000 R$, quasi ¼ di quanto spetterebbe a chi ha lavorato per un salario minimo. Il modello proposto, che per aggirare la discussione parlamentare verrà suddiviso in diversi decreti, è quello a capitalizzazione: lo stato mette una miseria, il resto è frutto di un risparmio individuale privatizzato (previdenza complementare). L’ondata di suicidi tra persone malate che questo modello, introdotto da Pinochet, ha creato in Cile, potrebbe servire da monito. Non sarà un caso che il ministro Guedes che ha elaborato la riforma cominciò la sua carriera di economista servendo questo governo assassino.
La riforma innalza l’età pensionabile, pone un’età minima per il pensionamento di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne, età che buona parte dei lavoratori non raggiungerà; diminuisce l’importo pensionistico ed esclude il periodo di malattia ai fini previdenziali. Inoltre per i lavoratori agricoli rende estremamente complicato l’accesso ai contributi dell’INSS.
Con un tale sistema che si basa sui risparmi accantonati, ci si deve chiedere quale risparmio possa avere un lavoratore brasiliano, con la precarietà, la flessibilità, la rotazione lavorativa (primo nel mondo), il lavoro nero e schiavistico, gli incidenti sul lavoro (terzo nel mondo) e l’aspettativa di vita attuale.
La previdenza che vuole Bolsonaro minimizzerà il diritto alla pensione e costringerà il proletariato a lavorare fino alla morte o a morire lavorando.
Che fanno i sindacati?
Bolsonaro ha fatto dichiarazioni chiare in difesa del diritto dei padroni a sfruttare senza limiti i lavoratori, sostiene anche che i datori di lavoro attualmente siano “soffocati” dal costo del lavoro e che i lavoratori debbano sottostare ad un regime di informalità permanente. ”Il lavoratore deve scegliere: tutti i diritti e nessun lavoro, o meno diritti e possibilità di lavoro”.
Un governo che sferra attacchi ovunque al proletariato e alla classe lavoratrice, continua a godere del completo mutismo ed immobilismo delle forze sindacali, anche delle più combattive, queste ultime bloccate nel tentativo di ricomporre una unità sindacale oggettivamente impossibile.
Una sola iniziativa è stata portata avanti dalle grandi centrali come CUT, Força Sindical, CTB, UGT, Nova Central Sindical subito dopo la vittoria alle elezioni di Bolsonaro. Si poteva supporre predisponessero una risposta di denuncia, di lotta e organizzazione… invece il 1 gennaio, giorno dell’investitura di Bolsonaro, hanno consegnato un documento di “dialogo sociale” all’“eccellentissimo signor presidente”, auspicando un negoziato. Conservare i loro privilegi e scongiurare la possibilità ventilata di eliminare anche i sindacati: questa la politica scelta dalle forze sindacali maggioritarie in Brasile. Il presidente della CUT va nel dettaglio: in una dichiarazione ufficiale offre al nuovo governo la disponibilità per trattare su una Riforma della Previdenza alternativa, perché “vogliamo essere propositivi, fare un’opposizione con proposte”.
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SCHEDA: Origine e destinazione del debito
I mercati finanziari fanno pressione perché la riforma della previdenza venga approvata al più presto, perché la Legge di Responsabilità Fiscale venga applicata severamente e perché la campagna di privatizzazioni renda più appetibile il paese al capitale straniero.
Subito dopo l’elezione di Bolsonaro la Borsa si è impennata esultante. Se è il buco di bilancio la causa di queste manovre economiche, imposte come unica salvezza dal default, il debito pubblico federale ne rappresenta quasi la metà (tra i primati del Brasile c’è quello del pagamento del servizio del debito, che drena il 6% del PIL).
Tuttavia il debito non è dovuto ad eccessive spese sociali o investimenti pubblici, ma a politiche fiscali e monetarie compiacenti verso investitori, imprenditori, latifondisti e banche. Ne sia da esempio l’aumento del 598% dei profitti bancari negli ultimi 16 anni.
Il debito è esploso dal 1995 al 2015, passando da 18 miliardi di R$ a 5 trilioni di R$. Il governo Cardoso esentò dal pagamento delle tasse i profitti e i dividendi pagati agli azionisti (nel 2017 i profitti esenti erano pari a 400 miliardi di R$). A questo si aggiungevano gli elevati tassi di interesse e un sempre più consistente sostegno finanziario, tra esenzioni e sovvenzioni, alle imprese strategiche, in crescendo nei successivi governi PT.
Lula e Dilma hanno pagato quote di debito molto più pesanti dei governi di destra (Lula R$3 trilioni, Dilma più di 5). Lula pagò anche i 15 miliardi di debito con l’FMI. Si è anche gloriato di aver azzerato il debito estero; in realtà lo ha trasformato in debito interno, con tassi di interesse del 19% annuo invece del 4% di quello estero! Il giro di creditori era lo stesso: fondi di investimento, fondi pensione, banche, istituti finanziari ed assicurativi. Lula esentò dal pagamento delle imposte i rendimenti dei titoli pubblici del debito; Dilma esonerò le banche per 458 miliardi di R$.
Dal 2007 al 2015, anni di governo PT, i creditori internazionali sono aumentati dal 5,1% al 21,4%.
Ad ottobre 2017 il debito interno era di 5,09 trilioni di R$; quello estero di 550 miliardi di R$. Gli interessi sul debito erano sempre molto alti, il 6,5% (negli USA erano all’1,7%). Nello stesso anno il debito pubblico era il 74% del PIL e il 44% del bilancio federale.
Sono i banchieri per lo più a controllare il bilancio. Almeno il 40% dei profitti bancari proviene dai titoli del debito pubblico. La Banca Centrale vende i titoli del debito interno ad una quindicina di imprese, sempre le stesse.Il debito è un affare lucroso: maggiore è il debito, maggiore il guadagno. La politica fiscale continua a favorire sempre i soliti: negli ultimi 6 anni 1,6 trilioni di R$ sono andati in benefici fiscali alle imprese (circa 10 volte il deficit fiscale del 2018), il 21% delle entrate tributarie. Sui destinatari vige la totale arbitrarietà e nessun controllo (una delle maggiori beneficiarie è l’industria automobilistica). Le rimesse delle banche internazionali sono esentasse. Grandi aziende come la JBS hanno ricevuto dalla BNDES più di 10 miliardi di R$ di finanziamento, registrando un debito di 3,72 miliardi di R$ con le casse della federazione. Odebrecht ha un debito di 2,77 miliardi di R$. E le banche sono i maggiori evasori: nel 2017 non hanno pagato 124 miliardi di R$ alle casse federali. I detentori del debito sono esentati pure dal pagare le imposte. Ecco dove ha origine la voragine del debito e dove finisce il denaro che determina il buco di bilancio.
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Recenti sondaggi indicano che gran parte della popolazione nutre grandi aspettative per il futuro; il 65% si attende un miglioramento sul lato economico; l’approvazione per le nuove misure del governo supera il numero di quanti lo avevano eletto. Fino a quando? Bolsonaro non è il presidente ‘antisistema’ che la maggioranza crede. E’ il presidente di un sistema tra i peggiori per il proletariato, e marcio.
Il regime reazionario di Bolsonaro, messo al potere dai militari con il supporto del potere giudiziario, avrà mano pesante per chi dissente dal suo governo e dai valori tradizionali che difende; pochi giorni fa 300 lavoratori precari della pubblica amministrazione sono stati licenziati perché in odore di PT (“sono di sinistra, contrari alle nostre idee”, dice Onyx Lorenzoni, vicepresidente del consiglio; “i rossi devono andarsene o finire in carcere”, chiosa il presidente). Potranno essere riassunti solo se abiureranno e attraverso un test sposeranno la paccottiglia ideologica di cui il governo è difensore.
Eppure se diamo uno sguardo alla situazione socio-economica del Brasile, ha dell’incredibile che la speranza di un miglioramento delle condizioni del paese venga riposta su una tale cricca.
A poco più di un anno dalla Riforma del Lavoro di Temer la situazione occupazionale ha avuto un drastico peggioramento. Vediamone solo alcuni tratti: irrisorio il numero di nuovi posti di lavoro creati (372.000 in un anno), 1/3 dei nuovi contratti riguarda lavoro intermittente; i lavoratori esternalizzati guadagnano il 25% in meno degli interni e subiscono il 60% in più di incidenti sul lavoro; le imprese licenziano per assumere personale precario: i licenziamenti mascherati da ‘dimissioni volontarie’ sono in continuo aumento e comportano un taglio del TFR del 20%, nessun sussidio di disoccupazione e l’esclusione da ogni supporto sindacale; le cause di lavoro, ora a pagamento nel caso si perda, si sono ridotte del 43% …
La disoccupazione è al valore record di 18 milioni di persone più 4,6 milioni di scoraggiati, soprattutto donne, giovani e con meno scolarità. Il 64,2% dei disoccupati sono neri o mulatti, che rappresentano il 56% della forza lavoro. Il tasso di sottoutilizzo (disoccupati, sottoccupati, forza-lavoro potenziale) è del 24,6%.
La disuguaglianza salariale tra donne e uomini si attesta al 30%; quella tra donne nere e uomini bianchi tra il 60 e l’80%.
Gli infortuni sul lavoro dichiarati sono in costante aumento; oggi sono 22 all’ora.
L’esternalizzazione ha raggiunto il 22% del lavoro dipendente totale e coinvolge in maggior misura le donne e la popolazione nera. La Riforma del Lavoro ha stabilito la superiorità degli accordi negoziali individuali sulla legislazione generale del lavoro, e questo ha fermato il 74% degli accordi collettivi. Il diritto del lavoro rimarrà lettera morta e il lavoro flessibile e precario sarà la norma. Bolsonaro ha lanciato un nuovo libretto del lavoro, verde e giallo, che verrà dato da oggi ai lavoratori al loro primo impiego. Si distinguerà da quello azzurro (quello dei lavoratori “regolari”) e sarà il libretto del lavoro precario, flessibile, intermittente; sin dal primo giorno di lavoro esisteranno due mondi separati di lavoratori, e gli imprenditori sapranno scegliere.
Il pubblico impiego sta pagando più di altri settori la stretta sul lavoro, sia in termini salariali che previdenziali che di posti di lavoro; i concorsi pubblici sono per lo più fermi. Ma è anche il settore più combattivo e mobilitato. Dei 1566 scioperi occorsi nel 2017, la gran parte sono stati del pubblico impiego.
L’estrema povertà (reddito pro capite < 1,90$ al giorno per la Banca Mondiale; <R$ 85 mensili nel 2017 secondo i criteri della Bolsa Familia) dal 2016 al 2017 è aumentata dell’11,2%, raggiungendo la cifra di 14,83 milioni di persone, il 7,2% della popolazione. 44,5 milioni di persone vivono con un reddito inferiore al salario minimo. Il 5% della classe lavoratrice ha un reddito medio di R$ 47 al mese.
Aumentano le diseguaglianze: oggi l’1% più ricco guadagna 36 volte di più della metà della popolazione.
Nel 2016 la mortalità infantile era di 14 morti ogni 1000 nati, un aumento del 4,8% sull’anno precedente. La denutrizione era del 13,1%.
In tre anni il PIL è retrocesso quasi dell’8%. I consumi sono in caduta libera e solo il commercio con l’estero mantiene un andamento sostenuto.
La Cina, maggior partner commerciale del Brasile, ha ridotto lo scorso anno del 75% gli investimenti diretti nel paese a causa dell’incertezza politica. La nuova politica estera non fa pensare ad un possibile recupero.
Non ci sono indicazioni di una possibile frenata del debito pubblico; dalle premesse poste dal nuovo governo è facile pensare che aumenterà la dipendenza del Brasile dal capitale straniero; il paese svenderà il grosso delle sue forze produttive e diverrà un mero esportatore di commodities come carne e soia.
Gli indigeni e i contadini si vedranno togliere le terre e sequestrare le riserve e per sopravvivere diverranno schiavi dell’agribusiness.
La violenza raggiunge livelli di genocidio: sono soprattutto giovani, donne e neri ad essere assassinati. Nel 2016 sono stati 62.517 i morti per omicidio. Tra il 2017 e il 2018 sono stati assassinati 40 sindaci o consiglieri. Le donne hanno un tasso di morte violenta intenzionale del 71% su tutte le morti violente. Nel 2016 si sono consumati tra 300.000 e 500.000 stupri.
La polizia ammazza 14 persone al giorno, soprattutto ragazzi neri; a Rio dopo l’intervento dell’esercito nelle favelas gli omicidi sono aumentati del 150% rispetto all’anno precedente.
La sfida per il proletariato è l’organizzazione indipendente, la pianificazione e l’avvio di una controffensiva unitaria e diffusa che parta dalla base della società. L’ultima parola sul futuro del paese non l’avranno i sondaggi ma la lotta di classe.
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NOTE
1. Dal suo discorso pubblico di investitura a Brasilia, il 1° gennaio 2019.
2. Celebri anche le sue frasi sugli omosessuali: “meglio un figlio morto che omosessuale”; “è colpa dei comunisti se i bambini credono di essere gay”; “la maggior parte degli omosessuali lo è perché sono drogati”. E omofobe e razziste: ” i miei figli non potrebbero mai sposare una negra perché li ho educati bene”; “i negri non servono a niente, neanche a procreare”; “se un’azienda dovesse assumere donne sarebbe poi costretta ad assumere anche negri”, ecc.
3. Ad esempio 15 su 29 deputati hanno lasciato il PSDB.
4. Dopo aver militato in vari partiti della destra, oggi è del Partito Social Liberale.
5. Dal 2011 il salario minimo viene calcolato in base all’inflazione dell’anno precedente, sulla base dell’indice nazionale dei prezzi al consumo, e alla variazione negli ultimi 2 anni del PIL.
6. Un quilombo è una comunità fondata da schiavi africani fuggiti dalle piantagioni in cui erano prigionieri nel Brasile all’epoca della schiavitù. I quilombo costituirono un’importante forma di resistenza alla schiavitù. Il quilombo più famoso della storia del Brasile fu quello di Palmares.