Non è affatto banale imputare alle contraddizioni insanabili del sistema la strage di automobilisti innocenti determinata dal crollo della Torre Ovest e di due campate del ponte di Genova, avvenuto alle 11.50 del 14 agosto 2018. E lo sgombero di centinaia di abitanti dei caseggiati nei pressi del ponte.
Responsabilità individuali e della società Atlantia (controllata dalla famiglia Benetton) certamente esistono e andranno accertate e sanzionate. Ma andando ancora più a fondo la responsabilità è di questo sistema basato sul profitto e lo sfruttamento, per il quale la sicurezza di un ponte è un “costo”, da limitare quanto più possibile. Sulla pelle della gente. Ma ammesso che una sanzione penale giunga contro i responsabili diretti, quella contro il sistema capitalistico può essere solo il risultato della lotta di classe.
Le avvisaglie. Il degrado generale di molte opere pubbliche e infrastrutture nel Paese è un dato di fatto. Basti solo citare i principali crolli, sei ponti crollati in cinque anni: viadotto Verdura Agrigento-Sciacca (2013); viadotto Scorciavacche Palermo-Agrigento (2014, inaugurato da pochi giorni, quattro feriti); viadotto Himera (Palermo-Catania, 2015); cavalcavia di Annone Brianza (2016, un morto e tre bimbi feriti); ponte di Camerano (2017, due morti e tre operai feriti); crollo del ponte sulla tangenziale di Fossano (2017). Con simili campanelli d’allarme la logica vorrebbe che monitoraggi sistematici e costanti avessero avuto la priorità su grandi opere utili (ai profitti).
Il gestore. Il nodo autostradale di Genova è gestito da Atlantia SpA, il cui principale azionista è la famiglia Benetton che, tramite la società, controlla l’88% di Autostrade per l’Italia. Gestisce concessioni autostradali in India, Polonia, Cile, Brasile.
I numeri parlano da soli: nel 2017 si registra un utile di 1,4 miliardi di euro su un margine operativo lordo di 3,7 miliardi; i ricavi da pedaggio ammontano a 4,19 milioni di euro. Il dato relativo alla rete autostradale gestita da Atlantia SpA registra ricavi operativi per 3,9 miliardi di euro e investimenti operativi di 556 milioni di euro (erano 718 milioni nel 2016).
Atlantia Spa è in fortissima espansione nel mondo; come si legge nella Relazione annuale 2017 ha stipulato accordi e stanziato investimenti e punta ad estendere la propria operatività in 15 paesi con 14mila km di autostrade e 60 milioni di passeggeri negli aeroporti di Roma e Nizza; ha inoltre acquisito quote di Getlink, la società che gestisce il collegamento sotto la Manica.
La stessa relazione riporta che “il 7 settembre 2017 il Concedente ha approvato il Progetto Definitivo dell’adeguamento del nodo stradale e autostradale di Genova (c.d. “Gronda di Ponente”) per un valore complessivo stimato di 4,3 miliardi di euro e tempi di realizzazione, a partire dall’inizio dei lavori, di circa 10 anni. E’ in corso la progettazione esecutiva dei vari lotti di cui si compone l’intervento”.
Il cinismo. Mentre si piangono i morti ed ancora si stanno cercando i dispersi sotto le macerie, il gruppo Atlantia SpA, che gestisce 5mila km di autostrade in Italia, tra cui il nodo di Genova, esprime in una nota ufficiale del 16 agosto tutte le preoccupazioni per … le ricadute negative in Borsa del titolo a seguito dell’ipotesi di ritiro delle concessioni da parte del governo. Scrive Atlantia SpA che “in relazione a quanto annunciato in merito all’avvio di una procedura finalizzata alla revoca della concessione nella titolarità della controllata Autostrade per l’Italia, deve osservare che tale annuncio è stato effettuato in carenza di qualsiasi previa contestazione specifica alla concessionaria ed in assenza di accertamenti circa le effettive cause dell’accaduto. Pur considerando che anche nell’ipotesi di revoca o decadenza della concessione – secondo le norme e procedure nella stessa disciplinate – spetta comunque alla concessionaria il riconoscimento del valore residuo della concessione, dedotte le eventuali penali se ed in quanto applicabili, le modalità di tale annuncio possono determinare riflessi per gli azionisti e gli obbligazionisti della Società. Atlantia pertanto continuerà a supportare la controllata Autostrade per l’Italia nelle interlocuzioni con le Istituzioni in questa delicata fase avendo riguardo anche alla tutela dei propri azionisti e obbligazionisti con una corretta e tempestiva informazione al mercato”.
Prima il profitto, dunque. Si va dritti a quanto davvero sta a cuore all’impresa, ovvero la stabilità finanziaria. I morti passano in secondo piano. Peraltro, qualcuno ha fatto notare che le poche righe di circostanza nei confronti delle vittime da parte della Società sono arrivate solo nove ore dopo il disastro. Cinismo all’ennesima potenza.
Mancati controlli esterni. L’affidamento dei monitoraggi al gestore dell’Infrastruttura anziché ad un’Autorità centrale esterna è emblematico. Quando la sicurezza viene misurata col profitto, l’esito è quasi inevitabile. Senza arrivare a fare un complesso parallelo con quanto successo nel settore ferroviario (Regno Unito anni Novanta ma anche linee merci del Nord America) dove l’affidamento dell’infrastruttura alle singole imprese ha comportato un crollo della manutenzione e incidenti a catena, è evidente che in tali contesti la voce “manutenzione” rappresenti un costo nei bilanci aziendali e che la mancanza di controlli esterni impedisca di verificare quantità e qualità degli interventi strutturali. Anche la manutenzione della centrale nucleare di Fukushima era affidata a privati, in subappalto…
Ma vi è di più: il ponte Morandi, denuncia uno degli ingegneri che lo progettarono, venne costruito sulla base di un carico massimo (5 tonnellate per mq) che sarebbe ampiamente superato dai nuovi giganti della strada, determinando una torsione di flessione maggiore del massimo previsto, e quindi un rapido logoramento della struttura. Se ciò è vero, non si tratta solo di manutenzione carente, ma di mancata limitazione del carico massimo dei mezzi in transito – da parte delle autorità competenti. In altre parole: con il traffico pesante degli ultimi decenni il crollo era pressoché inevitabile, ma il traffico non è stato limitato per favorire innanzitutto i traffici del porto di Genova. Molti sono gli scheletri negli armadi dei dirigenti di enti pubblici e privati; il mandante è sempre il Profitto del Capitale.
Coccodrilli. Inevitabili le lacrime di coccodrillo da parte della stampa, che scrive di “degrado delle nostre opere pubbliche”, di necessità di un “piano di monitoraggio nazionale”, del fatto che “tutti sapevano” … dopo aver sostenuto le scelte governative e le privatizzazioni. Fenomeno tipico e ricorrente della borghesia in occasione di tragedie come questa.
Il ponte. Nel 2016, in tempi non sospetti, l’ingegner Antonio Brenchic, esperto di costruzioni in cemento, sollevò dubbi e perplessità su quella tipologia di ponte. Scrisse che “L’idea originaria pare fosse quella di precomprimere gli stralli, idea chiaramente discutibile in quanto gli stralli sono elementi strutturali così snelli da consentire una precompressione molto modesta e, quindi, destinata inevitabilmente ad avere scarsa efficacia. I lavori di sostituzione degli stralli, effettuati sia a Genova che in Venezuela, ne danno dimostrazione indiscutibile [..] Il Viadotto Morandi ha presentato fin da subito diversi aspetti problematici, oltre l’aumento dei costi di costruzione preventivati, è necessario ricordare un’erronea valutazione degli effetti differiti (viscosità) del calcestruzzo che ha prodotto un piano viario non orizzontale”.
Gli “stralli”, i cavi ancorati alle torri che reggono il piano impalcato, erano stati rinforzati. Quattro mesi fa veniva emanato un bando per lavori (non iniziati) di retrofitting strutturale sugli stralli 9 (quello crollato) e 10. Gli interventi manutentivi per quel tipo di ponte erano continui e onerosi. Se le criticità erano note da tempo, c’è da chiedersi perché gli allarmi degli esperti siano stati ignorati.
Nel 2013 un documento del Comitato No Gronda (che è stato collegato al M5S) definiva “una favoletta” l’ipotesi del crollo del ponte che, veniva detto, “potrebbe star su altri cento anni” “a fronte di una manutenzione ordinaria con costi standard”.
Con simili approcci è evidente che nessuna coalizione, tantomeno quella attuale che da un lato minaccia di ritirare le concessioni ai Benetton ma dall’altro promette sgravi alla piccola e media borghesia, può risolvere le contraddizioni di un sistema caotico perché basato sul profitto e dunque impossibile da pianificare.
Quella delle grandi opere è ormai una storia collegata al malaffare, all’intreccio di interessi e corse al profitto che vede sempre più spesso coinvolti imprenditori, politici, malavitosi.
La sicurezza di chi viaggia e lavora può essere garantita solo da un sistema che abolisca il profitto e dove siano i lavoratori a gestire in prima persona. Da qui l’impegno nella lotta anticapitalista.