In Venezuela le condizioni dei lavoratori sono drasticamente peggiorate negli ultimi due anni. Un’inflazione del 180% nel 2016, e che punta verso il 700% nel 2017, falcidiando i salari, è l’altra faccia della penuria di generi di consumo nei negozi, del mercato nero per i prodotti scomparsi dagli scaffali, della riduzione del potere di acquisto sotto il minimo vitale per gran parte della popolazione. Mentre un’altra parte si è arricchita in modo sfrontato.
Nel corso di un anno il 74% dei venezuelani ha perso in media 8,7 chilogrammi di peso. La fame in un paese dal grande potenziale agricolo e che galleggia sulle più grandi riserve di petrolio del mondo, è l’indice sintetico dell’inglorioso crollo del castello dell’illusione del “socialismo del XXI secolo” propagandato da Chavez. Un “socialismo” costruito sugli alti prezzi del petrolio tra il 2002 e il 2014, che hanno permesso di far crescere la spesa pubblica dal 28% al 40% del PIL negli anni di Chavez. Questo denaro in parte è stato redistribuito in programmi sociali, in parte accaparrato dal ceto dominante “bolivariano”, la “boliborghesia”, militari in primis, che anche grazie al mercato nero delle valute e dell’import, e al contrabbando dei prodotti sussidiati ha accumulato miliardi (ben 300 miliardi di dollari secondo i due ex ministri di Chavez, Navarro e Giordani, pari all’intero prodotto annuo del paese) con l’acquisto di imprese, banche, o messi al sicuro all’estero. Il dimezzamento dei prezzi del petrolio a fine 2014 ha fatto crollare le entrate dello Stato bloccando la “spesa sociale”, e facendo crollare il consenso verso il regime bolivariano.
E’ su queste contraddizioni sociali che fa leva la vecchia borghesia che Chavez aveva ridimensionato. Una borghesia che per decenni ha dominato il Venezuela sfruttando i lavoratori e reprimendo le loro rivolte (la repressione del “Caracazo” del 1989 ha fatto migliaia di vittime), e che ora vuole continuare a farlo senza dividere la torta diventata più piccola col ceto politico chavista.
Questo ceto si è tanto abbarbicato al potere, che non lo vuole mollare neanche dopo che le elezioni del 2015 hanno dato la maggioranza del Parlamento all’opposizione. Maduro ha quindi impedito le elezioni amministrative e convocato le elezioni di un’Assemblea Costituente con poteri superiori al Parlamento, eletta non con il criterio “una testa un voto”, ma in modo corporativo sulla base degli organismi intermedi nei quali il partito al potere PSUV ha la maggioranza.
Non stupisce quindi che negli ultimi mesi centinaia di migliaia di persone abbiano manifestato la loro rabbia nelle strade del Venezuela, e che purtroppo questa rabbia con la richiesta di nuove elezioni e di cacciata del governo Maduro sia stata egemonizzata dai partiti della vecchia borghesia riuniti nella MUD, i cui interessi sono in concorrenza con quelli dei bolivaristi nuovi arrivati.
La situazione è resa più complessa dal fatto che, grazie ai suoi grandi giacimenti di petrolio e minerali anche pregiati non ancora sfruttati nella cintura dell’Orinoco, il Venezuela ha attirato l’interesse prima delle corporations americane, poi anche di quelle europee, tra cui l’italiana ENI, e più di recente anche indiane, russe e soprattutto cinesi, che hanno prestato decine di miliardi di dollari al governo in cambio di un ruolo primario. Questa concorrenza multipolare di vecchie e nuove potenze si intreccia con la lotta politica interna e la esaspera. I partiti del MUD sono in prevalenza filoamericani, mentre Chavez aveva privilegiato prima gli imperialismi europei, accentuando poi i rapporti con russi e cinesi, e questi ultimi sono ora favoriti da Maduro perché gli stanno fornendo il credito che ha finora evitato il collasso totale del sistema.
Il Venezuela – sotto i vari governi degli ultimi decenni – è inoltre schierato tra i “falchi” dell’OPEC, l’organizzazione degli esportatori di petrolio, a favore di tagli alla produzione di oro nero per farne risalire i prezzi. È cioè tra i capofila del parassitismo rentier internazionale, di quelle borghesie cioè, che oltre a sfruttare il proprio proletariato interno, attraverso la rendita petrolifera (ossia prezzi del petrolio molto al di sopra del suo prezzo di produzione) si accaparrano quote di plusvalore frutto dello sfruttamento dei lavoratori nei paesi importatori di petrolio. Che con questi frutti del parassitismo si sia preteso di costruire il “socialismo del XXI secolo” è un’impostura oltre che una bestemmia contro i principi del comunismo. Un’impostura crollata miseramente insieme alle quotazioni dell’oro nero. L’istituto di statistica venezuelano da due anni ha smesso di pubblicare le statistiche sulla povertà, che dopo una flessione negli anni delle vacche grasse è drammaticamente risalita in questi anni di dimagrimento generale. Le politiche adottate in questi decenni, anziché promuovere una sviluppo indipendente come proclamato hanno distrutto capacità produttive nell’industria e nell’agricoltura, aumentando la dipendenza dal prezzo del petrolio e dalle importazioni.
Per queste ragioni come comunisti che lottano per l’abolizione del lavoro salariato e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo non possiamo non denunciare il carattere borghese e parassitario del regime chavista “bolivariano”, così come delle forze politiche riunite nell’opposizione MUD. La necessità di opporsi alle destre non deve rendere il movimento di classe ostaggio di un governo non meno borghese e corrotto.
Esprimiamo quindi il nostro appoggio a quelle forze che in Venezuela lavorano per dare alla giusta lotta contro il regime una direzione proletaria e anticapitalista, e quindi sottrarre il malcontento popolare alla strumentalizzazione reazionaria del centro-destra.
Che anche i barrios scendano in piazza contro i vecchi e i nuovi padroni, al grido:
Via Maduro e la sua banda di profittatori e corrotti! Potere ai lavoratori!