Egitto – Tornano le rivolte del pane

In Egitto la crisi economica, aggravata lo scorso anno, è resa ancora più pesante per i lavoratori e gli strati popolari più disagiati dalle recenti misure di austerità adottate dal regime del generale al-Sisi.

Le FFAA egiziane, che decidono il piano di riforme, hanno scelto di ridurre i sussidi alla popolazione mentre hanno allargato il proprio controllo su diversi settori economici e hanno intascato enormi profitti a spese del settore privato.

I militari gestiscono gruppi monopolistici, non sottoposti a controllo e non tassati, in vari settori: aziende agricole, fabbriche di imballaggio di generi alimentari, imprese edili, fabbriche farmaceutiche, distributori di gas, pescherie, e fabbriche cementiere e siderurgiche.

Nonostante il malcontento sempre più evidente tra la popolazione, i militari si sentono sicuri di poterlo controllare per portare avanti pesanti riforme economiche. Hanno indebolito i partiti politici, cooptato i dirigenti sindacali, messo sotto processo gli attivisti per i diritti umani per prevenire rivolte di massa come quelle del 2011. Ma le proteste e le lotte spontanee dei lavoratori salariati e degli strati popolari più svantaggiati sono dettate dalla fame e dalla mancanza di medicine a prezzo abbordabile e sono sfociate in rivolte nel Nord e nel Sud dell’Egitto. Brevi rivolte che potrebbero trasformarsi in violente sollevazioni, perché esprimono la latente contraddizione tra gli interessi dei militari al potere e quelli delle classi sfruttate e oppresse.

Affinché tutte queste rivolte, che si traducono a volte in temporanee vittorie economiche, non si riducano ad effimeri sfoghi di rabbia occorre che nasca dal basso un’organizzazione autonoma di classe in grado di dirigerle, di generalizzarle e collegarle, trasformandole in opposizione politica contro il dominio del capitale e il regime che lo difende, per costruire una società senza sfruttamento e repressione.

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I provvedimenti antioperai del regime e la reazione della popolazione

Lo scorso luglio ci furono le proteste delle madri degli strati popolari più svantaggiati perché mancava il latte in polvere fornito con i sussidi statali. I generali hanno importato scatole di latte in polvere, e le hanno vendute ad un prezzo doppio. I profitti previsti da questo commercio hanno spinto il ministro per la produzione militare a preparare il piano per la costruzione di una fabbrica di latte in polvere di sua proprietà.

Ad ottobre venne a mancare nei negozi statali lo zucchero sussidiato. I militari arrestavano i passanti che avevano una quantità di zucchero superiore a quella consentita a una famiglia, lo confiscavano e poi lo rivendevano essi stessi. Lo zucchero è ricomparso sul mercato dopo che il ministero per il rifornimento ne ha raddoppiato il prezzo.

Quest’anno, a inizio marzo, si sono ripresentate le “rivolte del pane”. Migliaia di manifestanti hanno bloccato le strade protestando contro la riduzione da 4000 a 500 del numero di pagnotte disponibili a prezzo sussidiato per ogni panetteria autorizzata; a Alessandria, Giza, Kafr El Sheikh, Minya e Asyut ci sono stati scontri con la polizia.

I sussidi per il pane sono una linea rossa per gli egiziani, diverse le proteste ad esse collegate, a partire da quelle del 1977, sotto la presidenza di un altro militare, Anwar Sadat. Sadat cercò di ridurre i sussidi sugli alimentari dietro indicazione dell’FMI, mandando i carri armati a schiacciare le proteste. In seguito revocò la riduzione dei sussidi accusando dei disordini i comunisti. La più recente rivolta è quella congiunta alla sollevazione del 2011, al grido di “pane, libertà e giustizia sociale”.

Le attuali “rivolte del pane” esprimono più in generale la protesta per i tagli ai sussidi e ad altre voci della spesa pubblica che mirano a ridurre il deficit di bilancio, condizione posta lo scorso novembre dall’FMI per erogare un prestito di 12 miliardi di dollari a favore del regime di al-Sisi.

Lo scorso gennaio il governo decise un aumento del 50% del prezzo dei medicinali, che sommandosi alla svalutazione della lira egiziana ha causato forti carenze di farmaci; al contempo il ministro della Sanità ha nominato un ex generale a presiedere la società statale che produce vaccini.

Il regime ha giustificato con le condizioni poste dall’FMI i tagli della spesa per l’enorme apparato burocratico statale, tagli che però hanno essenzialmente colpito solo i lavoratori del pubblico impiego con riduzione di posti di lavoro e salari; ha svalutato del 100% la lira egiziana, facendo perdere circa metà del potere d’acquisto alle retribuzioni dei lavoratori dipendenti e contemporaneamente ha quasi raddoppiato il prezzo del gas, distribuito in gran parte dalla catena di stazioni di rifornimento sparse in tutto il paese di proprietà del ministero della Difesa …

La nuova legislazione del regime al-Sisi riguardante la ristrutturazione del pubblico impiego mantiene una legge dell’era Mubarak, la quale riserva al presidente l’autorità di nominare ufficiali a ricoprire incarichi dirigenziali. Al Sisi se ne è servito per aumentare il numero di ex ufficiali in posti chiave per la gestione dell’economia nazionale: a partire dal presidente stesso, al ministro per il rifornimento alimentare, al capo dell’autorità pubblica di sviluppo agricolo, al sottosegretario alle abitazioni, al vice-ministro alla sanità; i militari sono anche governatori o capi di distretti delle province dove sono scoppiate le rivolte.

Il parlamento ha approvato un nuovo aumento del 10% delle pensioni dei militari – che va ad aggiungersi ad un aumento complessivo del 35% derivanti da altri sei incrementi decisi negli ultimi tre anni – e ha varato un nuovo fondo che garantisce servizi sanitari e sociali ai giudici militari, gli stessi che hanno incarcerato i lavoratori per aver incitato allo sciopero nel cantiere navale di Alessandria, di proprietà dei militari.

Mentre viene tagliata la spesa pubblica su generi di base, i militari continuano a spendere nell’acquisto di armamenti: a marzo si sono accordati per l’acquisto per oltre 2 miliardi di $ di armi dalla Francia. Queste armi non sono state pagate da ministero della Difesa con l’incasso delle attività commerciali dei militari ma con un prestito chiesto a banche francesi, garantito dal ministero delle Finanze egiziano.

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Le lotte dei lavoratori e la repressione statale

Il governo egiziano non ha mai legalizzato i sindacati indipendenti sorti dopo le sollevazioni del 2011. Da 11 anni i dirigenti dei sindacati ufficiali vengono nominati dal governo di turno, senza alcuna elezione di base. ETUF è la federazione sindacale controllata dal governo. Nel 2013 il governo ha varato una legge che limita fortemente proteste e scioperi. A migliaia sono stati incarcerati per averla violata. Nonostante la legislazione anti-operaia e la dura repressione di polizia e forze armate, sono continuate in Egitto le lotte operaie. Il rapporto del Centro egiziano per i diritti sociali ed economici (Egyptian Centre for Social and Economic Rights) riferisce che nel 2016 il settore governativo ha visto quasi 476 scioperi, il settore pubblico 133, 107 quello privato.

Per reprimere le proteste operaie intervengono anche i militari. Il 21 giugno 2016 hanno scioperato per rivendicare aumenti salariali e dispositivi di sicurezza i lavoratori dei cantieri navali di Alessandria, appartenente alle Forze Armate (FFAA). 26 lavoratori sono stati deferiti a un tribunale militare. Sono stati costretti a licenziarsi per poter essere rilasciati dal carcere, ma sono ancora in attesa di processo.

Il 24 settembre 2016 in vista di uno sciopero per rivendicare aumenti salariali, la polizia ha fatto irruzione nelle abitazioni di sei lavoratori dei trasporti pubblici del Cairo. Per quattro giorni le famiglie non sono state informate su dove erano stati portati e i loro avvocati non hanno potuto avere copia delle incriminazioni. Gli attivisti sono stati accusati di aver aderito ad un gruppo fuori legge non meglio identificato, incitamento allo sciopero, disturbo dell’ordine pubblico. Questo tipo di accuse è quello che le forze della repressione egiziane usano regolarmente per incriminare gli attivisti operai.

A novembre e dicembre sono scesi in scioperi i lavoratori di due società private che producono fertilizzanti nel governatorato di Suez, la Egyptian Fertilizers Company e la Egyptian Basic Industries Corporation. In entrambe le fabbriche non ci sono sindacati. Queste proteste sono state represse dalla polizia, che ha arrestato almeno 55 operai, li ha caricati su un furgone e poi li ha abbandonati nel deserto.

A gennaio c’è stato uno sciopero nell’oleificio IFFCO di Suez, dopo il sit-in di dicembre organizzato per chiedere l’aumento dei premi per gli operai, e la loro parificazione a quelli dei capireparto. Lo sciopero è stato deciso dopo l’arresto di due membri del sindacato indipendente dei lavoratori di IFFCO che avevano partecipato al sit-in. La polizia ha arrestato 13 degli scioperanti, altri 10 sono stati fermati per essere interrogati, 19 sono stati incriminati per incitamento allo sciopero, arresto della produzione e sabotaggio della fabbrica. Il tribunale ha assolto i lavoratori, ma poi 26 attivisti sono stati licenziati.

Il tessile-cotoniero egiziano occupa circa un milione di addetti e rappresenta poco meno di un quarto dell’export totale non petrolifero.[1] Nell’ultimo decennio i lavoratori di questo settore hanno avuto un ruolo politico importante, anche nelle forti proteste contro il regime Mubarak nel 2008.

Il 7 febbraio sono scesi in sciopero più di 2000 operai tessili del reparto abbigliamento di 5 fabbriche della società Mahalla Textile and Weaving Company di Mahalla El-Kubra nel delta del Nilo, per la maggior parte donne.[2]

Le rivendicazioni principali degli scioperanti: l’applicazione di un ordine del tribunale di avere il premio di sviluppo di 600 sterline egiziane invece di 360, il pagamento dell’annuale “incentivo sociale”, in arretrato da sette mesi, pari al 10% del salario di base, l’indennità alimentare completa, di 320 sterline egiziane invece di 210, l’inclusione nel salario base di indennità pari a 220 sterline. Nonostante il gruppo sia di propreità statale, ai suoi lavoratori non viene riconosciuto il salario minimo garantito ai dipendenti pubblici, pari a 1200 sterline egiziane (pari a ben 61,98€!!), dato che i neo assunti percepiscono mediamente 900 sterline egiziane.

I lavoratori avanzano anche rivendicazioni politiche: il reintegro dei lavoratori licenziati per punizione, e la revoca della commissione sindacale locale che rappresenta la proprietà e che dal 2006 i lavoratori vogliono sostituire con un sindacato indipendente.

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[1] Il 53,5% dell’export di abbigliamento va negli Usa, il 31,7% nella UE e il 4% nei paesi arabi, secondo General Organization for Exports & Imports Control. Il cotone egiziano è pregiato per la sua fibra lunga, è un cotone costoso, di cui l’Egitto è il maggior produttore mondiale. Nel 2015 il valore dell’export di tessile e abbigliamento egiziano è ammontato a 2,5 miliardi di $, e dovrebbe raggiungere i 10 miliardi fra dieci anni, secondo i piani del Ready Made Garment Export Council, con 500mila nuovi addetti.

[2] Questo gruppo tessile, con 15 000 addetti, è uno dei maggiori delle 32 imprese del tessile e cotoniero. Nel 2006 erano 24 000.