Dopo la Brexit, l’ipotesi di un’Europa a due/più velocità riproposta recentemente dalla Cancelliera tedesca al vertice UE di Malta potrebbe concretizzarsi nella formazione di un “nucleo duro” europeo composto da nazioni più integrate, oppure creare ulteriori contrasti fra i governi dell’Unione per decidere chi sta nel “gruppo di testa” e chi no, a quali condizioni, e quali interessi dovrebbero essere tutelati da questo gruppo.
Negli ultimi decenni i tentativi di armonizzare i tanti interessi nazionali europei per costruire un gruppo di paesi più integrati non solo economicamente ma anche politicamente non hanno avuto successo, e ripetere il tentativo su un numero di paesi più contenuto potrebbe non avere più fortuna.
Al di là delle ipotesi sul futuro, procede invece più concretamente, su iniziativa di Berlino, l’integrazione della Difesa tedesca a colpi di accordi bilaterali con una serie di paesi del Nord e Est europeo. Un’integrazione che potrebbe portare a nuovi attriti con gli altri imperialismi europei preoccupati da un’eccessiva forza militare tedesca, ma che intanto rafforza i legami fra la Germania e i paesi limitrofi.
Dal crollo del muro di Berlino, l’Est Europa è diventato il teatro di un duello economico-militare in cui la Germania ha vinto sul piano dell’integrazione economica, ma gli Usa hanno imposto le basi Nato e il controllo militare, sempre più vicino ai confini della Russia. Ora sembra che la Germania si stia riprendendo anche sul piano militare almeno parte di quest’area.
Questi i fatti concreti a fronte della necessità di «una maggiore cooperazione tra gli Stati membri e una più ampia condivisione delle risorse nazionali», ribadita ancora una volta solo sulla carta, dal presidente della Commissione europea, Juncker. Il quale avverte: «Se l’Europa non si fa carico della propria sicurezza, nessuno lo farà al suo posto. Una base industriale di difesa forte, competitiva e innovativa ci darà autonomia strategica.» Un chiaro riferimento alle tensioni tra la UE e gli Stati Uniti di Donald Trump sulla questione dei contributi finanziari dei paesi europei alla NATO.
Rientra in questa strategia tedesca quanto comunicato in occasione della riunione dei ministri della Difesa della Nato (15.02.2017), dalla Bundeswehr.[1] Una brigata ceca e una rumena vengono poste sotto il comando tedesco, in base ad un memorandum di intesa[2] siglato a margine del vertice. Obiettivo dichiarato è il rafforzamento del “pilastro europeo” della Nato, ma in realtà si tratta di un nuovo tassello di una serie di accordi militari bilaterali, che rientrano nel più ampio e ambizioso piano della Germania di raccogliere tutte le forze armate dell’Europa sotto la propria direzione al fine di garantire maggiore forza d’urto, alle forze europee ma in primis alla Bundeswehr.
La proiezione internazionale della Bundeswehr si era a lungo limitata alla collaborazione con la Francia, con la brigata franco-tedesca creata nel 1989 per rispondere alle preoccupazioni riguardo alla potenza di una Germania riunificata.[3]
Ora sta invece procedendo un piano di aggregazione alle forze armate di alcuni paesi europei, impostato dal governo tedesco nel maggio 2013 con il progetto pilota tedesco-olandese.[4] È stata la risposta all’indisponibilità di alcuni paesi, GB in particolare, a porre le proprie forze armate sotto comando straniero come sarebbe richiesto da un concreto progetto di integrazione militare UE. Una riluttanza accresciuta da quando si è palesato il predominio economico e politico tedesco nella compagine UE, predominio accompagnato dal tentativo di Berlino di conformare ai propri interessi anche la politica estera e militare comune. A questo si è aggiunto il fallimento dello schema di unione militare rappresentato dai Gruppi di battaglia della UE che, già operativi dal gennaio 2007, finora non sono mai stati utilizzati in operazioni militari a causa delle rivalità intereuropee, non ultima la competizione/rivalità tra Germania e Francia.
Il Comando Europeo per il Trasporto Aereo (European Air Transport Command, EATC), istituito nel settembre 2010 a Eindhoven, può essere considerato l’unico successo ad ora del progetto militare a dimensione continentale. Questo comando, al quale partecipano Germania, Francia, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Italia e Spagna, rappresenterebbe circa il 60% della capacità di trasporto aereo europea, e avrebbe finora trasportato, nel quadro di circa 47 000 “missioni”, 100mila tonnellate di merci all’incirca e oltre 1,7 milioni di passeggeri, tra cui oltre 520mila paracadutisti e oltre 6000 feriti.(German Foreign Policy, 15.02.2017)
L’accordo attuale (con Repubblica Ceca e Romania) si riallaccia ad un riuscito progetto pilota tedesco-olandese degli anni Novanta, in base al quale circa 2/3 dell’esercito olandese è sottoposto al comando tedesco, e nella brigata corazzata olandese è integrato un battaglione tedesco. Il battaglione della marina tedesca può disporre di una nave da guerra olandese. È stato creato anche uno stato maggiore congiunto. L’aeronautica tedesca intende inoltre partecipare ad una flotta di navi cisterna multinazionale, creata da Olanda e Lussemburgo.
La Bundeswehr ha stretto accordi simili anche con la Polonia,[5] il cui governo attuale sta però frenando sulla realizzazione pratica.
Da inizio anno la Bundeswehr guida in Lituania un battaglione multinazionale permanente Nato, composto da olandesi, belgi e norvegesi.
Esiste poi un accordo pilota tedesco-norvegese per il settore marittimo, mirante ad aggregare l’industria europea degli armamenti, sulla base del modello usato per il comparto militare del gruppo Airbus. La Norvegia fa parte della Nato ma non della UE. Questo progetto è l’attuazione tedesca alla richiesta della Commissione UE.[6]
Le marine militari di Norvegia e Germania collaborano da anni, ma ora (14 settembre 2016), a seguito dell’acquisto da parte norvegese di quattro sommergibili da Thyssen Krupp Marine Systems (TKMS), la cooperazione militare si espande a comprendere anche l’industria degli armamenti. L’acquisto dei sommergibili garantisce per i prossimi anni una base di produzione ai cantieri navali tedeschi, e al contempo facilita operazioni militari congiunte delle due marine.
È prevista inoltre la produzione congiunta di nuovi missili anti-nave da parte dei gruppi norvegesi e tedeschi dell’industria militare – l’industria norvegese possiede una competenza riconosciuta, da sviluppare in cooperazione – e la collaborazione per la manutenzione, l’addestramento e la logistica.
Il progetto di collaborazione dell’industria militare europea mirerebbe, tramite la condivisione della capacità di sviluppo e di produzione, a raggiungere un’efficienza nella produzione di armamenti tale da consentire all’Europa di confrontarsi alla pari con le potenze mondiali. La relativa debolezza militare dei paesi europei, nei confronti degli Usa ad esempio, è dovuta in buona parte alla frammentazione dell’industria degli armamenti. Le divisioni europee frenano in ogni caso la sua attuazione, a favore di integrazioni parziali e competizione su vari tipi di armamenti.
Il rapporto della Conferenza di Monaco sulla sicurezza 2017 constata che le forze armate europee utilizzano ancora 17 diversi modelli di carri armati, mentre l’industria americana si concentra su uno solo; 27 modelli di obici europei, contro 2 americani, 20 diversi aerei da combattimento europei contro sei americani, 20 tipi di siluri europei contro i 4 americani.
Le armi sono una merce che come le altre deve confrontarsi su un mercato e vincere la concorrenza. L’esistenza di un mercato interno sicuro, ampio e unitario – in questo caso il mercato europeo che ha dimensioni equivalenti a quello americano – rappresenta una base di lancio per competere sul mercato mondiale. Lo ha dichiarato Mauro Moretti, l’amministratore delegato del principale gruppo italiano dell’industria degli armamenti Leonardo-Finmeccanica. Moretti considera un passo avanti l’“Implementation Plan on Security and Defence” approvato il 14 novembre a Bruxelles dal Consiglio dei ministri, un accordo a cui gli europei sono probabilmente giunti per l’effetto Trump, oltre che sulla spinta della lobby dell’industria militare. Moretti però sollecita a passare ai fatti, ad esempio a «cominciare a usare fuori area i battle groups».
L’italiano Leonardo-Finmeccanica è, assieme a Airbus, Thales, Safran e Indra, uno dei principali gruppi europei degli armamenti che fanno affari nelle aree di conflitto da cui fuggono i profughi. Sono questi gli stessi gruppi che si avvantaggiano della crescente militarizzazione delle frontiere UE, decisa dalla Commissione europea anche sotto la pressione della loro potente lobby. Nel 2015 il mercato della sicurezza delle frontiere aveva un valore stimato attorno ai 15 miliardi di euro.[7] Leonardo-Finmeccanica ha individuato nel controllo delle frontiere e nei sistemi di sicurezza uno dei motori principali per incrementare i suoi profitti. Al di là della politica delle alleanze, della scelta tra blocco imperialista UE o imperialismo USA, la UE è utile, pur traballante com’è, come motore di questo meccanismo di morte. Meccanismo di morte di cui approfitta anche Leonardo che, assieme a Airbus, ha vinto importanti contratti UE miranti a rafforzare i controlli delle frontiere.
L’Organizzazione europea per la Sicurezza (EOS), che comprende Thales, Finmeccanica e Airbus, ha fatto pressioni per una maggiore sicurezza delle frontiere. Molte delle sue proposte, ad esempio l’istituzione di un’agenzia europea per la sicurezza delle frontiere, sono diventate politiche europee, come nel caso della trasformazione di Frontex, la principale agenzia di controllo delle frontiere dell’UE, in “Guardia costiera e di frontiera europea”. Il suo bilancio è aumentato del 3688% tra il 2005 e il 2016. [8]
Ma oggi la UE è troppo vacillante per potersi opporre come blocco unitario politico-militare agli altri blocchi, ogni suo Stato sembra, nei fatti, più propenso ad affermare la propria sovranità nazionale e ad arraffare quanto riesce in proprio.
Così alle bellicose dichiarazioni a favore di un blocco armato europeo da parte della Commissione UE, fanno fronte i concreti preparativi bellici nazionali. I preparativi della Germania sembrano ambire ad una dimensione più ampia, ma è tutto da verificare che gli altri imperialismi europei – a partire da Francia e Italia – siano disponibili ad accodarsi anziché preferire una maggiore autonomia nazionale o decidere di restare ancora legati all’alleato statunitense, se la nuova politica di Trump lo permette.
I contrasti fra i vari paesi dell’Unione non fanno presagire una convergenza per le politiche militari; nei suoi ultimi interventi in Libia il governo Renzi si è mosso in accordo con gli Stati Uniti e in contrasto con la Francia. Ma, qualunque alleanza sceglierà l’imperialismo italiano nell’accelerato sviluppo degli assetti internazionali in corso – Nato/UE, o i piedi nelle due scarpe come da tradizione – nessuno dei suoi fronti rappresenta l’interesse del fronte dei lavoratori.
Le armi servono ad alcuni predoni per contendere ad altri predoni il dominio sul proletariato e sulle risorse del mondo, mandando i proletari a scannarsi gli uni contro gli altri. Come comunisti siamo contro la produzione di armamenti, una della maggiori manifestazioni di barbarie di questo sistema. Siamo contro gli armamenti di tutti gli stati, a partire da quello italiano, e contro le coalizioni militari tra stati imperialisti, a partire da quelli europei, per l’unione dei lavoratori in tutti i paesi, contro i rispettivi governi.
NO agli armamenti. No alla guerra.
No all’imperialismo, italiano o europeo.
NO al nazionalismo e al sovranismo.
SÍ all’internazionalismo dei lavoratori.
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[1] “Esercito federale” tedesco, le forze armate tedesche
[2] Il memorandum prevede l’integrazione della 4a brigata di intervento rapido dell’esercito ceco con la 10° divisione corazzata della Bundeswehr nel Sud Germania, a Veitshöchheim, presso Würzburg; analogamente l’81° brigata meccanizzata dell’esercito rumeno sarà posta sotto il comando della divisione tedesca di forze rapide. Previsto lo scambio di ufficiali, e addestramenti ed esercitazioni congiunte.
[3] La brigata franco-tedesca, composta per lo più da 3-4 battaglioni, con 4000 soldati come contingente massimo, venne limitata anche geograficamente, e il suo stato maggiore composto da ufficiali tedeschi e francesi.
[4] Esso prevedeva un’espansione di vasta portata della cooperazione – sulla base del nuovo corpo tedesco-olandese entrato in servizio il 30 agosto 1995 a Münster e del previdente rafforzamento delle strutture militari congiunte ad esso collegate. In particolare una intera brigata olandese doveva essere posta sotto il comando di una divisione tedesca di intervento rapido.
[5] Erano stati concordati: la creazione di comuni unità nelle forze armate, la reciproca subordinazione di singoli battaglioni, pattuglie marine nel Mar Baltico.
[6] Commissione Europea, rappresentanza italiana, 9.12.2016, “Difesa e sicurezza, nuove frontiere dell’integrazione europea”: «La parola chiave è sinergia. Si tratta di rendere più efficiente la spesa degli Stati membri, evitare duplicazioni, garantire l’interoperabilità, sviluppare tecnologie compatibili e realizzare economie di scala adeguate.»
[7] Dal rapporto: “Guerre di frontiera. Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa”, di Stop Wapenhandel, una ong olandese, pubblicato da Transnational Institute, 4.7.2016: https://www.tni.org/en/node/23109
[8] Ibid.