Immigrati “irregolari”, o profughi richiedenti asilo, vengono utilizzati come fonte di lauti guadagni da consorzi rossi e bianchi, tra loro alleati, nella gestione dei “Centri di accoglienza”, oppure come mano d’opera a basso costo, supersfruttata e ricattabile da parte di caporali e grandi proprietari terrieri. La loro questione torna alla ribalta della cronaca quando il livello dello scandalo è tale che non è possibile passarla sotto silenzio.
Ma, quando questo accade, emerge ancora una volta il ruolo complice dello Stato e dei suoi funzionari che non vogliono vedere lo sfruttamento dei braccianti, come nel caso vicende di Foggia, o che trattano come incidente stradale l’omicidio di un lavoratore in lotta, come nel caso di Piacenza.
Spesso, come accaduto per lo scandalo delle condizioni in cui vivono e lavorano i braccianti immigrati del CARA di Borgo Mezzanone in provincia di Foggia, l’unica soluzione offerta – anzi minacciata – dalle autorità dello Stato italiano, in questo caso dal ministro degli Interni Alfano, è stata “lo sgombero delle strutture abusive sorte negli anni a ridosso della struttura, di proprietà dell’esercito (i cui vertici, ricordiamolo, sono stati arrestati nel febbraio 2015 per gli appalti relativi alla gestione del complesso, mentre la cooperativa Sisifo, vincitrice della gara d’appalto – la stessa che gestisce il CARA di Mineo, nei pressi di Catania – è coinvolta nelle maglie dell’inchiesta di Mafia Capitale)”, come scrive Campagne in Lotta il 14 settembre.
Emergono, anzi ri-emergono, i traffici lucrosi provenienti dalla gestione dei CARA. Basti l’esempio della cooperativa cattolica “Senis Hospes”, legata a Comunione e Liberazione, che gestisce il Centro di Borgo Mezzanone e altri centri per conto del consorzio Sisifo (Legacoop, legata al renziano partito di governo), e che incassa 14 000 euro al giorno, 22 euro per ognuno dei richiedenti asilo, oltre 15 milioni per l’appalto triennale. Un prezzo pagato con le tasse dai lavoratori per impinguare le tasche di un ristretto numero di affaristi, funzionari statali e politici di schieramenti che si dicono “politicamente opposti”, ma che di fatto sono uniti nell’arraffare.
Il Centro di accoglienza, che serve da giustificazione per il suddetto giro di affari, offre ai richiedenti asilo condizioni disumane di alloggio, e funge da rifugio oltre che per i richiedenti asilo anche per un numero probabilmente superiore di “abusivi” (per un totale presunto di 1500 persone) e da base per quelli tra i profughi che sono riusciti a trovare lavoro nelle campagne circostanti.
Questi braccianti escono la mattina prima dell’alba da una delle quattro aperture della recinzione, ben note alle guardie – che si guardano bene dall’impedire l’andirinvieni utile al caporalato locale, o dal proteggere gli “ospiti” da tutta una serie di mafie, italiane e straniere, che sfruttano a loro vantaggio in tutti i modi immaginabili la misera condizione dei profughi. Rientrano verso le dieci di sera, dopo una lunghissima giornata di fatica nei campi del foggiano, pagata ben … 15 euro, una miseria più misera dei 25 euro pagati ai braccianti esterni al campo perché, a loro, il vitto e l’alloggio lo paga lo Stato! Questo diverso trattamento ha anche la funzione di innescare tensioni tra gli stessi braccianti, e di dividerli nelle loro eventuali rivendicazioni.
L’interessante reportage dell’Espresso, sulle condizioni dei profughi nel centro di Borgo Mezzanone, non parla però della lotta che, da un anno, in provincia di Foggia un gruppo di immigrati sta conducendo in modo organizzato. Essi chiedono il permesso di soggiorno, o il rinnovo per chi già ce l’ha, chiedono “le carte” come presupposto alla possibilità di avere un contratto di lavoro, e di conseguenza di avere una “visibilità” politica, per non essere considerati una merce sfruttabile a piacere perché ricattabili in quanto “invisibili/non esistenti” per l’ipocrita stato della borghesia italiana. Chiedono al ministero dell’Interno una sanatoria per tutti coloro che vivono in campagna.
I media e le organizzazioni politiche borghesi non vogliono riconoscere la base oggettiva del dramma dell’emigrazione di massa e di quanto ne consegue. Dalle acque del Mediterraneo, alle rotte balcaniche o dalla Libia, ai CARA italiani, e poi al lavoro irregolare nelle campagne di Puglia e altrove, nei cantieri e negli opifici, nella logistica, etc. dove gli immigrati devono sottostare a condizioni schiavistiche. Non vogliono riconoscere che l’origine primaria dell’emigrazione di massa del nostro millennio sta nello sviluppo capitalistico e nelle guerre che le frazioni nazionali della borghesia conducono tra loro per la supremazia; che lo sfruttamento di questa emigrazione forzata nei CARA o nei campi, nei cantieri o magazzini della logistica ha la sua origine nei rapporti sociali capitalistici, nella dittatura del capitale sulla forza lavoro.
Non lo vogliono riconoscere per non pubblicizzare un evento “sorprendente” per la visione pietistica che essi diffondono nell’opinione pubblica nei confronti di questi “poveri” immigrati. Il fatto che tra questi immigrati ci sono lavoratori che hanno deciso di non subire e di non affrontare in modo individuale il peso delle loro condizioni, hanno deciso di prendere in mano la propria sorte conducendo una lotta di classe in modo organizzato, aiutati da Campagne in Lotta e da Si-Cobas.
Non vogliono pubblicizzare la lotta … perché essa paga. Paga dal punto di vista della dignità umana, dal punto di vista della difesa dei diritti umani e di lavoratori.
Dopo lo sciopero che il 25 agosto scorso ha bloccato la filiera del pomodoro, il 7 settembre essi hanno ottenuto un incontro tra il Comitato dei Lavoratori delle Campagne, la Rete di Campagne in Lotta e il Questore di Foggia. E hanno ottenuto che venga eliminato il requisito della residenza, anche se la burocrazia ha finora preso in esame solo i casi di un ventesimo circa delle persone “irregolari” (calcolate almeno in 600). Finora però le autorità prefettizie non hanno neppure invitato i braccianti partecipare agli incontri, a porte chiuse, sulla lotta contro il caporalato. Come spiega Campagne in Lotta, per i braccianti le soluzioni sono evidenti: “i permessi di soggiorno e il rispetto dei contratti di categoria, che fra l’altro prevedono il trasporto per andare al lavoro e l’alloggio per gli stagionali”. Ma aumenta in loro la convinzione che queste misure non verranno elargite, che le conquisteranno solo con la lotta sul campo.
Una lotta che può essere rafforzata se trova la solidarietà degli altri lavoratori, italiani e immigrati, dalle fabbriche ai cantieri, dai campi ai magazzini. Sembra invece purtroppo in espansione, sia tra i lavoratori che a livello sociale in generale, un’ideologia opposta, che vorrebbe anteporre i presupposti interessi degli “italiani” a quelli degli immigrati. Un’ideologia nazionalista che induce anche molti lavoratori a guardare quasi con fastidio alle lotte condotte dagli immigrati, considerati ospiti indesiderati, forse anche parassiti, e concorrenti dei lavoratori e disoccupati italiani. Perché la solidarietà di classe possa maturare, vincendo il nazionalismo e la xenofobia, ed esprimersi con iniziative concrete, coloro che hanno già raggiunto una coscienza politica in tal senso devono lavorare per diffonderla nella classe lavoratrice e a livello sociale, dai luoghi di lavoro, al sindacato, alla scuola.