L’ennesimo scandalo bancario distrugge un altro mito

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L’Italia ha una lunga tradizione di scandali bancari (vedi riquadro), interventi di salvataggio da parte dei governi, feroci scontri politici su metodi e tempi dei salvataggi, in cui non è mancato talvolta il diretto intervento della malavita più o meno organizzata, compresi assassini di magistrati, banchieri e testimoni.

Il recente scandalo che riguarda Banca Popolare di Etruria e Lazio, Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti distrugge un altro mito. Non solo non è vero che “piccolo è bello”, ma non è vero nemmeno che “finanza locale” contrapposta a finanza internazionale è sano. Le piccole banche locali, in cui lo sportellista è tuo cugino e col direttore bevi un cappuccino al bar, sono come o peggio delle altre. Imbrogliano anziani pensionati, costringono i dipendenti a sottoscrivere obbligazioni rischiose e a imbrogliare amici e parenti sotto l’ombrello ideologico della banca che è fortemente integrata nel territorio. E’ il capitalismo che funziona così, non importano le dimensioni e neanche la scritta “popolare” sull’insegna.

Oggi è chiaro che di popolare e condiviso queste banche hanno solo le perdite, mentre i profitti restano rigorosamente elitari e gestiti privatamente.

L’intervento di Bankitalia e governo
Dall’oggi al domani le 4 banche sono state liquidate (il 22 novembre 2015), le loro “sofferenze” sono state attribuite tutte a una sola “bad bank”, mentre sono state create 4 nuove banche-ponte che proseguono per tutte le altre attività con un nuovo capitale fornito da tre banche prestatrici (Intesa S. Paolo, Unicredit, UBI banca). L’operazione vale 3,6 miliardi di €. In base alle nuove norme europee azionisti e obbligazionisti non privilegiati (per un totale di 2,7 miliardi distribuiti su 130 mila risparmiatori, 35 mila in Toscana, 40 mila nelle Marche, 55 mila nel resto d’Italia) devono contribuire ai costi di ristrutturazione e risoluzione delle banche prima di qualunque intervento pubblico. Se necessario verranno utilizzati i capitali dei correntisti oltre i 110 mila €.

Come nel caso della Popolare di Vicenza (gestita da Zonin e da esponenti della Lega), le quattro banche erano gestite in modo avventuroso, concedevano prestiti senza adeguate garanzie agli amici degli amici. Solo che stavolta non si tratta solo degli amici di Berlusconi e di Alfano, ma anche di amici di Renzi e secondo il commissario UE ai servizi finanziari, Jonathan Hill “il governo italiano è responsabile”. Ma è già in atto lo scarica barile in particolare da parte di Bankitalia e Consob, a cui in teoria, toccava “la sorveglianza”. Bankitalia “sapeva”, ma ha autorizzato l’aumento del capitale ad es. di Banca Marche o lo spropositato acquisto di Bot da parte di Banca Etruria o il fatto che si prestava assai di più della quota consentita dalle norme vigenti. In proporzione al patrimonio, che infine si presentavano bilanci truccati.

Lo scontro sul come
Secondo gli avvocati dei gabbati il governo ha scientemente scelto una strada di “salvataggio” che garantisce alle banche salvatrici un miliardo in sgravi fiscali e dà alle grandi agenzie di riscossione crediti l’occasione di lucrare.

In alternativa si esalta il metodo di salvataggio scelto nel 1982 per il Banco Ambrosiano da Ciampi, allora governatore Bankitalia: un pool di banche (tre pubbliche e tre private) che finanziarono il Nuovo Banco Ambrosiano accollandosene i debiti. Ma allora furono garantiti i creditori italiani, scaricando perdite e responsabilità sulle filiali e sui creditori esteri con grande ira del governatore della Banca di Inghilterra (potrebbe non essere un caso che Calvi sia stato impiccato sotto un ponte di Londra).

Oggi il ruolo di Bankitalia rispetto al governo italiano e alla Commissione europea risulta perlomeno sbiadito, ma soprattutto le perdite vengono scaricate principalmente su azionisti e obbligazioni subordinate, che consapevolmente o meno, hanno funzionato da finanziatori delle Banche fallite.

Non è una operazione indolore per il premier Renzi, espressione elettorale dei territori dove le banche erano collocate, ma evidentemente una valutazione di merito è stata fatta in vista delle amministrative 2016, che riguardano 1320 comuni fra cui Torino, Milano Trieste Bologna Roma e Napoli.
Renzi per ora ha fatti salvi gli interessi dei suoi sponsor.

Chi esce senza danno o anzi guadagna dal fallimento?
I manager , molti dei quali sono di area PD e che hanno ottenuto prebende elevate per mandare in fallimento le banche stesse. Ma anche le piccole e medie imprese beneficiarie dei prestiti che non sono tenute a rimborsare i prestiti qualora le garanzie offerte siano inferiori. Infine i Fondi specializzati nel recupero crediti (nota 1) che rileveranno per pochi spiccioli le “sofferenze“, i “crediti deteriorati” delle vecchie banche (che ammontano a 8,5 miliardi di € ma sono acquisibili per 1,5 miliardi), garantiti da ipoteche ecc. su beni mobili o immobili (capannoni ma anche abitazioni). I Fondi sono liberi di ricavarne il ricavabile che andrà a loro esclusivo vantaggio mentre ad azionisti e possessori di obbligazioni subordinate non toccherà nulla. Si mormora che in prima fila ci sia Algebris di Davide Serra, lo sponsor di Renzi alle primarie 2012 e pare che la legge 132/6 agosto 2015 varata dal governo avvantaggia i riscossori di crediti che potranno velocemente pignorare e rivendere i beni in questione.

Quindi commenta Linkiesta (Crisi delle piccole banche, ecco chi ci guadagna) “ci sarebbe un grande spostamento di ricchezza, dagli azionisti delle banche fallite agli operatori del recupero credito” e aggiungiamo noi anche alle “banche salvatrici”. Esattamente come nel caso delle bolle speculative in Borsa, alcuni perdono, ma altri, magari non sbattuti sulle pagine dei giornali, hanno guadagnato.

E’ dubbio invece il vantaggio per i lavoratori delle banche, cui è stato promesso ma non garantito il mantenimento del posto di lavoro.

La battaglia sulle Popolari
Il fallimento delle 4 banche, che segue quello della Banca di Vicenza è un episodio della battaglia intorno alle Banche Popolari e al tentativo di favorirne la concentrazione, aprirle agli investitori stranieri, eliminare il “voto capitario” (che da diritto di voto indipendentemente dal capitale rappresentato) che lungi dall’essere uno strumento “sociale” consente ai politici di operare pressioni e carpire favori a livello locale e alle imprese anche di medio piccole dimensioni di ottenere finanziamenti. Non a caso le Fondazioni bancarie di Pesaro Macerata Jesi e Fano sono state completamente esautorate.

Il ruolo dell’Europa
Il governo si nasconde dietro la “responsabilità dell’Europa”.
Può essere interessante ricordare che Basilea 3 e tutte le norme europee che regolano le esposizioni delle Banche avrebbero dovuto impedire l’eccessiva esposizione in crediti non recuperabili e anche il raggiro dei risparmiatori. In realtà la BCE non ha l’autorità di vincolare le banche nazionali a comportamenti “virtuosi”, ma può solo impedire che si usino direttamente e platealmente i soldi pubblici per ripianare i debiti.

C’è una tentazione nel commentare questi fatti che va evitata.
Limitarsi a colpevolizzare i gabbati, in particolare chi ha investito nelle obbligazioni subordinate, perché “dovevano sapere” oppure brandirne la causa in modo acritico.
Lasciamo agli avvocati le class-actions.
Il problema di fondo è che pensare a un mitico sistema finanziario che prospera e distribuisce dividenti e interessi mentre l’economia non tira, è illusorio.

E’ una tentazione forte anche “da sinistra” perché oggi il risparmiatore non è più solo il grande o piccolo borghese. Risparmiano anche gli operai, almeno quelli più anziani, e i lavoratori in genere. Che sono ovviamente sensibili alla tematica, perché davvero sono “risparmi sudati”.

Ma occorre evitare di unirsi al coro di chi dice che quelle banche sono fallite perché mal condotte o perché corrotte. E’ vero, ma il fatto è che è vero per l’intero sistema bancario italiano e internazionale. Secondo stime ABI sul sistema bancario italiano gravano 200 miliardi di € di “sofferenze”, cioè crediti non esigibili, e 150 miliardi di “incagli”, cioè crediti difficili da riscuotere. Draghi ha proposto come soluzione tante “bad bank con garanzia della Cassa Depositi e Prestiti”, quella per intenderci finanziata dai risparmi raccolti dalle “solide” Poste italiane.

Non esistono dunque, “banche buone” e “banche cattive”, ci sono banche più forti, meglio rappresentate politicamente e quindi più in grado di scaricare le perdite direttamente sul contribuente. Ma tutte salvaguardano i profitti del “nucleo forte” degli azionisti e anche in tempo di crisi si sono arricchite. Ma nel momento in cui i nodi sono venuti al pettine il grande capitale espropria il piccolo, come è sempre avvenuto.

Nota 1: esiste una fioritura di questi “specialisti” da quelli italiani come Banca Ifis, Cerved Group (divisione Credit Management) e AZ Holding, a quelli stranieri ma operanti in Italia come Fortress, Active Capital, Anacap, Alvarez & Marsal , Kkr e Algebris di Davide Serra.

Una storia di scandali e di grande e piccola criminalità

1892: fallisce la Banca Romana, che ha emesso il doppio delle banconote autorizzate. Cade il governo Giolitti e viene creata Banca di Italia per controllare l’emissione di liquidità
1921: fallisce la Banca di Sconto come conseguenza di eccessiva esposizione verso le industrie belliche, in particolare l’Ansaldo
1979: viene ucciso Giorgio Ambrosoli che indagava sulla Banca Privata Italiana di Michele Sindona
1982: crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi (4 miliardi di lire di debito)
2005: fallisce la Banca Popolare di Lodi
2014: il Monte dei Paschi di Siena chiude il bilancio con un buco di 10 miliardi di €
2015, estate: scoppia il caso della Popolare di Vicenza, in rosso per 1,1 miliardi di € nel solo ultimo semestre