Ayotzinapa 43, la menzogna storica due anni dopo

desaparecidos

La notte del 26 settembre di due anni fa, ad Iguala (Guerrero-Messico), un centinaio di studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, in gran parte figli di contadini di una zona rurale tra le più povere del Messico, vennero bloccati dalla polizia locale: due vennero uccisi, altri fuggirono sulle montagne, 43 di loro vennero consegnati al gruppo criminale dei Guerreros Unidos. Da allora non si sa più nulla di loro. Secondo le ricostruzioni vennero bruciati (già morti o ancora in vita), i resti gettati nella discarica e nel fiume di Colula.

Da subito finirono sotto accusa come mendanti il sindaco di Iguala Jose Luis Abarca e la moglie, legati a partiti della sinistra parlamentare (Abarca appoggiandosi alla corrente “Nueva Izquierda” del PRD vinse le elezioni con una coalizione PRD, PT, Movimiento Ciudadano), che fuggirono e vennero arrestati dopo oltre un mese di latitanza.

A tutt’oggi non v’è la certezza che i resti appartenessero ai 43. Gli esami del DNA condotti da un laboratorio austriaco hanno permesso di identificarne solo due. In questi due anni le ricerche hanno portato alla scoperta nella zona di oltre 30 fosse comuni, le “narcofosse”, dove i gruppi criminali legati ai narcos gettano le proprie vittime.

Complessivamente nelle indagini sono state arrestate oltre 100 persone tra cui agenti di polizia ed aderenti al cartello Guerreros Unidos.

In questi due anni si sono svolti cortei e manifestazioni in tutto il Paese, aperte dai genitori dei ragazzi scomparsi, per esigere la verità. Non sono mancati scontri con l’esercito, feriti e arresti di manifestanti. Gli esponenti del GIEI, gruppo indipendente per i diritti umani che fa capo alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani (CIDH) e che indagano sulla sparizione dei 43, di fatto allontanati ad aprile dal Paese, hanno contestato la versione ufficiale, vista come un mezzo per chiudere la questione senza accertare tutta la verità e scoprire i vari livelli di responsabilità. Da più parti si parla di “crimine di Stato”, dell’intreccio tra gruppi criminali ed apparati dello Stato, del coinvolgimento nei fatti della Polizia Federale e dell’Esercito. A tutt’oggi il ruolo avuto quella notte dal 27° Battaglione di Fanteria dell’Esercito di stanza nella zona non è chiaro. Álvarez Icasa, già responsabile della CIDH, dagli USA ha dichiarato che “Ayotzinapa è un crimine di Stato, la negazione dei diritti umani ha portato ad una crescente decomposizione del Paese, e l’amministrazione del presidente Peña Nieto ha stabilito un sistema di complicità con l’esercito, così come altre autorità locali fanno col crimine organizzato” («Proceso» 2082).

manifestazione

Le proteste dei genitori degli scomparsi hanno portato alla rimozione dall’agenzia investigativa criminale (AIC) di Thomas Zeron, fautore della versione ufficiale (rimosso ma promosso ad altro incarico nel Consiglio Nazionale di Sicurezza). La vicenda dei “43” ha portato l’attenzione internazionale su di un Paese con livelli di corruzione altissimi, dove ogni giorno si contano decine di morti accompagnati da “narcomessaggi” dei criminali che controllano il territorio, si scoprono nuove “narcofosse” (in dieci anni 201 narcofosse con 662 cadaveri), dove si contano migliaia di sparizioni forzate (oltre 28mila). Molte zone vengono militarizzate, col risultato che ad essere colpiti spesso, invece che i gruppi criminali, sono attivisti politici e sociali (è il caso della sanguinosa repressione contro i maestri della CNTE in sciopero), gruppi di autodifesa (es. Michoacán), studenti, migranti, gruppi indigeni.

I genitori dei 43 scomparsi si sono compattati dedicando le proprie energie alla ricerca della verità. Hanno rifiutato le offerte di denaro come indennizzo. “Due anni dopo siamo attivi e disposti a continuare la lotta, perché siamo morti in vita. Questo non è vivere: pensare che tuo figlio stia bene, se abbia mangiato, se abbia freddo, è una morte psicologica, che non si augura a nessuno”.