SCIENZA
CORRIERE Mar. 14/3/2006 Federica
Cavadini
Email di Ilaria Capua a 50 colleghi: non posso aspettare
di pubblicarle, la ricerca si fermerebbe
Informazioni preziose per la ricerca custodite come
brevetti, persino nell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
N.d.R.:
la logica del mercato, dove anche la conoscenza va pagata e anche nella scienza
la concorrenza trionfa sulla collaborazione.
Informazioni preziose nella
lotta al virus dell’aviaria tenute nel cassetto per mesi da ricercatori più attenti
al successo personale che alla salute pubblica. Sequenze del virus dei polli,
su cui dovrebbe lavorare senza perdite di tempo il maggior numero possibile di
«cervelli», utilizzate prima per far carriera e poi per salvare vite umane.
Così fanno nove ricercatori su dieci. La denuncia è in una mail di dodici righe spedita da Ilaria Capua,
virologa dell’Istituto zooprofilattico di Legnaro – il centro che un mese fa ha
isolato il virus H5N1 del primo focolaio africano, in Nigeria – a cinquanta
colleghi di tutto il mondo. «Molti mi avevano chiesto accesso
"riservato" a quei dati. Ho risposto che li ho messi in rete a
disposizione di tutti. E ho invitato i colleghi a fare altrettanto – spiega
la ricercatrice – Purtroppo la maggior parte di noi li deposita soltanto
dopo aver ottenuto la pubblicazione su una rivista scientifica: l’aviaria fa
audience e molti pensano prima di tutto al successo personale. Materiale
strategico per arrivare al vaccino viene tenuto nei congelatori anche un anno.
Così si rallenta la ricerca. E non siamo pagati per questo». La mail è stata
spedita dalla Capua pochi giorni dopo la scoperta del suo laboratorio, il 16
febbraio scorso. Ma all’appello finora hanno risposto in pochi. «Qualcuno mi
ha ringraziato, qualcuno mi ha fatto i complimenti ma pochi ci hanno seguito.
Per esempio: ci sono stati focolai in Asia centrale e in Egitto e quelle
sequenze non sono depositate. Eppure la fame di informazioni c’è, infatti i
nostri dati sono già stati scaricati più di mille volte».
L’Organizzazione mondiale della sanità ha banche dati protette, come quella
di Los Alamos nel New Mexico: molte informazioni (un terzo delle sequenze note)
a disposizione di pochi. Capua è stata contattata per entrare nel giro
ma ha respinto al mittente quella che a lei è sembrata una proposta indecente:
la sequenza in cambio della password. «Ho rinunciato a far parte di quel
ristretto gruppo di laboratori, una quindicina, che può utilizzare i loro
dati». E ha messo in rete sul sito Offlu tutto quello che aveva. Nessun ripensamento:
«perché stiamo parlando del più grosso rischio per la salute umana degli ultimi
cento anni – dice Capua -. Questo virus in Africa diventerà presto endemico,
mancheranno i polli che lì sono la fonte proteica principale: che cosa
mangeranno i 35 milioni di orfani per l’Aids?». E’ una corsa contro il tempo.
«Le informazioni devono circolare perché ognuna di quelle sequenze può
contenere la chiave per arrivare al vaccino – spiegano i virologi del
laboratorio padovano – Non si sa ancora se il virus in Nigeria è arrivato
con uccelli selvatici o commercio di pollame: se fossero disponibili tutte le
sequenze isolate questo si saprebbe».
Alla denuncia di Capua il Wall Street Journal ieri ha dedicato
un’intera pagina, mentre lei era impegnata in un convegno a Parigi. Reazioni
dei colleghi? «Mi hanno chiesto come intendevo fare con il problema delle
pubblicazioni, perché se depositi la sequenza prima di averla pubblicata
chiunque può appropriarsi del tuo lavoro. Ho risposto che la nostra priorità è
quella di salvare vite umane, non di pubblicare».