Gli Arditi del Popolo nascono in Italia nell’estate del 1921, dopo che da circa otto mesi il movimento operaio e contadino è duramente colpito, nei suoi militanti e nelle sue strutture, da una violenta ondata di terrore fascista, appoggiato dallo Stato liberale.
E’ un movimento che sorge per iniziativa di ex “Arditi” i quali, a differenza di molti altri, invece di rimpolpare le schiere dello squadrismo decidono di rappresentare l’esigenza proletaria di resistere con le armi allo stillicidio di omicidi, pestaggi, devastazioni e intimidazioni inflitto alla parte più cosciente degli sfruttati.
Gli Arditi del Popolo si distinguono per la determinazione con cui intendono reagire al sopruso squadristico e per la ramificazione nazionale -seppur poco centralizzata- del loro séguito. Difettano essi certamente di “visione” e di chiarezza politica (in mezzo a loro troviamo infatti militanti di base comunisti, anarchici, socialisti, repubblicani, senza partito), ma l’elemento che emerge è il valore politico della loro apparizione, nonché la loro penetrazione negli strati popolari.
Di ciò non tengono conto i “partiti operai” dell’epoca. Il PSI è ormai schierato su posizioni di riformismo gradualista che negano la necessità di ribaltare il capitalismo. Anzi, esso sta preparando (agosto 1921) un vero e proprio tradimento della lotta proletaria attraverso la sigla del famigerato “Patto di pacificazione” col fascismo; cosa che deprimerà e disarmerà vasti settori di classe.
Il PCd’I, che ha in merito storico di avere rotto politicamente e organizzativamente con tale linea di capitolazione, lancia la giusta parola d’ordine di “rispondere alle armi con le armi”, impronta una coraggiosa “difesa armata di partito”, ma evita accuratamente di “mischiarsi” con fenomeni -come appunto gli Arditi del Popolo- che non può direttamente ed in prima battuta “controllare” e “guidare”. L’Esecutivo del PCd’I arriva a minacciare di espulsione dal partito chiunque si faccia promotore o aderisca agli Arditi del Popolo.
Un atteggiamento di questo genere contribuirà ad isolare e screditare gli Arditi del Popolo, lasciandoli in balìa della dura repressione statale che di lì a poco metterà fine alla loro esistenza. Nonostante ciò in molte realtà, in quei mesi cruciali, numerosi militanti comunisti si rendono ugualmente partecipi diretti alle formazioni del movimento che in alcune realtà (Parma, Roma, Civitavecchia, Sarzana, Viterbo, Bari, Novara) mettono in scacco la tracotanza fascista.
Il volume di Alessandro Mantovani: “Gli Arditi del Popolo, il Partito Comunista d’Italia e la questione della lotta armata (1921-1922)“, edito da Pagine Marxiste, presentato dall’ Autore nella nostra sede di Milano il 16 c.m, mette bene in luce questi aspetti, soffermandosi in particolare sui problemi politici che inducono il neonato partito a non entrare “ufficialmente” nelle dinamiche di quel movimento antifascista.
Uno degli aspetti più importanti che emergono da tale rifiuto del PCd’I è riconducibile ad una concezione della lotta politica “schematica”, che evita la valutazione delle situazioni concrete: privilegiando la declamazione dei principii a discapito di un’azione ad ampio raggio capace di influenzare anche i movimenti “spuri” per volgerli in senso anticapitalista. Un insegnamento assai attuale anche per l’oggi, per chi si pone nell’ottica di una ripresa del movimento di classe che approdi alla formazione dell’organizzazione politica di classe.
Convinti che tale lavoro per il partito, nella situazione attuale, abbia comunque in sé elementi sufficienti per essere messo all’ordine del giorno (se non nelle acquisizioni delle larghe masse, perlomeno nelle dinamiche delle avanguardie politiche di classe), pubblichiamo la relazione del compagno Mantovani auspicando che essa susciti l’interesse che merita.
Qui sotto il link al video della conferenza:
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