Anche nelle miniere di carbone, il capitale divora la vita e l’energia di uomo e natura in nome del profitto

SOMA

Miniera di carbone di Soma, provincia di Manisa in Turchia occidentale, a 250 km dalla capitale Istanbul. A 420 metri sottoterra, e a 4 km dall’uscita ci sono 787 minatori. È il cambio dei turni, verso mezzogiorno di martedì 13 maggio. Un difetto nel circuito elettrico provoca lo scoppio di un trasformatore, segue un incendio, l’esplosione causa un blackout, gli ascensori non funzionano più e bloccano i lavoratori in un inferno in cui 205 minatori perdono la vita, 80 i feriti; si parla già del più grave disastro minerario della Turchia, e si teme che il numero delle vittime si riveli superiore. Intrappolati sottoterra ci sono ancora 400 minatori, a rischio di avvelenamento da biossido di carbonio. Il tasso di sopravvivenza a seguito di incidenti nelle miniere di carbone è molto basso rispetto a quello per le altre miniere.

Si tratta dell’ennesimo prevedibile “incidente” dovuto alla sete di energia del capitalismo mondiale in sviluppo, ma soprattutto alla avidità di plusvalore che esso spreme dalla classe dei salariati. Minori sono i costi delle misure di sicurezza, maggiore è il guadagno che il padrone delle miniere – in questo caso SOMA Kömür İşletmeleri A.Ş. – estrae dal lavoro dei minatori. La miniera di Soma è una delle maggiori riserve di lignite del mondo, 125 mn. di tonnellate stimate, 2 mn. di tonprpodotte annualmente. Governo turco e proprietà si sono affrettati a dichiarare che la miniera era in regola con i regolamenti di sicurezza, subito contraddetti da un esponente dell’opposizione ricorda che negli ultimi anni sono state rilevate 66 infrazioni alla sicurezza nella miniera di Soma, senza alcuna sanzione pecuniaria emessa; solo 20 giorni fa’ il partito al governo ha respinto una proposta parlamentare di inchiesta sulla sicurezza dei minatori a Soma.

Come spesso accade in occasione di un massacro di queste proporzioni fin dalle ore successive al disastro il governo dell’AKP ha predisposto l’invio a Soma di diverse unità militari per prevenire le manifestazioni di rabbia della popolazione locale e dei familiari degli operai, senza mancare poi di fare circolare cifre sottostimate (appena 5 secondo il governo) sul reale numero delle vittime. Al di là della becera condotta governativa su questo aspetto quello che è importante sottolineare è come “l’incidente” sia frutto del piano di privatizzazione che investe da anni l’intero settore energetico in Turchia. La SOMA è stata infatti una delle compagnie che più ha tratto profitto dalla legalizzazione del sistema delle royalties nel 2005 grazie al quale le compagnie private riescono ad ottenere l’affitto agevolato dei siti di estrazione in cambio della cessione allo stato di una quota delle materie estratte. Le conseguenze ovvie di questo processo sono state una maggiore precarizzazione delle condizioni di vita dei minatori spesso spogliati delle più elementari tutele, sia sul piano dell’organizzazione sindacale che sul piano della sicurezza sul lavoro, attraverso un complesso sistema di subappalti che consente a padroni e padroncini del settore di assumere minatori inesperti, in alcuni casi ragazzini, che mettono a rischio la propria vita per un salario medio di 500 dollari mensili.

Ma come ha dichiarato il primo ministro turco questi “incidenti” mortali per i minatori sono “parte del mestiere”. In breve: il mestiere degli operai prevede la morte, quello dei padroni e dei loro servi nelle istituzioni solo grassi profitti. La rabbia delle famiglie dei minatori di Soma che hanno contestato duramente Erdoğan in visita nella miniera ha suscitato la risposta immediata delle organizzazioni sindacali DISK e KESK che hanno proclamato lo sciopero generale per la giornata di domani, e delle organizzazioni comuniste che hanno organizzato manifestazioni scontrandosi con la polizia individuando come obiettivo le sedi della SOMA e gli uffici del ministero dell’energia in diverse zone del paese da Ankara, Istanbul, Izmir, Antalya, Eskişehir, Adana, Samsun.

Monumento minatore

La Turchia ha il peggior record di incidenti minerari in Europa e il terzo peggiore nel mondo. In 73 anni sono stati uccisi in Turchia oltre 3000 minatori. Il peggiore finora è stato quello del 1992, 263 vittime in una miniera di Zonguldak, sul mar Nero.

Ma il record degli omicidi perpetrati dai padroni delle miniere di carbone appartiene alla Cina che, con una media di 13 al giorno, vanta circa l’80% del totale mondiale di vittime pur producendo solo il 35% del carbone mondiale.

Sono tutte vittime di una guerra tra capitale e lavoro salariato. Le immagini che riportano le tragedie del lavoro con le enormi sofferenze che provocano per le famiglie delle vittime e per quelle dei sopravvissuti, spesso gravemente menomati, non sono diverse da quelle offerte da un paese in guerra, o dalle tragedie dei naufragi di immigrati in fuga da situazioni di vita inumane. Le cause profonde sono sempre le stesse. Un’organizzazione sociale che antepone il profitto del capitale al valore e alla dignità della persona umana, e che in suo nome sacrifica tutte le energie di cui riesce ad appropriarsi, da quelle che strappa alla natura alla forza lavoro dei proletari.

Anche le ideologie verdi soccombono facilmente in nome del profitto. La crisi finanziaria internazionale e la crisi dell’euro hanno reso appetibile per il mercato europeo, finora il più “pulito” del mondo, anche il carbone americano ricco di zolfo e perciò ad alte emissioni. Una settimana fa titolava il Wall Street Journal: “Il basso costo la vince sull’alto contenuto di zolfo”. Nel 2013 la UE ha importato 47,2 mn. di tonnellate di carbone dagli Usa, contro i 13,6 mn. del 2003. E questo in barba alla precedente svolta energetica a favore dell’ambiente. Le tensioni politiche con Mosca, legate alla crisi ucraina, potrebbero favorire ulteriormente le importazioni europee di carbone dagli Usa, oggi al secondo posto dopo la Russia.

Nel 2010, dopo un incidente nella miniera di carbone Upper Big Branch nel West Virginia in cui morirono 25 minatori, il Ceo della società carbonifera americana, Massey Energy Co, proprietaria della miniera e maggiore società mineraria degli Appalachi, ebbe a dichiarare: “In tutte le miniere di carbone in America ci sono violazioni”, “Le violazioni sono purtroppo una parte normale del processo minerario”. Un operaio di una ditta di subappalto della miniera denuncia: “ai minatori venivano chiesti turni di 12 ore, contro le 8 normali del settore; c’erano fili elettrici esposti, e veniva ignorata l’accumulazione di polvere di carbone e di metano”.

C’è chi ricorda però che negli Usa muoiono in media “solo” 30 minatori l’anno nelle miniere di carbone! Un prezzo che il capitale europeo ritiene evidentemente valga la pena di far pagare alla classe dei salariati!! È ora che i proletari si organizzino politicamente per togliere alla borghesia il potere di disporre della vita della stragrande maggioranza dell’umanità.

Manifestazioni

Cronologia degli incidenti minerari degli ultimi 30 anni in Turchia
7 marzo 1983, 103 omicidi, a Armutçuk
10 aprile 1983: 10 omicidi a Kozlu
31 gennaio 1987: 8 omicidi a Kozlu
31 gennaio 1990: 5 omicidi a Amasra
7 febbraio 1990: 68 omicidi a Yeni Çeltik
3 marzo 1992: 263 omicidi a Kozlu
26 marzo 1995: 37 omicidi a Sorgun
22 november 2003: 10 omicidi a Ermenek
8 settembre 2004: 19 omicidi a Küre
2 giugno 2006: 17 omicidi a Dursunbey
10 dicembre 2009: 19 omicidi in Mustafakemalpaşa
17 maggio 2010: 30 omicidi a Zonguldak
8 gennaio 2013: 8 omicidi a Kozlu
13 maggio 2014: 205 omicidi (finora) a Soma