L’elezione del nuovo presidente della repubblica aveva rafforzato l’esecutivo Renzi. Con un colpo spiazzante che denota una certa spavalderia e prontezza di riflessi, il presidente del consiglio aveva messo nell’angolo Berlusconi, costretto Ndc a fare ammenda, e ricompattato su Mattarella tutta l’area alla sua sinistra (a partire dalla minoranza PD), facendo “girare a vuoto” il M5S, che sulla carta rimane la seconda forza politica del paese dopo il PD stesso.
Gli effetti di questo colpo spiazzante si erano subito visti: reclutamento sotto le ali del renzismo di spezzoni della moritura montiana “Scelta Civica” (8 senatori), dopo che il nume tutelare stesso si è a sua volta sganciato, reclutamento de facto di pezzi del M5S in libera uscita, spezzettamento di FI in almeno tre tronconi, di cui uno (Fitto) con un piede fuori.
Vittoria politica che Renzi rivendica in questo modo: 1) il patto del Nazareno non era quella nefandezza che mi veniva imputata – dice – ma solo un patto sulle “riforme”; 2) inciucio con Berlusconi quanto si vuole, ma io – e non altri – ho mandato in tilt in Cavaliere.
Come non era difficile ipotizzare, tutto ciò ha prodotto delle forti reazioni, portando ad una nuova “balcanizzazione” parlamentare di cui le sceneggiate di questi giorni sulla riforma costituzionale sono emblema eloquente: opposizione “dura” di FI che sente il fiato sul collo di una Lega che spudoratamente batte le contrade del sud sotto veste “nazionalista”; aspettative della minoranza PD e di SEL rimesse sul terreno (vedi vicenda dei decreti sul Jobs Act in merito ai licenziamenti collettivi ed alla “nuova” cassa integrazione); minacce di far “saltare tutto” da parte di “aventiniani” dell’ultima ora, che dovrebbero appellarsi a Mattarella.
Con Renzi che si sente investito dall’autorità interna ed internazionale nel “tirare diritto”.
Contenziosi tipo quello in essere sulla riforma costituzionale sono sicuramente “fatti interni” alla classe dominante, dal momento e nella misura in cui non riguardano la condizione proletaria.
Però non dobbiamo interdici la possibilità di capire bene i movimenti politici dei nostri nemici di classe, che vanno pur analizzati al meglio se vogliamo fare intervento politico e non solo propaganda politica.
Dietro questa riforma costituzionale ci sta un vero e proprio rafforzamento del potere esecutivo sugli altri poteri della borghesia: nel senso di dare CONTINUITA’ e STABILITA’ agli equilibri di potere raggiunti dalle frazioni più influenti della classe dominante, sostenuti da un presidenzialismo “zoppo” o latente (di cui Napolitano è stato il massimo artefice) che nei fatti cambia in senso “autoritario” la costituzione (per noi marxisti la “razionalizza”, e la adegua alle dinamiche della lotta tra le classi). Senza rimpianto alcuno, ma dobbiamo vedere questa cosa.
La quale consiste nel passare dal bicameralismo al monocameralismo (con il Senato esautorato dal potere legislativo). Lo stesso Senato si ridurrebbe ad una istituzione diretta espressione di “eletti” dei singoli poteri regionali, dunque dei potentati locali. In poche parole: l’esecutivo ne uscirebbe rafforzato e consolidato, il varo delle leggi reso più celere, i tempi per “licenziare” provvedimenti d’urgenza nettamente tagliati (insieme al taglio del numero dei parlamentari). Se a questo si aggiunge il premio “maggioritario” dell’Italicum (la legge elettorale) con il relativo blocco delle liste (che tornerebbero appannaggio delle segreterie dei partiti), si può ben dedurre come si stia marciando verso quella che i “nostalgici” del parlamento “che fu” definiscono “democrazia autoritaria”.
Noi marxisti non ci piangiamo sopra e non rivendichiamo nessuna “difesa della costituzione”, dal momento che i proletari contano nulla oggi come contavano nulla ieri. Conta solo la lotta, l’organizzazione ed i rapporti di forza tra le classi.
Ci deve però interessare come la trasformazione si evolve, se non altro per vedere se è possibile mettere i classici “granellini di sabbia” nell’ingranaggio politico che garantisce lo sfruttamento.
E non certamente alimentando illusioni di “cambiamenti dall’interno” della democrazia borghese (che rimane comunque una democrazia dei ricchi e per i ricchi), bensì utilizzando tutte le contraddizioni di cambiamenti politici come quello in questione per condurre una energica campagna di denuncia, di agitazione e di mobilitazione tra le masse proletarie.
Si tratta anche di riuscire a vedere che -nonostante queste fibrillazioni- il governo Renzi continua nella sua marcia, dal momento che:
1) non deve fare i conti con una larga, diffusa, radicata lotta proletaria, nonostante sia proprio contro il proletariato che esso abbia scagliato TUTTA la sua energia;
2) tale governo incassa l’appoggio sostanziale di TUTTE le frazioni della borghesia (dal finanziere al piccolo padroncino), dal momento che fa pagare tutto ai soli proletari e dal momento che può così elargire qualcosa a tutti i borghesi (chi più chi meno): dagli sgravi fiscali e contributivi, ai salvataggi delle banche (vedi l’Etruria della famiglia Boschi. Ora si approssima lo scandalo UBI, 3° gruppo bancario italiano con 1.700 sportelli e 18.000 dipendenti…); dalla riforma delle “popolari” alla salvaguardia degli evasori (la non punibilità di chi sta sotto il 3% di evasione sul fatturato; che tutti hanno interpretato come misura salva-Berlusconi, ma che non è affatto tanto e solo quello).
In più: progetti di finanziamento per l ‘export (settore al quale si aggancia la “quasi ripresa” italiana) e voce tonante sulla politica estera (se si fa i timidi verso l’Ucraina e ci si barcamena verso la Grecia, si tuona nei confronti della Libia).
Una bella spedizione militare sulla “quarta sponda” sponsorizzata da Gentiloni (il ministro “crociato”) sarebbe un ottimo viatico per l’imperialismo italiano: e non semplicemente come “diversivo”, ma per difendere interessi ben concreti (ENI, e sciacallaggio in aree “calde” ma non nel mirino immediato di altri imperialismi: CORSI E RICORSI STORICI).
Renzi si sta giocando al meglio la combinazione Q.E. + calo del prezzo del petrolio + svalutazione dell’euro, spacciando un timido rallentamento della caduta degli indici economici come frutto della “bontà” della sue riforme.
Un po’ per necessità un po’ per virtù, questo messaggio ha una certa presa in vasti strati dell’opinione pubblica, inclini a ritenere che “il peggio stia passando”.
In Italia, dopo la manifestazione di sabato 14 febbraio in appoggio a Tsipras (che ha mobilitato i settori della sinistra “altra”, ma anche settori di quella “antagonista” con i propri contenuti), urge uno “spostamento di tiro” da parte della sinistra rivoluzionaria su:
Expo 2015 si avvicina: un evento sulla fame per continuare a morire di fame!
Anche il problema del “debito” è un problema di classe: fronte unico del proletariato greco col proletariato europeo contro il predominio del profitto e per l’abbattimento del capitalismo!
Né un soldo né un uomo per la guerra imperialista in libia ed in ucraina. Contro le le malefatte dell’imperialismo italiano: sfruttatore in patria, sfruttatore e guerrafondaio all’estero!
Se, come dice Marx, “la lotta di classe è lotta politica”, è a partire da temi politici qualificanti come questi che dobbiamo aprire un confronto concreto nel campo rivoluzionario.