Germania, America Latina, Brasile, rapporti potenza
– La nuova strategia tedesca, elaborata da rappresentanti del mondo economico e da think tank come la SWP(Fondazione di Scienza e Politica) – è stata presentata pubblicamente l’8 febbraio.
o Il fallimento della rivendicazione tedesca ad un seggio permanente nel CdS Onu sta a dimostrare che per sostenere i propri interessi a livello internazionale alla Germania occorrono – al di là delle alleanze già esistenti, UE e Nato – coalizioni e alleanze con le potenze leader in America Latina (Brasile), Africa (Sudafrica) ed Asia (India).
– Alla base di questa strategia gli spostamenti di potenza internazionali, come l’ascesa della Cina,
o ma anche gli sforzi di Berlino di garantirsi maggiore influenza sia all’interno dell’Europa che su tutti i continenti indipendentemente dagli Usa;
o Berlino può approfittare del fatto che alcune potenze regionali, come il Brasile, cercano di contrapporsi all’egemonia Usa.
– Il documento chiarisce che Berlino è interessata ai paesi che
o hanno una significativa potenza economica o forti tassi di crescita,
o disposti a mettere in campo la propria potenza;
o che hanno un peso centrale negli sviluppi regionali o globali;
o e soprattutto a quelli filo-occidentali, che offrono a Berlino la possibilità di nuove opzioni negoziali indipendenti da o anche contro gli Usa, senza escludere la possibilità di una coalizione contro la Cina, utile in caso gli Usa dovessero seguire una politica più aggressiva verso Pechino.
– Occorre creare reti di collegamento nel campo della formazione, scienza e ricerca; intensificare le relazioni culturali, conquistare per la Germania i futuri specialisti e dirigenti delle nuove potenze.
– La Germania potrebbe utilizzare allo scopo le risorse della UE, ma senza sacrificare i propri obiettivi ad una precipitosa europeizzazione;
o rientra nella strategia un forte ampliamento della cooperazione poliziesca e militare, presentata all’opinione con la parola d’ordine “pace e sicurezza”, “lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata”, da accompagnare con un aumento dell’export di armamenti.
o Da sfruttare il potenziale offerto dal fatto che le potenze regionali forniscono importanti contingenti militari nelle missioni Onu, collegate in alcune strutture di sicurezza regionali, come le truppe della Unione Africana.
– Una prima applicazione della nuova strategia di potenza tedesca si è vista nel viaggio in America Latina, Brasile e Messico, del ministro Esteri, Westerwelle.
– Da una analisi del 2009, commissionata dal governo tedesco alla SWP:
o il Brasile, sesta maggiore economia del mondo, grazie alle sue risorse materiali (risorse naturali, potenza economica, forze armate) e al suo cosiddetto “soft power” (iniziative e alleanze politiche ed economiche internazionali), potrebbe riuscire ad assurgere a leader del subcontinente americano; per la Germania, che lo appoggia in questi sforzi, potrebbe risultare un alleato molto utile ad accrescere la propria influenza nell’area.
o Inoltre il Brasile, pur proponendosi come rappresentante degli interessi dei paesi in via di sviluppo e di quelli emergenti, cerca di presentarsi come affidabile alleato del Nord.
– Le dichiarazioni e i negoziati di Westerwelle in Brasile sono in linea con questa analisi: il Brasile è forza motrice dell’America Latina; occorre collegare più strettamente scienza ed economia dei due paesi, per promuovere la formazione di “capitale umano” in Brasile e il suo utilizzo da parte dei gruppi tedeschi. Nel 2013 il governo tedesco darà il via in Brasile ad un “anno della Germania” per intensificare le relazioni tra le elite dei due paesi.
– Il Messico, oggi la 14a economia del mondo, cerca di assurgere a leader regionale soprattutto grazie alla propria forza economica (nel 2050 potrebbe divenire l’8a potenza economica, superando la Francia).
– Dato il potenziale economico messicano, la Germania farebbe bene a sostenere le sue ambizioni di media potenza, nonostante i dubbi sulle possibilità di realizzarle, data la sua dottrina di “non ingerenza” in politica estera e la sua forte dipendenza dagli Usa.
– I “presupposti nazionali e di concetto” necessari per poter assumere il ruolo di media potenza sono stati posti dal Messico con una legge varata nel 2011 che dà il via ad una cosiddetta “politica per lo sviluppo” autonoma che apre al paese nuove possibilità di influenza all’estero; è stata creata allo scopo, con la consulenza tedesca, una “Agenzia messicana per la Cooperazione e lo Sviluppo, AMEXCID) .
– È stata avviata una “cooperazione triangolare”, con cui Germania e Messico collaborano per l’organizzazione di una “politica di sviluppo” messicana nei paesi poveri;
da questa cooperazione Berlino trae due vantaggi, da una parte rafforza la propria influenza usando strumenti altrui e al contempo emargina gli Usa, finora egemoni in Messico, in un settore del commercio estero messicano.
Partners in Leadership
– (Eigener Bericht) – Mit seiner aktuellen Lateinamerika-Reise forciert der deutsche Außenminister eine neue Strategie für die globale Machtpolitik Berlins. Demnach strebt die Bundesrepublik engere Partnerschaften mit sogenannten regionalen Führungsmächten in aller Welt an, um ihren eigenen Einfluss rund um den Globus auszubauen.
– In Lateinamerika kommen dabei aus Sicht der Bundesregierung Brasilien und Mexiko in Frage – die zentralen Ziele der aktuellen Außenminister-Reise. Über Brasilien heißt es in Fachanalysen aus Berlin, dem Land sei zumindest auf subkontinentaler Ebene "ein klarer Führungsanspruch" zu attestieren, den es mit Hilfe seiner "hard power" und seines sehr leistungsfähigen Auswärtigen Dienstes langfristig wohl auch einlösen könne. Es sei daher ein höchst geeigneter Verbündeter der Bundesrepublik.
– Mexiko wird skeptischer beurteilt. Das Land lege zu großen Wert auf die "Doktrin der Nichteinmischung" gegenüber fremden Staaten und befinde sich in allzu starker Abhängigkeit von den USA, heißt es bei der Berliner Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP). Hier sei noch umfängliche Vorarbeit zu leisten. Seine machtpolitischen Vorhaben bemäntelt Berlin wie üblich mit scheinbar unpolitischen Initiativen: Wie der Außenminister ankündigt, wird die Bundesrepublik nächstes Jahr in Brasilien ein "Deutschlandjahr" mit umfassenden kulturellen und wissenschaftlichen Aktivitäten starten.
Wirtschaftskraft und Militär
– Das erste Ziel der aktuellen Lateinamerika-Reise von Außenminister Guido Westerwelle, Brasilien, ist Gegenstand einer ausführlichen Analyse, welche die vom Bundeskanzleramt finanzierte Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) bereits im Jahr 2009 veröffentlicht hat. Die Studie untersucht das südamerikanische Land systematisch hinsichtlich seiner Fähigkeit, nach außen Macht zu entfalten.
– Dabei nimmt sie die zentralen Faktoren der "hard power" (natürliche Ressourcen, Wirtschaftskraft, Militär) und der "soft power" (internationale politische wie ökonomische Initiativen und Bündnisse) ebenso in den Blick wie die Besonderheiten des brasilianischen Staatsapparats. So heißt es etwa, Brasilia verfüge über "einen professionellen, gut organisierten und traditionsreichen diplomatischen Dienst", der zwar "im Zuge der Demokratisierung" des Staates etwas von seinem einst "hohen Grad an bürokratischer Autonomie" eingebüßt habe, aber dennoch weiterhin "als eines der komptentesten außenpolitischen Ressorts Lateinamerikas" gelte.
– Die ökonomische und politische Stärke Brasiliens werde allenfalls durch Mängel beim "Humankapital" eingeschränkt. Wolle man mit dem Land mehr kooperieren, dann biete sich die künftige Vertiefung der Zusammenarbeit auf "den Feldern Bildung, Wissenschaft, Technologie und Innovation" an, um den politischen Partner weiter aufzubauen.[1]
– Prinzipiell schätzt die SWP die Chancen, mit Hilfe Brasiliens den Berliner Einfluss in Südamerika stärken zu können, sehr günstig ein: Die deutsch-brasilianischen Beziehungen würden "von beiden Seiten als ‘ausgezeichnet’ eingestuft"; "in keinem anderen lateinamerikanischen Land" finde Berlin "bessere Voraussetzungen für den Ausbau seiner bilateralen Kooperation". Dabei lasse Brasilia den Willen, als Hegemonialmacht des Subkontinents aufzutreten und auch auf Weltebene intervenieren zu können, deutlich erkennen.
– Dem Land sei, heißt es in der Studie, "ein klarer Führungsanspruch" zu attestieren, "der fest im nationalen Selbstverständnis verwurzelt ist und sich in der Außenpolitik operativ niederschlägt". Deutschland unterstütze dabei ausdrücklich "die Bemühungen Brasiliens, im südamerikanischen Raum eine Führungsrolle aufzubauen". Die Gefahr, dass sich Brasilia gegen seinen heutigen Unterstützer wenden könnte, gilt der SWP als gering: Das Land sei, auch wenn es sich erkennbar eine Machtbasis "als Interessenvertreter der Schwellen- und Entwicklungsländer" schaffen wolle, "bestrebt, sich als zuverlässiger Partner des Nordens zur Bewältigung weltweiter ordnungspolitischer Herausforderungen zu profilieren", heißt es in der polit-technologischen Terminologie des Berliner Think Tanks.[2]
Das Kraftzentrum Lateinamerikas
– Die jüngsten Äußerungen und Handlungen des Außenministers in Brasilien tragen der Analyse Rechnung. Westerwelle umwarb das Land, das mittlerweile zur sechstgrößten Volkswirtschaft der Welt aufgestiegen ist, als "Kraftzentrum Lateinamerikas". Am gestrigen Dienstag weihte er in São Paulo, dem größten deutschen Industriestandort außerhalb der Bundesrepublik, das Wissenschafts- und Innovationshaus ein; es soll Wissenschaft und Wirtschaft aus beiden Staaten enger verknüpfen und auf diese Weise sowohl die Herausbildung von "Humankapital" im Partnerstaat Brasilien fördern wie auch dessen Nutzung durch deutsche Unternehmen begünstigen. Begleitend dazu wird die Bundesregierung im Jahr 2013 ein "Deutschlandjahr" in Brasilien starten, das die Beziehungen zwischen den Eliten beider Länder intensivieren soll – auch im Sinne der geplanten Indienststellung Brasiliens für Zwecke der deutschen Weltpolitik.[3]
Nur beschränkt autonom
– Das Land, in dem der deutsche Außenminister seine aktuelle Lateinamerika-Reise Anfang nächster Woche beenden wird – Mexiko -, wird von der SWP deutlich skeptischer beurteilt. Sein Anspruch, als regionale Führungsmacht aufzutreten, beruht vor allem auf seiner ökonomischen Entwicklung; so gehen Experten davon aus, dass Mexiko – zur Zeit die Nummer 14 auf der Rangliste sämtlicher Volkswirtschaften weltweit – bis zum Jahr 2050 zur achtgrößten Wirtschaftsmacht aufsteigen kann und dann Frankreich überholt haben wird.[4]
– Seine "Mittelmachtambitionen" könne das Land aber zur Zeit kaum erfüllen, urteilt die SWP; dies liege unter anderem daran, dass es seine "traditionelle außenpolitische Doktrin der Nichteinmischung" noch nicht abgestreift habe, vor allem aber an der hohen Abhängigkeit von den USA. Aufgrund dieser Abhängigkeit sei seine "Handlungsautonomie beschränkt".
– Wegen des Wirtschaftspotenzials, über das Mexiko verfüge, tue Deutschland dennoch gut daran, "die bestehenden Bestrebungen" des Landes "zur Übernahme einer Mittelmachtrolle zu stützen". Dazu müssten entsprechende "nationale und konzeptionelle Voraussetzungen" geschaffen werden.[5]
– Genau damit befasst sich gegenwärtig die sogenannte deutsche Entwicklungspolitik. Vor wenigen Tagen ist der Staatssekretär im Bundesministerium für wirtschaftliche Zusammenarbeit (BMZ), Hans-Jürgen Beerfeltz, von einer Reise nach Mexiko zurückgekehrt. Wie das Ministerium mitteilt, hat die dortige Regierung letztes Jahr ein Gesetz verabschiedet, das eine eigenständige sogenannte Entwicklungspolitik in die Wege leitet und Mexiko damit neue Möglichkeiten zu außenpolitischer Einflussnahme verschafft. Dafür hat das Land jetzt eine "Mexikanische Agentur für internationale Zusammenarbeit und Entwicklung" (AMEXCID) gegründet. "Deutschland berät seine Partner in Mexiko beim Aufbau dieser neuen Agentur", berichtet das BMZ.[6] Insbesondere habe man eine sogenannte Dreieckskooperation gestartet.
– Dabei handelt es sich um eine Zusammenarbeit beider Länder bei der Gestaltung der mexikanischen "Entwicklungspolitik" in armen Drittstaaten, die aus Berliner Sicht zwei Vorteile hat: Sie stärkt den eigenen Einfluss unter Nutzung fremder Mittel und drängt gleichzeitig die in Mexiko bislang hegemonialen USA in einem Teilbereich mexikanischen Außenhandelns an den Rand. Man strebe langfristig eine "strategische Partnerschaft" mit Mexiko an, erläutert das BMZ – eine Kooperation, die sich die mexikanischen Stärken gezielt zunutze macht, um die Stellung Deutschlands in der globalen Konkurrenz auszubauen.
– Das Bemühen, sogenannte regionale Führungsmächte wie Brasilien und Mexiko zu nutzen, um durch eine Kooperation mit ihnen den deutschen Einfluss rund um den Globus zu stärken, wird von der Bundesregierung in ihrer neuen "Gestaltungsmächte-Strategie" systematisiert. german-foreign-policy.com berichtet am morgigen Donnerstag.
[1], [2] Claudia Zilla: Brasilien: Eine Regionalmacht mit globalen Ansprüchen, in: Jörg Husar, Günther Maihold, Stefan Mair (Hg.): Neue Führungsmächte: Partner deutscher Außenpolitik? Internationale Politik und Sicherheit Band 62, herausgegeben von der Stiftung Wissenschaft und Politik, Baden-Baden 2009 (Nomos Verlag)
[3] s. dazu Herausforderer der USA
[4] s. dazu Teil der Lieferkette
[5] Günther Maihold: Mexiko: Ein Partner mit Potential zwischen Mittelmachtambitionen und Regionalmachtillusionen, in: Jörg Husar, Günther Maihold, Stefan Mair (Hg.): Neue Führungsmächte: Partner deutscher Außenpolitik? Internationale Politik und Sicherheit Band 62, herausgegeben von der Stiftung Wissenschaft und Politik, Baden-Baden 2009 (Nomos Verlag)
[6] Staatssekretär Hans-Jürgen Beerfeltz reist nach Mexiko; www.bmz.de 31.01.2012
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Partners in Leadership (II)
– (Eigener Bericht) – Mit einer neuen außenpolitischen Strategie sucht die Bundesregierung die Spielräume ihrer globalen Machtpolitik zu erweitern. Das "Gestaltungsmächte-Konzept"[progetto delle potenze plasmanti/leader], das in der vergangenen Woche nach seiner Verabschiedung durch das Bundeskabinett der Öffentlichkeit vorgestellt wurde, sieht vor, regionale Führungsmächte in Lateinamerika, in Afrika und in Asien zu Verbündeten zu gewinnen.
– Mit ihrer Hilfe soll es möglich sein, deutsche Interessen in aller Welt noch stärker als bisher zu verwirklichen.
– Hintergrund sind die weltweiten Kräfteverschiebungen – so etwa der Aufstieg Chinas -, aber auch das Berliner Bestreben, sich unabhängig von den USA auf allen Kontinenten einen größeren Einfluss zu sichern.
– Die Bundesrepublik könne bei dem Versuch, ihre globale Stellung auszubauen, zwar Ressourcen der EU nutzen, dürfe ihre eigenen Ziele jedoch keinesfalls "einer voreiligen Europäisierung" opfern, heißt es in einer Analyse, mit der das aktuelle "Gestaltungsmächte-Konzept" vorbereitet wurde. Die Strategie, die umfassende zivile Ressourcen der deutschen Gesellschaft zum Zweck der Einflussexpansion nutzen will, beinhaltet ebenfalls eine starke Ausweitung der polizeilichen und der militärischen Kooperation.
– Das sogenannte Gestaltungsmächte-Konzept, das die Bundesregierung am 8. Februar verabschiedet und anschließend im Auswärtigen Amt öffentlich vorgestellt hat, baut auf jahrelanger Vorarbeit auf. An seiner Erstellung waren unter anderem Vertreter der deutschen Wirtschaft sowie der parteinahen Stiftungen beteiligt; die vom Kanzleramt finanzierte Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) führte ein umfassendes Forschungsprojekt zur Thematik durch.
– Letzteres ist insofern von aktuellem Interesse, als die in Buchform publizierten Forschungsresultate nicht nur detaillierte Länderstudien umfassen und damit die Einschätzung erleichtern, wo die Bundesregierung Stärken und Schwächen ihrer möglichen Kooperationspartner sieht. Die SWP-Veröffentlichung legt zumindest ansatzweise die machtpolitischen Interessen offen, die dem "Gestaltungsmächte-Konzept" zugrunde liegen, dort aber hinter wohlklingenden Phrasen verborgen werden – schon im Begriff: Wo die Bundesregierung im üblichen Duktus beschönigender PR von "Gestaltungsmächten" spricht, um deren erkennbares Dominanzstreben hinter einem schwer kritisierbaren Begriff ("gestalten") verschwinden zu lassen, da ist bei der SWP noch relativ offen von "regionalen Führungsmächten" die Rede.
Nicht voreilig europäisieren
– Deutschland werde, heißt es in der SWP-Publikation, sein globales Machtpotenzial nur dann voll ausschöpfen können, wenn es zusätzlich zu seinen bestehenden Bündnissen (EU, NATO) weitere "Koalitionen und Allianzen" mit einflussreichen Staaten in aller Welt eingehe.[1]
– Dass dies nötig sei, habe nicht zuletzt das "vorläufige Scheitern" des Berliner Strebens nach einem ständigen Sitz im UN-Sicherheitsrat gezeigt: Die weiterhin fehlende Möglichkeit, dort als Vetomacht agieren zu können, lasse einen alternativen Machtgewinn durch nationale Sonderabsprachen mit eventuellen "neuen, gleichgesinnten Partnern" wünschenswert erscheinen. Dabei käme eine Kooperation vor allem mit den neu aufstrebenden "regionalen Führungsmächten" wie etwa Brasilien, Indien oder Südafrika in Frage, die ihre wachsende wirtschaftliche Kraft in politischen Einfluss umzumünzen suchten. Die genannten Staaten übten in ihrer jeweiligen Weltregion eine – wenn auch noch recht unterschiedlich starke – Hegemonie aus, die man, wenn man künftig eng mit ihnen kooperiere, im Sinne deutscher Ziele nutzen könne. Daran, dass es zuvörderst um nationale Interessen geht, lässt die SWP-Publikation keinen Zweifel: Auch bei einer "Kombination" nationaler und europäischer Schritte gegenüber den "regionalen Führungsmächten" solle "die Entwicklung eigener Potentiale und Optionen", heißt es, keinesfalls "einer voreiligen Europäisierung geopfert werden".
Globale Gestaltungskraft
– Das letzte Woche verkündete "Gestaltungsmächte-Konzept" der Bundesregierung legt nun klare Kriterien dafür fest, an welchen Staaten Berlin ein besonderes Kooperationsinteresse hat. Es gehe um Länder, heißt es in dem Papier, die "eine bedeutende Wirtschaftskraft oder hohe wirtschaftliche Wachstumsraten aufweisen", die zudem bereit seien, in besonderem Maß Macht auszuüben ("einen starken Gestaltungswillen in verschiedenen Politikbereichen zum Ausdruck bringen") und die darüber hinaus "eine zentrale Bedeutung" für regionale oder globale Entwicklungen besäßen.[2]
– In Absprache mit diesen Ländern wolle man, heißt es weiter, "den Spielraum, die Reichweite und das Wirkungsvermögen unserer gemeinsamen, globalen Gestaltungskraft (…) erhalten und ausbauen". Zu diesem Zweck sollen auch alle politischen Instrumente Europas genutzt werden: "Das Konzept der Bundesregierung integriert bewusst die Ebene der EU und schafft Synergien mit europäischen Konzepten, Strategien und Partnerschaften." So könne man etwa an die sogenannten strategischen Partnerschaften der EU mit Brasilien und Mexiko anknüpfen. Dabei gelte freilich: "Deutschland ist für viele der neuen Gestaltungsmächte der wichtigste Handelspartner in der EU". Dass sich das auf das politische Gewicht Berlins bei den aufstrebenden regionalen Führungsmächten auswirken soll, steht außer Frage.
Eliten für Deutschland gewinnen
In ihre neue "Gestaltungsmächte-Strategie" sucht die Bundesregierung die jeweiligen nationalen Eliten in möglichst umfassendem Maße einzubeziehen. Hintergrund ist, dass willige Partnerstaaten – durchaus im Interesse eigener Machtentfaltung – gestärkt werden sollen: "Deutschland will zum Aufbau dauerhafter Kapazitäten für nachhaltige individuelle, gesellschaftliche und wirtschaftliche Entwicklung in den Ländern der neuen Gestaltungsmächte beitragen."
Zu diesem Zweck gelte es, "das innovative Potenzial und den Einfluss von gesellschaftlichen Akteuren" für die Kooperation mit den Eliten der regionalen Führungsmächte "zu erschließen". "Netzwerke" sollten in Bildung, Wissenschaft und Forschung geknüpft werden – etwa mit Hilfe des Deutschen Akademischen Austauschdiensts (DAAD) und der Alexander von Humboldt-Stiftung, sogenannter Wissenschafts- und Innovationshäuser oder mit Hilfe von Ausgründungen deutscher Universitäten im Ausland. Es sollten außerdem die kulturellen Beziehungen intensiviert werden, etwa mit Hilfe der sogenannten Deutschlandjahre, bei denen zwölf Monate lang in jeweils einem konkreten Land auf öffentlichen Veranstaltungen die deutsche Kultur präsentiert und für sie geworben wird. Es sei, heißt es dazu in der neuen "Gestaltungsmächte-Strategie", "in unserem politischen und wirtschaftlichen Interesse, die künftigen Fach- und Führungskräfte der neuen Gestaltungsmächte nachhaltig für Deutschland zu gewinnen".[3]
– Dass es bei der neuen Strategie letztlich um harte Machtfragen geht, das belegt die umfangreiche Passage über Pläne für eine militärische und polizeiliche Kooperation, die dem Publikum ganz wie üblich unter dem wohltönenden Motto "Frieden und Sicherheit" präsentiert werden.
– Die regionalen Führungsmächte seien in aller Regel schon heute bedeutende Truppensteller bei UN-Einsätzen und zumindest teilweise in regionale "Sicherheitsstrukturen", etwa die militärischen Komponenten der Afrikanischen Union, eingebunden, heißt es dort. Diese Potenziale gelte es zu nutzen. Man werde, in Verbindung mit der NATO und der EU, "zusammen mit den neuen Gestaltungsmächten auf eine erfolgreiche Krisenprävention und Stärkung ihrer Instrumentarien hinwirken". Die Kooperation im militärischen Bereich soll zudem auf die sonstigen "Sicherheitsbehörden" ausgedehnt werden. Die Bundesregierung wolle, ist in dem Strategiepapier zu lesen, mittels neuer "Sicherheitsabkommen" eine "regelmäßige und institutionalisierte Zusammenarbeit" bei der "Bekämpfung von Terrorismus und organisierter Kriminalität" in die Wege leiten.[4] "Bilaterale Ausbildungs- und Ausstattungshilfe" wird ausdrücklich genannt; die Militärkooperation dürfte zudem von steigenden Rüstungsexporten begleitet werden.
– Die neue "Gestaltungsmächte-Strategie" ermöglicht Berlin eine durchaus flexible Machtpolitik. Sie eröffnet Spielräume für nationale Alleingänge, welche die Stellung Berlins innerhalb Europas, aber auch gegenüber den USA durchaus stärken können.
– Sie kann dabei davon profitieren, dass einige der regionalen Führungsmächte, etwa Brasilien, sich ihrerseits gegen die Hegemonie der USA zu profilieren suchen.[5]
– Schließlich zielt sie vor allem auf Staaten, die sich trotz all ihrer Konflikte prinzipiell auf der Seite des Westens verorten. Damit bietet sie Berlin die Möglichkeit, sich neue Handlungsoptionen unabhängig von den Vereinigten Staaten oder sogar gegen sie zu eröffnen, aber zugleich die Option eines Zusammenschlusses gegen China nicht zu unterminieren. Ein solcher Zusammenschluss könnte aus Berliner Sicht notwendig werden, sollte Washington seine aggressive Politik gegen Beijing [6] in Zukunft verschärfen.
Bitte lesen Sie auch unsere Rezension zu dem von der SWP herausgegebenen Band "Neue Führungsmächte: Partner deutscher Außenpolitik?"
[1] Jörg Husar, Günther Maihold: Einführung: Neue Führungsmächte – Forschungsansätze und Handlungsfelder, in: Jörg Husar, Günther Maihold, Stefan Mair (Hg.): Neue Führungsmächte: Partner deutscher Außenpolitik? Internationale Politik und Sicherheit Band 62, herausgegeben von der Stiftung Wissenschaft und Politik, Baden-Baden 2009 (Nomos Verlag)
[2], [3], [4] Globalisierung gestalten – Partnerschaften ausbauen – Verantwortung teilen. Konzept der Bundesregierung
[5] s. dazu Herausforderer der USA und Partners in Leadership
[6] s. dazu Ein Feuerring um China und Das pazifische Jahrhundert (II)
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