E’ iniziato ieri lo sciopero degli scrutini nelle scuole italiane. Il movimento di opposizione dei lavoratori della scuola contro il disegno di legge governativo comunemente denominato “buona scuola” e in realtà aziendalizzazione della scuola pubblica italiana è cresciuto in intensità ed estensione ed è sicuramente da considerare come una delle novità più interessanti di questi ultimi anni.
Noi ci auguriamo il pieno successo di questo sciopero e speriamo che la mobilitazione possa costringere il governo a una retromarcia: non abbiamo nessuna fiducia nei tristi replicanti che siedono al Senato, siano essi della minoranza PD, dei 5 stelle o di Sel. Solo la resistenza di massa dei lavoratori della scuola e degli studenti potrà affossare il progetto confindustrial-governativo di marchionizzazione della scuola al servizio esclusivo dei capitalisti. Le sceneggiate parlamentari potrebbero al più portare a “sospendere” alcuni degli aspetti più nefasti del provvedimento ma non certo a invertire la tendenza a un comando dispotico sulla forza lavoro (privata o pubblica) senza più quelle limitazioni e garanzie che ormai il padronato ritiene di poter eliminare completamente.
In questo senso il progetto sulla “buona scuola” è solo un altro aspetto dell’attacco generale alla classe lavoratrice di cui il Jobs Act è solo l’aspetto più eclatante. In attesa di conoscere gli esiti dello sciopero riportiamo un resoconto inviatoci da un compagno di Reggio Emilia sulla manifestazione serale di lavoratori della scuola tenuta nella sua città il 5 giugno. Riteniamo interessante il resoconto per capire meglio cosa sta succedendo tra i lavoratori di questa categoria, anche se ovviamente ogni situazione locale ha le sue particolarità.
Ieri sera (h 21-23) ho partecipato alla manifestazione indetta a Reggio Emilia da CGIL-CISL-UIL-Gilda-SNALS contro “la buona scuola”.
L’indicazione era di arrivare con camicia bianca e torcia per fiaccolata. Ovviamente mi son presentato senza torcia e camicia bianca che, anche volendo portarla, non possiedo. Non ho mai apprezzato le fiaccolate che mi ricordano tanto le processioni e vengo da un’altra tradizione e cultura che vede nella piazza uno strumento della generale lotta per l’emancipazione. Avevo deciso comunque di partecipare perché sapevo che comunque ci sarebbero stati i lavoratori ma intimamente pensavo “ma guarda questi, con il servizio che stanno preparando a noi lavoratori della scuola si mettono a organizzare processioni invece di cortei incazzati”.
Arrivato al presidio ho notato innanzitutto la discreta presenza di colleghi della mia scuola (nel passato mai combattiva, gli scioperi del sindacalismo di base li facevamo in 2 gatti e quelli dei confederali non molti di più). A parte l’iniziale fastidio di sentire le canzoncine rifatte nei testi in versione anti-buona scuola da integerrime e attempate professoresse (Bella ciao, Porompopero però, Tammurriata nera e, supremo orrore per le mie orecchie, l’Inno di Mameli) ho lasciato perdere il sarcasmo da “militante tutto d’un pezzo” e mi son trovato a osservare che questi, non erano certo là per tessera sindacale di appartenenza ma perché sinceramente incazzati contro la buona scuola di Renzi e preoccupatissimi delle sue conseguenze: erano “lavoratori comuni” magari che non partecipavano da anni e anni a manifestazioni o che addirittura non lo avevano mai fatto. E questa secondo me è la cosa oggi più importante che i “lavoratori comuni” tornino in piazza, che si rendano protagonisti in prima persona.
Ovviamente c’erano funzionari dei vari sindacati ma a parte che erano veramente pochi, erano senza bandiera e senza spocchia, la segretaria della CGIL che cantava con gli altri, il responsabile della Gilda con la chitarra che faceva l’accompagnamento etc. Anche se la cosa nelle premesse era un flash mob, di fatto è diventato un corteo serale di un 120-150 lavoratori. La partecipazione dei presenti era viva e sentita, certo c’era molto orgoglio del mestiere (una cosa per me insopportabile perché per me il lavoratore deve essere legato ai suoi fratelli di classe e non semplicemente a quelli che fanno la sua stessa attività), c’era tanta voglia di partecipare in prima persona, quella stessa voglia che sta portando a una cosa che non avrei mai creduto possibile: nella mia scuola si prevede il blocco di tutte le classi in occasione dello sciopero degli scrutini della prossima settimana. E tutto ciò non certo per fedeltà di scuderia ai vari sindacati ma semplicemente per il fatto che quasi tutti i docenti hanno la consapevolezza di cosa significherà il preside padrone.
Il venerdì sera il centro della città è affollatissimo di giovani: alla vista di questo centinaio e passa di professori che cantavano e si muovevano per le vie del centro lo stupore ha ceduto il passo a evidenti manifestazioni di simpatia, foto con telefonini etc: la cosa aveva in effetti un che di eclatante, non è certo usuale vedere dei professori che manifestano e meno che mai di sera (cosa ancor più clamorosa per una città come Reggio Emilia).
Al di là della cronaca penso che sia assolutamente necessario essere del tutto interni al movimento, evitando la logica di fare i duri e puri. Certo che al momento si fa fatica a portare avanti un discorso maggiormente caratterizzato e fuori da ogni logica concertativa ma in compenso i frutti si potranno vedere in futuro perché i lavoratori ti vedono e ti riconoscono come uno di loro che con loro ha avuto delle esperienze di mobilitazione e non un marziano come per troppo tempo siamo apparsi noi del sindacalismo di base. Al momento la consapevolezza che per bloccare la buona scuola di Renzi saranno necessarie azioni molto più radicali di quelle messe in campo fino a oggi e la coscienza di essere parte della classe salariata che ha interessi contrapposti con la classe degli oppressori capitalisti sono del tutto assenti da questo movimento e potranno cominciare a svilupparsi solo con una modifica radicale delle condizioni sociali e sarebbe folle chi (organizzazione politica o sindacale) pensasse di importare “dall’esterno” questa consapevolezza: saranno le “esperienze” di questi lavoratori che li condurranno giocoforza a capire che i canti e le fiaccole non bastano e che se non si vuole soccombere bisogna a) organizzarsi; b) lottare e farlo in modo da “far male” alla controparte; c) cercare la solidarietà non tra la generica “cittadinanza” ma tra gli altri lavoratori.
Saluti a pugno chiuso da Reggio Emilia.