Al via la contesa tra il Richelieu e il líder maximo di Teheran

Prossime elezioni presidenziali iraniane: scontro fra l’ex premier HASHEMI RAFSANJANI, possibile candidato, e il premier attuale ayatollah ALI’ KHAMENEI.
Entrambi veterani della rivoluzione khomeinista, KHAMENEI ( N.d.R.: segnalato come un riformista) si appoggia ai militari e ai tecnici laici per contrastare la candidatura di RAFSANJANI ( N.d.R.: ricordato come più conservatore) .
Possibile candidato alternativo a RAFSANJANI potrebbe essere HASSAN ROWHANI, abile negoziatore sul nucleare; la situazione internazionale favorisce gli uomini della trattativa come lui, che però è cresciuto “all’ombra” di RAFSANJANI stesso: smentirà il suo vecchio maestro appoggiando il dialogo con l’occidente?

Teheran. In Iran i candidati sono ai nastri di partenza con proclami, programmi e buone intenzioni. Trasparenza e sviluppo, decoro e solidarietà nazionale promettono conservatori vecchia maniera e rampanti neocon, falchi travestiti e riformisti sopravvissuti alle epurazioni. Lo scontro al vertice investe temi caldi come il nucleare, i rapporti con Washington, la politica economica e sociale. L’ala militarista e quella pragmatica polarizzano l’attenzione, ma il vero scontro è sotterraneo e nella lotta per il potere le nuove leve non sono che comparse. I due incontrastati protagonisti della battaglia per le presidenziali del 17 giugno sono il lìder maximo, ayatollah Ali Khamenei e il grande burattinaio, Hashemi Rafsanjani, capo del Consiglio per il discernimento delle scelte. Approfittando della fase critica per il futuro del regime, Rafsanjani ventila da tempo una rentrée in prima linea. Additato a simbolo di tutte le astuzie e nefandezze del sistema, il Richelieu della politica iraniana è riemerso dalle retrovie. Ad accogliere la sua rinascita ha trovato un composito schieramento che va dalla moschea, al bazar, passando per conservatori moderati e riformisti pragmatici, ma anche un ex alleato deciso a distruggerlo.
Ali Khamenei e Hashemi Rafsanjani sono stati complici, all’occorrenza alleati, mai amici. Li unisce un destino intrecciato da protagonisti, li divide una sfrenata ambizione. Entrambi nati negli anni Trenta, entrambi precoci seguaci di Khomeini, religiosi, senza quarti di nobiltà, finiscono in carcere e fanno voto d’obbedienza all’imam. Prima del ’79 si ritrovano nel Consiglio islamico rivoluzionario che prepara il ritorno in patria di Khomeini. Rafsanjani si distingue per la propensione al comando, Khamenei per l’indefessa devozione alla causa. Khamenei guida la preghiera del venerdì ed è presidente per due mandati. Rafsanjani si distingue tra i consiglieri del padre della rivoluzione. Khamenei è il docile esecutore, Rafsanjani la mente. C’è lui dietro la caduta del delfino di Khomeini, Hossain Ali Montazeri, e la repentina scalata di Khamenei. Un debito di riconoscenza che minerà per sempre il rapporto tra i due. Da Guida suprema Khamenei ricambia il favore appoggiando i due mandati presidenziali del suo sponsor. Ma quando Rafsanjani è al timone, Khamenei si schiera con gli oltranzisti contrari alle privatizzazioni.
La legge (fallita) ad personam
Il primo modello cinese della Repubblica islamica si arena sotto i colpi del sua massima autorità. L’alleanza si ricompone davanti al nome di Khatami, il presidente-filosofo rivitalizza l’immagine lugubre del regime, rafforza con la debolezza della sua leadership il ruolo della guida suprema, mentre Rafsanjani precipita. Ma la caduta è formale più che sostanziale, perché all’impopolarità dell’anima nera della Repubblica fa da contraltare il riconoscimento di una straordinaria abilità. L’uomo che viene descritto come il deus ex machina del regime ha saputo interpretare i panni del purista della rivoluzione e poi quelli dell’accorto e flessibile negoziatore. Chi meglio di colui che ha condannato e “risparmiato” Salman Rushdie, convinto Khomeini a bere il “calice amaro” con l’Iraq, bruciato bandiere americane e offerto ramoscelli d’ulivo a Washington, saprebbe guidare il paese ora che sull’Iran si addensano le minacce americane? Una pletora di candidati ha già segnalato la volontà di tirarsi indietro, se Rafsanjani correrà. La guida suprema ha attaccato. L’iniziale disapprovazione si è trasformata in un’opposizione tanto discreta quanto netta. L’offensiva è partita con la promozione di una legge ad personam che voleva sancire un limite massimo di 70 anni per i candidati alla presidenza. Ma il tentativo, teso a eliminare politicamente il rivale prossimo ai 71 anni, è naufragato. Khamenei ha così chiamato a raccolta i colonnelli, blandito gli ambiziosi, incoraggiato i più devoti, lasciato intendere che benedirà persino l’ascesa di un laico. C’è un’intera generazione di rivoluzionari che ha conosciuto le barricate, la guerra e le prigioni dello shah, ha scalato le vette dell’establishment sposando figlie e nipoti di ayatollah e ha conquistato un posto al sole, ma raramente il comando. Su questi uomini costretti all’obbedienza che nel segreto coltivano amare frustrazioni, Khamenei ha fatto cadere il peso della sua autorevole investitura. La benevolenza del rahbar (guida suprema) ha prescelto la cerchia “senza turbante” a lui più vicina: il genero Gholam Ali Haddad Adel, l’ex capo della televisione Ali Larijani, il nemico giurato di Rafsanjani, Ahmad Tavakkoli, i generalissimi Mohammed Bagher Qalibaf e Mohsen Rezai. Scelte bipartisan che da un lato rassicurano il big business (Larijani in primis), dall’altro offrono sponde alla sete di visibilità dei militari.
Da consumato statista, Rafsanjani, rilancia . La faccia di luna del “kuseh” (lo squalo come viene soprannominato) non tradisce emozioni e il suo entourage fa sapere che, soltanto a tempo debito scioglierà la riserva. Ma le contromosse non si sono fatte attendere. L’agenzia Mehr ha dato la discesa in campo al 70 per cento e, dalle colonne del Financial Times, un Rafsanjani “preoccupato per il rafforzamento dei falchi, il socialismo del loro progetto economico e l’atteggiamento bellicoso verso la comunità internazionale”, ha strizzato l’occhio agli investitori. L’altro asso nella manica del decano dei rivoluzionari è l’astro emergente Hassan Rowhani. Il grande negoziatore nucleare, distintosi per acume e credibilità nelle cancellerie internazionali, è l’unico candidato in grado di rivaleggiare per forza e carisma con Hashemi Rafsanjani. Non è un mister
o a Teheran che i guai della Repubblica islamica restringono il campo alle ipotesi più estremiste, favorendo gli uomini della trattativa
. Il caso vuole che l’astro nascente dei neocon iraniani, che piace al ministro degli Esteri inglese Jack Straw e persuade Khamenei ad addolcire i toni con l’Agenzia atomica internazionale, sia cresciuto all’ombra del “kuseh” e nulla lascia presagire se rinnegherà o meno il maestro.

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