Viene da dirlo davanti al primo round di dimissioni e mancate nomine, da Flynn a Puzder a Harward. Sotto i colpi dei democratici, supportati da giudici, FBI e CIA, grazie a una campagna di stampa bipartisan capillare (da Washington Post a New York Times, da Business Week ad Huffington Post), ma anche a manifestazioni di piazza e a gole profonde nelle stesse file repubblicane, Trump per ora più che il presidente decisionista si presenta come il presidente dallo staff improvvisato. E lo scontro dentro e fuori il governo ci permette, al di là della retorica nazionalista, uno sguardo alla profonda cialtroneria di certa borghesia, americana e non solo.
Il ministro del lavoro nero
Merita la prima citazione Andrew Puzder, mancato ministro del Lavoro, se non altro per il tipo di accuse che lo hanno costretto alla rinuncia: non pagava le tasse, picchiava la moglie, assumeva le cameriere in nero e insultava i suoi dipendenti. Meglio non chiedersi quanti businessmen italiani supererebbero lo screening soprattutto in ordine al primo punto. Il re dei Fast Food CKE era stato in prima fila nella lotta contro gli aumenti del minimo salariale, i suoi dipendenti sono i peggio pagati del settore, gli ispettori del lavoro hanno denunciato violazioni relative a salario e orario di lavoro per il 60% dei dipendenti. Uno su tre dei suoi dipendenti è un immigrato senza documenti, naturalmente lavorano senza contratto e senza che per loro si paghino tasse e contributi assicurativi.
Due terzi delle donne che lavorano nei suoi ristoranti hanno denunciato molestie sessuali.
Sono questi evidentemente i meriti per i quali era stato scelto.
Puzder è stato colpito e affondato, perché impresentabile, la questione è stata velocemente liquidata e subito è stato trovato un sostituto. Evidente il desiderio che non si vada oltre nell’alzare il velo dello sfruttamento del lavoro, in particolare nei Fast Food, che sono state teatro di lotte coraggiose da parte di centinaia di lavoratrici e lavoratori nel 2014, 2015 e 2016. Lotte che hanno riguardato anche l’Italia, ad es. con lo sciopero dei lavoratori di Foodora, la multinazionale per la consegna di cibi caldi a domicilio.
Non sia mai che denunciare i padroni beceri diventi popolare e si prenda l’abitudine di protestare!
Flynn l’amico dei turchi e dei russi, Harward l’amico degli emiri
Molto meglio anche dal punto di vista dei democratici condurre lo scontro contro Trump non parlando dei diritti dei lavoratori, ma agitando un tema di sicuro effetto come l’anticomunismo, anzi dell’anti-russismo. Il generale in pensione Flynn è stato affondato dopo soli 24 giorni come Consigliere per la sicurezza. L’accusa è di aver taciuto al Presidente e al suo vice colloqui avuti, ancor prima di avere preso l’incarico ancor prima di avere assunto l’incarico, con l’ambasciatore russo Kislyak sull’eventuale ritiro delle sanzioni alla Russia.
Inutile dire che l’oggetto vero del contendere è proprio l’allentamento delle sanzioni, una parziale apertura alla Russia da parte di Trump rispetto alla presidenza Obama.
Che il nervosismo sull’argomento fosse alle stelle lo dimostra la l’ultima decisione di Obama di espellere i 35 diplomatici russi.
Ma anche la campagna di stampa orchestrata contro Flynn fin dalla sua nomina, una campagna appoggiata da giganti dei media come Bloomberg. Già il 20 gennaio l’affaire era stato denunciato dal ministro della Giustizia Sally Q. Yates, (e qui davvero si può dire che chi il giudice ferisce, di giudice perisce, perché Sally Q. Yates è stata licenziata il 30 gennaio da Trump per essersi opposta all’islamic ban, cioè l’ordine esecutivo che aveva sospeso gli ingressi di immigrati da sette Paesi a maggioranza islamica). Le informazioni erano contenute in un rapporto redatto dagli ex direttori di FBI e CIA, James Clapper e John Brennan, i quali hanno solertemente disposto le intercettazioni del telefonino del generale Flynn. Qualcuno sui media ha suggerito che Clapper e Brennan, ormai a fine mandato, si sono vendicati del non tanto nascosto progetto di Trump, che considera CIA e FBI un covo di perdigiorno sinistrorsi, di riorganizzare dalle fondamenta le due agenzie di intelligence, tagliando con l’accetta incarichi e stipendi. Quali che siano state le loro ragioni, hanno trovato appoggi e ascolto benevoli, dalla CNN a Business Week.
Per colmo di ignominia l’affondo finale a Trump e al suo pupillo è venuto dalla pubblicazione di un rapporto sui legami d’affari spericolati fra Trump, i suoi accoliti e oligarchi ucraini e russi, su Buzz Feed, un fogliaccio a metà fra la satira e la denuncia politica, che si fa vanto di esser stato definito da Trump “spazzatura”.
John McCain senatore repubblicano dell’Arizona, candidato sconfitto alle presidenziali del 2008 da Obama, si è assunto l’incarico di alzare la voce contro l’eventuale riposizionamento rispetto alla Russia, chiedendo di aumentare il sostegno bellico all’Ucraina contro i ribelli filorussi. A dimostrazione che si tratta di uno scontro bipartisan che vede anche pezzi consistenti dei repubblicani essere contro la linea del Presidente ispirata da Flynn, e cioè apertura alla Russia e messa in difficoltà della Cina con la ripresa di cordiale dialogo con Taiwan (anche su questo aspetto Trump ha dovuto riposizionarsi, con il riconoscimento di una sola Cina).
Se prima della caduta di Flynn esisteva dentro lo staff Trump un asse Flynn-Tillerson, adesso Tillerson è solo, perché “cane pazzo” Mattis si è smarcato dalla definizione di “obsoleta” che Trump aveva dato della Nato. In occasione della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, parlando dell’Alleanza Atlantica, Mattis ha rassicurato gli europei che «la sicurezza degli Usa è permanentemente legata a quella dell’Europa», ma al contempo, in consonanza con l’obiettivo comune a Trump di spaccare la UE, ha espresso “grande rispetto per la leadership della Germania in Europa”…
Approfittando della situazione, Mattis ha cercato di rafforzarsi proponendo come sostituto di Flynn Robert Harward un ex generale dei Marines in pensione.
E qui si apre un altro interessante spaccato di quanto renda il patriottismo negli Usa.
Flynn era nel mirino di Human Right Watch per il “suo profondo disprezzo per i diritti umani”. Una volta pensionato ha fondato la Flynn Intel Group, un gruppo di intelligence privato che sfruttando le sue entrature nei servizi segreti militari, offriva i propri servizi a potenze straniere, in primis la Turchia, attualmente alleata alla Russia nella gestione della guerra in Siria e in Iraq.
Harward ha declinato l’offerta di diventare il nuovo Consigliere per la sicurezza forse perché, preoccupato del caos che sembra regnare alla Casa Bianca, temeva di essere condizionato nelle sue scelte dei coadiutori, ma soprattutto non voleva perdere le ricche prebende che gli frutta il suo nuovo posto come AD della Lockheed Martin negli Emirati Arabi Uniti. Che un generale si metta al servizio di uno dei maggiori gruppi produttori di armi del paese non ci stupisce, ma chiarisce bene che fra la patria e mammona, i generali sanno bene da che parte è imburrato il loro panino.
La posta in gioco in politica estera
Nei giorni successivi alla elezione di Trump, la sua posizione aperturista nei confronti della Russia ha trovato consensi anche sulla stampa italiana, da parte del solito Salvini che lamenta il danno inferto alla piccola e media industria italiana a causa delle sanzioni anti Russia; da parte dei vecchi arnesi dello stalinismo, non ancora del tutto scomparsi, ma anche da parte di osservatori realisti, che, consapevoli dell’atteggiamento fondamentalmente guerrafondaio della Clinton, hanno visto in quella di Trump una scelta di apertura diplomatica che poteva portare la pace su alcuni fronti di guerra.
Negli Usa individuare i fronti pro e contro una apertura alla Russia è più complesso.
La tesi secondo cui Trump è mosso dallo scopo di difendere i suoi privati e cospicui interessi in Russia è piuttosto semplicistica.
In Russia, anche se gli Usa non compaiono fra i suoi primi 10 partner commerciali, operano almeno 3 mila grandi compagnie Usa, operanti in tutti i più importanti settori, dall’acquisizione di minerali e carburante all’informativa, dagli alimentari alle macchine utensili, dall’aeronautica alla farmaceutica.
A Washington opera un U.S.–Russia Business Council, che presiede allo sviluppo commerciale fra i due paesi. Fra i membri spiccano Alfa-Bank, Boeing, Cargill, Citigroup, Coca-Cola, Ford, LUKOIL, Procter & Gamble. La crisi ucraina del 2014 ha bloccato investimenti e progetti di espansione sul mercato russo, che per molte multinazionali pesa per il 5-7% del loro export.
Quanto agli investimenti americani, è difficile tracciarli per il modo particolarmente opaco con cui sono registrati dalle autorità russe. La Russia è il terzo paese nel mondo per importanza di investimenti attratti. Ma se si vanno a vedere i paesi investitori si incappa principalmente in paradisi fiscali o paesi di copertura: al primo posto le Isole Vergini, poi seguono Cipro, Olanda, Regno Unito, Svizzera, Lussemburgo, Austria, Bielorussia, Usa, Isole Bermuda. Secondo l’ultimo rapporto Rosstat, che è del 2014, le Isole Vergini investirebbero 15 volte gli Usa in Russia, ma niente vieta che banche e gruppi finanziari e industriali agiscano sotto mentite spoglie.
Detto questo, il rapporto con la Russia si iscrive nella più complessa partita del Medio Oriente, dell’Europa e dell’Asia. In più in tempi di multipolarismo i rapporti bilaterali fra paesi grandi o piccoli non esistono, quanto piuttosto una serie di interrelazioni fra più paesi.
Resta il fatto che l’accusa di essere amico o ricattato dai russi fa scattare una reazione nervosa quasi automatica da parte del pubblico americano in cui prevale un’ideologia anti-russa/anti-comunista, instillata nella classe dal potere nel corso di parecchi decenni. In questo caso il meccanismo potrebbe costringere Trump a rallentare la sua marcia e a mediare con gli interessi contrapposti.
Ma comunque vada non saranno né il partito democratico né la fronda interna a quello repubblicano che potranno difendere i lavoratori USA dallo sfruttamento, o gli stranieri irregolari dall’espulsione (pratica del resto ampiamente usata dall’Amministrazione Obama) o che imporranno un maggior rispetto dei diritti umani (lo stesso Obama in otto lunghi hanno non ha mai chiuso Guantanamo come promesso); che si tratti del salario o del permesso di soggiorno, i lavoratori statunitensi possono fare affidamento solo sulle proprie forze e sulla solidarietà di quelli degli altri paesi: se i generali e i “big” della politica borghese ostentano patriottismo ma praticano il mercenariato, per i proletari l’internazionalismo è l’unica strada praticabile.