Riprendiamo un articolo di Le Monde Diplomatique (giugno 2019) che denuncia come l’intervento della UE in Africa “contro il traffico di esseri umani” sia in realtà un intervento contro la possibilità per questi esseri umani di fuggire da situazioni insostenibili in cerca di un futuro migliore: li criminalizza e li mette in mano, più ancora di prima, a organizzazioni criminali, lasciandoli in balìa di sfruttamento e violenze.
Agadez, principale città a nord del Niger, ha avuto il soprannome di “porta del deserto” che oggi non le si addice più. Dalla stazione centrale nel recente passato partivano anche 200 carovane per il deserto a nord, cariche di bestiame e di passeggeri provenienti soprattutto dall’Africa occidentale, diretti in Libia e in Europa e scortati dall’esercito fino alla frontiera.
Tutta l’economia della città viveva di questi traffici; il lavoro non mancava e nemmeno il denaro, anche molto denaro, per chi era impiegato in questo mercato. La migrazione era legale e oltre la metà delle famiglie viveva grazie alle attività ad essa collegate. Si erano creati 600 posti di lavoro diretti (passeur, intermediari, proprietari degli alloggi, autisti…) e altri migliaia indiretti (cuochi, commercianti, taxisti…).
Alla fine degli anni 90 il business era agli albori; le rotte verso l’Europa, che prima passavano per la Mauritania e il Marocco attraverso il Mali, erano state chiuse a causa delle ribellioni tuareg. Il Niger divenne la via di transito preferita, crocevia di rotte commerciali da sempre, soprattutto per il sale, gli schiavi, il bestiame.
L’organizzazione di supporto al transito era curata nel dettaglio e secondo regole precise: dall’accoglienza, al vitto e all’alloggio nei ‘ghetti’, ai documenti necessari… Il trasportatore aveva cura che tutto seguisse per il meglio e che i suoi clienti arrivassero a destinazione e in buona salute, se voleva assicurarsene di nuovi. All’arrivo in città i migranti pagavano una tassa di ingresso alla polizia, venivano poi presi in carico dalle agenzie che li portavano nei loro ghetti. All’uscita pagavano una nuova tassa che finiva nelle casse del comune (1100 cfa = 1,67 euro a persona).
Le agenzie dovevano consegnare alla polizia un documento di viaggio con i nomi dei passeggeri e la loro nazionalità.
L’amministrazione comunale poteva contare su entrate settimanali dai 3 ai 7 milioni di Cfa (4500-10.600 euro). Un’agenzia guadagnava anche 5 milioni di Cfa la settimana. Le banche, le agenzie e i mercati erano in festa.
I governi hanno persino incoraggiato gli ex ribelli tuareg e tebu a inserirsi in queste attività: avevano i veicoli, conoscevano le strade e non avevano lavoro.
Con la caduta di Gheddafi nel 2011, le cose cambiarono. Il colonnello rendeva quasi impossibile le partenze via mare per l’Europa, ma gli immigrati potevano rimanere in Libia, dove avrebbero trovato facilmente lavoro ed anche ben retribuito.
Eliminato Gheddafi, si apersero le porte per l’Europa e Agadez vide aumentare enormemente il flusso di persone dirette in Libia, che quadruplicarono dal 2013 al 2016. Nel 2016 vi sarebbero passati almeno 400.000 migranti. In quegli anni in città si allestirono 70 ghetti.
Ma cominciò la concorrenza. Molti nigerini scapparono dal caos libico e si riconvertirono in passeur, le regole non vennero più rispettate né le persone; i migranti subivano ricatti, venivano abbandonati nel deserto o venduti alle milizie libiche. Al traffico di migranti si aggiunsero quello di droga, tabacco, armi.
Il 2015 è l’anno in cui i 28 dell’Unione Europea si riuniscono a la Valletta e progettano l’esternalizzazione della lotta contro l’immigrazione, chiedendo esplicitamente al governo di Niamey di fermare i migranti. Lo stesso anno il Niger adotta la legge 2015-36, che adempie all’impegno sottoscritto a la Valletta e rende in un batter d’occhio illegale ciò che prima era un’attività commerciale come un’altra, gettando in prigione molti giovani del paese.
In cambio le potenze europee promettono cifre colossali (oltre 2 miliardi di euro) attraverso il Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa (Eutf) a Nigeria, Senegal, Etiopia, Mali e Niger. Il Niger, paese di estrema povertà e minacciato da Boko Haram, dai gruppi armati del Mali e dalle milizie tebu ai suoi confini, coglie l’occasione per ottenere denaro e sostegno militare.
In tre anni l’Eutf ha stanziato fondi per il Niger più che per ogni altro paese: 266,2 milioni di euro.
Se la teoria ufficiale che accompagnava questa politica era il sostegno allo sviluppo e la lotta contro la tratta di esseri umani, in realtà l’obbiettivo era soltanto bloccare i flussi migratori verso l’Europa.
L’intervento europeo prevedeva il controllo delle frontiere, il potenziamento delle forze di sicurezza nigerine come unità scelte e squadre investigative, la formazione e rifornimenti, anche tramite la missione Eucap Sahel Niger, attiva già dal 2012.
Il presidente Mahamadou Issoufou, alleato della Francia, accetta la legge imposta ed elaborata in parte dai funzionari francesi.
Da quel momento chiunque favorisca un migrante nell’entrata o nell’uscita dal paese, ricevendone un vantaggio economico o materiale, rischia da 5 a 10 anni di carcere e un’ammenda che può arrivare anche a 5 milioni di Cfa (7630 euro). Chi invece lo aiuti durante la permanenza incorre in una pena da 2 a 5 anni di carcere. Dal 2016 sono state arrestate quasi 300 persone e sequestrati altrettanti automezzi.
I sostenitori della legge insistono nel dire che questa politica ha avuto successo e che colpisce i passeur e non i clienti. Ma le cose non stanno così: chiunque si trovi in viaggio verso nord e non possa dimostrare la sua nazionalità nigerina oggi è considerato un potenziale clandestino. Il semplice sospetto lo rispedisce a sud o in qualche prigione.
La legge non assicura alcuna protezione ai migranti ma solo criminalizzazione e repressione.
Diventati clandestini, sono quindi costretti a nascondersi, esponendosi ancor più ad abusi e violenze.
Dall’entrata in vigore della legge i prezzi del viaggio sono saliti alle stelle. Per raggiungere la Libia oggi servono quasi 500.000 Cfa (763 euro), contro i 150.000 (230 euro) di prima.
Il visibile diventa invisibile e quindi incontrollabile, per sfuggire ai controlli i percorsi modificati e più pericolosi. Si sceglie di passare dal Mali, nonostante l’estrema insicurezza della zona, quindi in Algeria, Marocco e Spagna.
I ghetti di Agadez sono diventati illegali e luoghi di reclusione, da cui non si può uscire per non essere scoperti; i prezzi poi sono triplicati, i passeur ricattano ed estorcono denaro e se in odore di polizia abbandonano i passeggeri nel deserto.
Il numero di persone trovate morte sulle rotte per l’Algeria e per la Libia è passato da 71 nel 2015 a 427 nel 2017 (fonte OIM), ma il dato tiene conto solo dei corpi ritrovati.
I migranti devono spostarsi spesso per non essere scoperti, devono fermarsi non pochi giorni ad Agadez come prima ma anche mesi, durante i quali si ammalano ma non osano andare all’ambulatorio per non essere scoperti.
Ed anche per gli abitanti della città la vita è peggiorata. Non c’è lavoro, e se Agadez negli anni ’80 era meta di migliaia di turisti che venivano da tutto il mondo per visitare il deserto del Teneré, le dune di Bilma o il massiccio dell’Aïr, dopo la seconda ribellione tuareg, nel 2007, e l’inserimento della città tra le zone rosse da parte del governo francese, i visitatori sono spariti. Anche le miniere di uranio e tutta la filiera sono in crisi.
Secondo Eucap Sahel Niger in tre anni gli arrivi in Italia sono crollati dell’85% e il numero di migranti transitati per Agadez sarebbe passato da 350 al giorno nel 2016 a meno di 100 nel 2018.
Eppure la migrazione non è cessata, si è semplicemente attrezzata per sfuggire ai radar e quindi anche alla stima dei flussi.
Colpito dalla legge è stato il piccolo trasportatore; i grandi, forti di appoggi politici e mezzi per corrompere le forze di polizia, continuano il loro sporco lavoro e sono diventati onnipotenti.
Il denaro promesso per reinserire i lavoratori che erano impiegati in questo campo prevedeva 8 milioni di euro; ma pochi sono stati i beneficiari e molto poco il denaro arrivato loro (2300 euro ciascuno).
La disoccupazione, soprattutto giovanile, ha rilanciato il banditismo: dai migranti presi in ostaggio e ricattati, al traffico di droga o al reclutamento nei gruppi armati che operano nelle frontiere.
La migrazione oltre a non essersi fermata, è ripresa nell’altro verso: da nord verso sud. Nel 2016 l’OIM ha aperto in periferia un centro di accoglienza per i migranti espulsi dall’Algeria e dalla Libia. L’anno seguente l’Unhcr ha costruito un campo per rifugiati sudanesi, fuggiti dai maltrattamenti libici.
Queste nuove presenze, con il mutato assetto sociale ed economico della zona, hanno provocato non poche tensioni tra gli abitanti.
I migranti, un tempo accolti a braccia aperte, oggi scatenano invidia e preoccupazioni.
Il circolo è vizioso: la legge impedisce loro di passare in Libia ma anche di stabilirsi nella regione di Agadez. Gli ex passeur oggi danno loro la caccia per conto dell’Unione Europea perché, come in Libia, la caccia ai clandestini è redditizia per chi, fino a poco tempo prima, li aiutava.