Da un mese è in corso l’offensiva turca sul cantone di Afrin, la ridotta curda che insieme agli altri due cantoni della Rojava (Kobane e Jasira) ha dato rifugio a tanti sfollati in fuga dalla morte, non importa se arabi, non importa di quale confessione.
Due isole non certo felici, non certo di un impossibile socialismo cantonale, ma due isole di convivenza tra etnie e religioni che altrove sono state spinte a scannarsi tra loro tutto intorno, in Siria e Medio Oriente, un’isola di emancipazione della donna (in armi), di tentativi di porre la vita di comunità al di sopra degli interessi dei singoli, di partecipazione senz’altro più reale alla vita pubblica rispetto alle nostre marce democrazie-spettacolo.
Ma l’auto-amministrazione e l’auto-difesa dei curdi è vista come un pericolo dalla Turchia di Erdogan perché con i suoi collegamenti con il PKK può fornire un retroterra ai milioni di curdi oppressi e repressi dentro i confini dello Stato turco. “Combattere il terrorismo”, cioè schiacciare Afrin, e poi Kobane “è una questione vitale per la nazione” sbraita da un mese Erdogan mentre inietta veleno nazionalista nelle orecchie dei turchi contro i curdi.
Pensava fosse una passeggiata, ma avendo trovato una forte resistenza, dopo un mese ha annunciato che, conquistati 37 villaggi circostanti e ammazzate centinaia di combattenti e di civili, i carri armati turchi porranno Afrin sotto assedio: la fame, le distruzioni, i morti che avevano tenuto fuori delle loro contrade combattendo contro ISIS e altre bande islamiche, ora arrivano direttamente dal loro mandante turco. Tra il secondo esercito della Nato e l’esercito popolare di una piccola provincia, a cui gli americani si sono ben guardati dal fornire armi pesanti, non c’è partita.
Ma dove sono gli americani, non erano gli sponsor e i garanti dei curdi? Non avevano appena annunciato la costituzione di una guardia di frontiera curda qualche giorno prima dell’offensiva turca? Non vantano il controllo su un terzo del territorio siriano, e una micidiale capacità di fuoco aerea, con la quale hanno ammazzato, come “avvertimento”, oltre un centinaio di soldati di Assad e almeno una quindicina di mercenari russi che stavano avanzando verso Est contro altre truppe curde sotto direzione americana? Gli americani si sono lamentati che l’attacco contro Afrin distoglie i “loro” curdi dalle operazioni in corso (ovviamente contro l’ISIS, che se fosse scomparso lo resusciterebbero in molti, perché li “autorizza” a sparare). Ma non hanno premuto nessun pulsante contro l’invasione turca… Dopotutto Afrin era fuori della loro sfera d’influenza. Afrin non vale uno scontro tra soci NATO… Il loro problema è tenere il rapporto con le milizie di Kobane e Jasira, ora che sanno che Zio Sam dopo averli usati potrà scaricare anche loro alla ragion di stato.
E Putin? I russi ad Afrin c’erano anche con truppe, il cantone è sotto il loro controllo aereo. Cosa si sono detti Putin ed Erdogan nell’ultimo dei loro frequenti incontri? Facile intuirlo: i russi hanno ritirato le loro truppe da Afrin e aperto il cielo ai turchi, perché agissero indisturbati. La collaborazione turca nella spartizione della Siria, nel Medio Oriente e in Asia Centrale val bene un Afrin…
E Assad? Per tutto un mese Assad ha lasciato che una potenza straniera invadesse il “suo” territorio senza reagire. Ora ci giunge notizia che truppe irregolari “filogovernative” sono giunte in soccorso di Afrin, ma sono state respinte dall’artiglieria turca… mentre artiglieria e forze aere di Assad e russe sono impegnate nel loro assedio, contro gli oltre 400 mila abitanti del Ghouta orientale, con già centinaia di vittime civili e la fame che avanza. Che i turchi spezzino il nerbo della resistenza militare curda, poi Assad potrà trattare la soluzione federale per i cantoni curdi da posizioni di forza…
Quanto all’Iran, presente in Siria direttamente con le forze Quds e indirettamente con Hezbollah… ha tutto l’interesse a spegnere la fiaccola curda in Siria, che potrebbe ispirare l’imitazione ai curdi in territorio iraniano, che già crearono i Consigli nel 1980-81. Erdogan ha detto di avere raggiunto un accordo con Russia e Iran su Afrin.
Israele, pronto ad attaccare ogni presenza militare iraniana in Siria, minacciando attacchi sul territorio iraniano, non intende certo guastarsi oltre i rapporti con la Turchia: dopo avere appoggiato il tentativo indipendentista del Kurdistan iracheno lascia al loro destino i curdi di Afrin.
Per completare il quadro, silenzio o timidi mormorii dall’Europa che pure ha corteggiato la federazione della Rojava. L’onnipresente Cina guarda dall’altra parte mentre festeggia il suo Capodanno lunare. E silenzio dall’ONU, che non si accorge della violazione della “legalità internazionale” da parte della Turchia, confermandosi “covo di briganti”, come già Lenin definì la Società delle Nazioni.
Afrin è sola. La catastrofe siriana e del Medio Oriente non può trovare soluzione nel quadro delle potenze capitalistiche che l’ha creata. La speranza è nei movimenti di opposizione di massa che sette anni dopo le “primavere arabe” sono ripresi, in Iran, Tunisia, Marocco; è nell’opposizione di classe alla politica di Erdogan in Turchia, è nella ripresa dell’internazionalismo in Europa e America a partire dai movimenti di lotta sul lavoro, la casa, contro razzismo e xenofobia, contro armamenti e missioni militari.