Poco seguite in Italia, le elezioni politiche in Polonia, come alcuni aspetti della vicenda greca, mostrano come l’aumento delle diseguaglianze e il peggioramento delle condizioni di lavoro possano essere cavalcati da frazioni borghesi, che additano come unici responsabili da un lato l’Europa, dall’altro gli immigrati, annegando nel nazionalismo le differenze di classe. Un rischio che si corre in tutti i paesi europei, sia pure coniugato con ideologie diverse, adatte alle tradizioni culturali e politiche di ogni paese.
Le prime avvisaglie si erano avute alle presidenziali del maggio 2015, con la vittoria di Andrzej Duda, del PiS (Prawo i Sprawiedliwość – Diritto e Giustizia)” con il 37,58%, contro Komorowski, presidente dal 2010. Le elezioni politiche di domenica 25 ottobre confermano una vittoria totale dei “conservatori nazionalisti, euroscettici, ultracattolici del PiS”, che tolgono il governo dalle mani di PO (“Platforma Obywatelska”, Piattaforma Civica), il partito liberale europeista che ha governato dal 2007 sotto la guida di Donald Tusk, oggi presidente del Consiglio Europeo (nota 1).
Il peso dell’astensionismo
Che questo corrisponda al “sentimento della gente” è una esagerazione mediatica.
Intanto perché a votare è andato solo il 51,6% (15,84 milioni sui 30,8 aventi diritto al voto). Una cifra alta per la Polonia (nota 2), ma che ridimensiona la portata della vittoria, poiché il 37,58% dei votanti che hanno scelto il PiS equivale al 19,4% degli aventi diritto, comunque 1 su 5.
Inoltre la maggioranza assoluta al PiS (238 seggi sui 460 della Camera Bassa contro i 135 di Piattaforma Civica) viene dal meccanismo elettorale, cioè dal premio di maggioranza (nota 2). Possiamo dunque dire che il PiS è riuscito a mobilitare di più il proprio elettorato, mentre i seguaci di Piattaforma Civica si sono astenuti più che in passato.
La geografia politica e sociale del voto
Come in maggio il paese si presenta elettoralmente spaccato in due geograficamente, ma anche socialmente. Hanno votato PiS l’Est del paese, le aree rurali, che in Polonia pesano ancora per un 38% sul totale della popolazione e dove l’astensionismo è minore, ma anche la Slesia delle miniere. Votano PO le aree a ovest della Vistola, la Polonia ex tedesca, il motore economico della Polonia. Dove si trovano i maggiori centri industriali (Danzica, Poznań, Wrocław e Katowice, Cracovia), salvo Varsavia (nota 3).
Si ritiene comunemente che il partito al governo venga sconfitto se le condizioni economiche sono peggiorate, perciò questo risultato stupisce perché la Polonia ha avuto nell’ultimo decennio la performance economica più brillante in Europa (nota 4).
Il realtà il malcontento nasce dal fatto che la crescita economica non ha toccato né tutte le zone uniformemente né ha beneficato tutti gli strati sociali.
Ad esempio, grazie ai contributi UE, c’è stato un forte sviluppo della rete infrastrutturale, ma concentrata tutta a Ovest, dove anche i salari sono più alti, dal momento che la maggior parte degli occupati si concentra nell’industria e nel terziario. E dove il reddito è più alto anche la speranza di vita è maggiore (un gap di circa 15 anni) perché anche l’assistenza sanitaria è di gran lunga migliore (la popolazione rurale, il 38% della popolazione totale, riceve solo il 10% della spesa sanitaria).
Il 23% della popolazione rurale è a rischio povertà, mentre nelle città il tasso di tale rischio scende all’11%. È sulla soglia dell’indigenza il 40% delle famiglie con tre o più figli, e il 25% di famiglie monogenitoriali; data l’assenza di una adeguata assistenza sociale sono percentualmente più poveri i bambini e gli anziani e i pensionati. La stampa di governo esalta il fatto che l’industria è in espansione e attira investimenti, ma quello che rende appetibile la Polonia sono le 14 Zone Economiche Speciali, dove accanto a esenzioni fiscali e agevolazioni burocratiche è previsto un supersfruttamento della manodopera. Non sono infrequenti turni di 16 ore per 300€ netti al mese. Una buona metà de lavoratori hanno contratti a tempo determinato o atipici o occasionali (i cosiddetti “contratti spazzatura”).
E’ prevalentemente qui che operano le circa 2 mila aziende italiane presenti in Polonia (nel 2011 le sole aziende con un fatturato maggiore di 1,5 milioni di €, hanno realizzato in Polonia un fatturato di 14 miliardi. Tanto per avere un paragone, in Cina le aziende con questa dimensione hanno fatturato la metà).
Neoliberismo e protezionismo
Rispetto a queste problematiche i due partiti in lizza, entrambi destrorsi e nazionalisti rappresentano però due linee borghesi diverse.
Il PO più sbilanciato verso una maggiore integrazione con i capitali tedeschi e una politica di privatizzazioni che alleggerisca il bilancio dello stato. Quindi propenso anche a quel piano di parziale chiusura e privatizzazione delle miniere (messe in ginocchio dalla concorrenza del più economico carbone russo ma anche dalla severa legislazione ambientalista europea) che ha scatenato fra gennaio e marzo 2015 una ondata massiccia di scioperi e manifestazioni dei minatori, cui abbiamo già dedicato un approfondimento: cfr. Carbone e energia proletaria, sul sito Combat, 18 febbraio 2015.
Il PiS viceversa contrario alla vendita dei “gioielli di famiglia”, preoccupato per gli effetti che la liberalizzazione troppo spinta avrebbe sullo strato dei piccoli proprietari terrieri, esponendoli alla concorrenza, preoccupato anche per i contraccolpi che la politica delle sanzioni voluta dalla Germania ha avuto sull’export agricolo polacco in Russia (gli addetti all’agricoltura in Polonia sono il 17,8% della popolazione attiva).
A fronte della dura repressione poliziesca adottata dal governo Kovacs nei confronti dei minatori il PiS si è presentato come l’alfiere della difesa dei loro posti di lavoro e per il mantenimento del carbone come principale fonte energetica. Alle politiche ha esibito una candidata figlia di un minatore dell’Alta Slesia, quella Beata Szydlo che diventerà premier. Il Pis ha sottolineato l’importanza di difendere i produttori nazionali contro lo strapotere delle multinazionali estere. E si è atteggiato a campione del “piccolo capitale” contro il “grande capitale” ha promesso di tassare di più i profitti delle banche e i supermercati.
Un no-austerity da destra
Ansioso di compiacere la UE, il partito Piattaforma civica ha applicato con decisione la politica di austerity voluta da Bruxelles, tagliando le pensioni (portate a 67 anni), decisione quanto mai impopolare. Gia con Duda il Pis ha promesso di riportare le pensioni ai livelli precedenti (65 anni per gli uomini, 60 per le donne) e lo ha ripromesso in questa campagna elettorale, garantendo anche una migliore assistenza sanitaria agli over ’75 e aggiungendo, in coerenza col proprio retroterra ipercattolico, la promessa di un consistente assegno familiare a partire dal secondo figlio (nota 5).
La xenofobia
Non ha molta importanza per il Pis se queste promesse verranno mantenute (oggi il sistema pensionistico assorbe l’11% del Pil, sarà difficile aumentarne la quota), esse comunque sono state utilizzate assieme a una fortissima propaganda xenofoba.
Poiché Eva Kopacz aveva accettato in sede europea sia pure parzialmente di partecipare alla ripartizione dei rifugiati, il PiS ha contrattaccato agitando i fantasmi dell’invasione mussulmana, dell’islamizzazione del paese e di un fiume di epidemie che avrebbe travolto i polacchi. Un discorso condito da toni da crociata religiosa (“al massimo accogliamo i cristiani” e infatti una loro fondazione privata ha curato l’accoglienza di… 200 siriani in tutto), con toni allarmistici del tutto avulsi dai problemi reali, perché la Polonia non è stata quasi toccata dall’onda migratoria dell’estate, dai siriani e dagli afghani, se mai ha accolto senza grosse resistenze, molti profughi ucraini, soprattutto nel 2014. Un discorso, quello sull’immigrazione, estremamente contradditorio in un paese che ha esportato in tempi recenti quasi 2 milioni di giovani in cerca di lavoro e migliori salari (dati Economist), cioè il 5% della popolazione, emigrati prevalentemente nel Regno Unito, Irlanda Germania e contro i quali le destre locali hanno scatenato campagne xenofobe (vedi quella contro “l’idraulico polacco”). Il rifiuto per l’immigrato arabo (“terrorista”) o africano (“con l’Ebola”) è anche una eredità dello stalinismo, comune a tutto l’Est europeo. Rafforzato dalla posizione islamofoba di una parte del clero, che ha in larga parte appoggiato il PiS, mettendogli a disposizione i microfoni di Radio Maria, (4 milioni di ascoltatori, prevalentemente nelle aree rurali, spesso accusata anche in ambienti vaticani di nazionalismo e antisemitismo). Particolarmente forte la consonanza sui “temi etici”: no all’aborto, no alla fecondazione in vitro, no alla lotta contro il femminicidio.
Dopo la vittoria Jaroslaw Kaczynski, il vero artefice della campagna elettorale propone l’avvio di un asse Polonia-Ungheria-Slovacchia intorno a una linea di respingimento totale dei profughi, un asse di grosso peso demografico ed economico e quindi di grande impatto propagandistico.
L’euroscetticismo
La stampa nostrana ha insistito sul fatto che il PiS, fin dai tempi del duo Kacinsky, è coerentemente e platealmente euroscettico, ma va data una precisa descrizione di questo euroscetticismo in buona parte condiviso dalla stessa PO: alla Polonia non conviene entrare nell’euro perché questo la condizionerebbe nell’uso flessibile della sua moneta, che le ha permesso di penetrare nel mercato russo, kazakho, ucraino con i suoi prodotti alimentari e meccanici; inoltre fuori dall’euro può puntare a un maggiore deficit statale per incentivare una politica espansiva.
Ma l’euroscetticismo non è antieuropeismo. E non potrebbe essere altrimenti, vista la grande quantità di fondi europei (in tutto 80 miliardi di € fra 2007-23 fra fondi strutturali e fondi di coesione, pari al 3% del PIL) che hanno letteralmente investito la Polonia, con interventi co-finanziati dall’UE visibili praticamente in tutte le aree del paese: 1661 km di linee ferroviarie 11 mila km di strade e ponti 25 mila nuove aziende, 300mila posti di lavoro, nuovo treni e tram, riqualificazione di quartieri, nuove scuole, ospedali. E si prevede che nel settennato appena iniziato 2014-2020 l’UE riverserà altri 82,5 miliardi di euro (nota 6).
Il nazionalismo
Non va sottovalutato il peso che sulle due campagne elettorali del 2015 hanno avuto i timori suscitati dalle vicende ucraine, in particolare l’annessione della Crimea alla Russia nel 2014, rispetto a cui l’atteggiamento della Germania e della UE in genere è sembrato troppo remissivo. Storicamente minacciata a ovest dalla Germania e a Est dalla Russia, dopo la caduta del muro la Polonia è entrata con entusiasmo nella Nato e poi nella Ue. Per un certo periodo ha carezzato l’idea di entrare a far parte integrante di un esercito europeo, che garantisse le sue frontiere orientali. E ha quindi partecipato con contingenti significativi alle spedizioni Nato in Iraq, Afghanistan, Ciad, Centrafrica. Poi è subentrata la delusione quando Obama nel 2009 ha abbandonato il progetto di scudo antimissilistico regionale. Dopo la crisi ucraina l’allora presidente Komorowski ha elaborato una nuova dottrina militare: concentrarsi sul territorio nazionale, aumento della spesa militare fino all’1,9% del PIL (30 miliardi di $ in 10 anni), modernizzazione di esercito ed aviazione, con acquisto di Leopard II dalla Germania, di droni e F-16 dalla Lockheed Martin, missili AGM-158 da puntare su Kaliningrad. Società come la Sikorsky Aircraft, l’Augusta Westland o la Hamilton Sundstrand hanno aperto filiali in territorio polacco.
Anche più inquietante è l’incentivazione di formazioni paramilitari, sostenute direttamente dall’esercito (armi uniformi e addestramento) come Strzelec (5 mila effettivi) . Ufficialmente queste formazioni sono la riedizione delle bande partigiane antinaziste del 1944; altri rievocano le bande antisovietiche di Pilsudski. E teorizzano che in caso di invasione russa queste bande difenderanno “il sacro suolo della patria” (nota 7).
Queste bande sono veicolo di propaganda nazionalistica soprattutto fra lavoratori e giovani, tengono alta la tensione spostando l’attenzione dalle difficili condizioni di vita quotidiana alla paura del nemico esterno; inoltre l’esperienza ci insegna che sono lo strumento preferito nella repressione antioperaia che salta i canali ufficiali.
Da questo punto di vista Beata Szydlo accentuerà i toni anti-tedeschi, ma sposerà in pieno la politica “meno burro più cannoni”, sia come collante ideologico per la società polacca che come volano per l’economia.
Da Walesa a Pilsudski?
Cos’è rimasto nella Polonia di oggi delle mitiche lotte dei minatori e degli operai di Solidarnosc anni ‘80? La solidarietà è davvero morta? E il movimento operaio anche? Apparentemente sì. Solidarnosc è diventato un sindacato sempre più filogovernativo e sempre meno rivendicativo.
Sono stati i suoi dirigenti a firmare l’accordo per i minatori che i minatori hanno rigettato nella primavera del 2015. Ma lontano dai riflettori la classe operaia polacca si sta organizzando nella lotta contro il precariato, gli incidenti sul lavoro, i bassi salari. Gruppi di operai reagiscono nonostante le minacce e i licenziamenti (vedi le lotte coordinate da “Iniziativa operaia” o da “My Prekariat”). Sono gli stessi che non votano (e se anche votassero che scelta avrebbero fra un Duda o un Komorowski), che scrivono su piccoli gionali a tiratura limitata e che non fruiscono dei fondi europei. Ma per loro la solidarietà, quella vera, classe, non è morta.
Nota 1: Piattaforma Civica (Platforma Obywatelska) è nato dal 2001 come alleanza elettorale di componenti di Solidarnosc, come partito cattolico, conservatore, europeista e liberista. Dal settembre 2014 è guidato da Eva Kopacz
Nota 2: La partecipazione al voto è tradizionalmente molto bassa alle europee: 21% del 2004, 25% nel 2009 e 23,8 nel 2014. Migliore la partecipazione alle politiche 41% nel 2005 54% nel 2007 nel 2011 il 48,9%.
Alle presidenziali 50% nel 2004, 55% nel 2010, nel maggio 2014 48,96 al primo turno e 56,1% al secondo turno.
Nota 3: 42 seggi sono andati a Kukiz’15, fondato dall’omonimo cantante rock (8,81%), 28 seggi a Nowocczesna (Moderni) guidata dall’ex economista della Banca Mondiale Ryszard Petru (7,6%). Entrambe queste formazioni si presentavano per la prima volta. Infine 16 seggi vanno al PPP (Partito Popolare Polacco o dei contadini). I partiti in lizza erano 8. Senza seggi, a causa dello sbarramento (5% per un partito, 8% per una coalizione) gli ex stalinisti di Sinistra Unita (7,55%)
Nota 4: negli ultimi dieci anni il Pil è aumentato del 50% E non ha dato segni di arretramento neanche negli anni di crisi recente. Il Pil pro capite è passato dai 6.639 dollari del 2004 ai 13.653 del 2013 (dati Banca mondiale)
Nota 5: Le stesse promesse in maggio hanno fatto vincere Duda. Secondo l’Istituto Ipsos ha votato per lui il 66,4% degli agricoltori, il 61,9% degli operai, il 63,8% di studenti, il 62,4% di disoccupati, il 52,9% di pensionati. In suo favore ha votato il 60,8% di giovani sotto il 30 anni. Fra i laureati invece ha vinto il presidente uscente, con il 54,9% delle preferenze.
Nota 6: Circa il 60% dei polacchi era a favore dell’ingresso nell’Unione Europea nel giugno 2004 alla vigilia delle prime elezioni europee; un consenso all’integrazione in Europa che arriva al 90% alla metà del 2008 e riconfermandosi al 75% a metà del 2014.
Nota 7: Questo atteggiamento fa pensare a un clima I “guerra fredda” e di rottura fra Mosca e Varsavia. La situazione è più complessa. I legami economici fra i due paesi si stanno incrementano La Polonia è il principale produttore di carbone della UE, e praticamente tutta la sua produzione energetica (circa il 92-94%) deriva da centrali a carbone. Ma la Polonia importa circa il 90% del suo fabbisogno di petrolio, e il 66% del gas naturale, con la Russia come fornitore principale. Come la Germania anche la Polonia sta cercando di diminuire la sua dipendenza energetica alla Russia (aprendo il primo terminale di gas liquefatto e sviluppando l’estrazione del proprio gas di scisti). Aspira anche a diventare paese leader dell’Europa dell’Est e lo scontro con la Russia è uno strumento ideologico adatto. Anche se secondo una corrente di pensiero minoritaria dovendo scegliere, sarebbe meglio accordarsi con la Russia per una spartizione di fatto dell’Ucraina.