Fabio Cavalera
Troppo alto il costo della vita nelle aree industriali
protagoniste della crescita del colosso asiatico
Rallenta la migrazione dalle campagne. La Banca centrale:
salari su del 15%
In CINA le aziende faticano a trovare manodopera: gli alti
prezzi delle città frenano l’immigrazione delle campagne. Questo spinge in alto
i salari.
PECHINO – I posti in fabbrica ci sono. Ma chi li
va ad occupare? Mancano i lavoratori. E la ragione c’è. Per i contadini,
tradizionale serbatoio a bassissimo costo delle manifatture cinesi, il
passaggio dalla terra alla linea di montaggio è un’ attrazione sempre meno
fatale perché nelle città i prezzi (abitazione, cibo, educazione, salute)
stanno sconfinando verso livelli troppo alti per le loro ristrette finanze
(nelle campagne il reddito annuale è stato pari a 338,07 euro nel 2005).
L’esempio ultimo e più significativo è quanto accaduto all’inizio del 2006
nella fiera di Fuzhou, nella provincia del Fujian, il sud ricco che si
affaccia su Taiwan. Il progetto di incentivare un esodo di 50 mila persone per
coprire altrettante posizioni nella industria è andato fallito.
Era già da un po’ di tempo che le statistiche segnalavano la paradossale
tendenza nell’economia cinese. Ora il fenomeno è consolidato. Nei distretti
del tessile, della meccanica, persino della tecnologia avanzata e della
energia, la domanda delle imprese eccede l’offerta di manodopera.
Sembra quasi uno scherzo o un controsenso in un Paese che pure ha un
miliardo e 300 milioni di abitanti e che sta sostenendo un trend di crescita
del suo prodotto interno lordo pari al 10,2 per cento da gennaio ad aprile
rispetto allo scorso anno. Eppure i dati rilevano questo squilibrio anomalo e
lo indicano quale spiegazione di una dinamica a catena nel mondo del lavoro.
Il primo effetto riguarda la risalita dei salari di gran lunga superiore alle
aspettative. Nel 2005 un lavoratore urbano ha ricevuto una retribuzione media
annua di 18.400 yuan (circa 1.800 euro, 2.300 dollari) con un aumento del 14,8
% rispetto al 2004, quando erano fermi a 16.024 yuan (2003 dollari). Il
secondo effetto riguarda la più forte competizione fra aziende nazionali e
aziende straniere che arrivano oggi a scontrarsi per saldare il deficit di
organico. Con conseguente tensione retributiva.
Il fenomeno ha trovato la più autorevole delle conferme nella relazione
preparata e presentata dalla People’s Bank of China, la Banca Centrale.
Una mappa del mercato del lavoro che offre l’immagine della complessità che
caratterizza il miracolo economico del gigante d’Asia. Il panorama retributivo
ha una considerevole disomogeneità. A est, il lavoro è meglio remunerato ma
gli aumenti in busta paga sono più contenuti (22.400 yuan nell’intero 2005,
circa 2200 euro, con un più 12,3 per cento rispetto al 2004). A ovest e al
centro, il salario medio è più basso (rispettivamente 15.700 yuan, 1500 euro e
14.800 euro, 1400 euro) ma la crescita in dodici mesi è stata del 18 per cento.
Per la prima volta negli ultimi anni le retribuzioni industriali in Cina
subiscono una variazione così importante. Restano ovviamente molto basse e tali
da far sostenere e vincere la gara della competitività sui mercati
internazionali però il quadro complessivo della realtà è più articolato di
quanto possa apparire. Il mercato del lavoro si sta diversificando in fretta. In
linea generale, come spiega anche la Banca Centrale, il fenomeno marcia
parallelo alla sofferenza di offerta di manodopera.
Quanto avviene nel Guangdong, «l’officina della Cina», o nel Delta dello
Yangtze, il Fiume Azzurro, o a Shenzen l’ex villaggio ai confini con Hong Kong
divenuto metropoli, dimostra che l’eccesso di domanda (un milione di posti
rimasti vacanti nel 2005) costringe le aziende a riformulare le proposte
salariali con ritocchi all’insù per attirare migranti delle campagne. I
risultati per ora non sono pari alle previsioni.
Qualcuno interpreta questi segnali come un passaggio verso una maggiore
liberalizzazione della economia reale. In verità la stessa relazione della
Banca Centrale sottolinea una tendenza contraddittoria. Gli aumenti
retribuitivi più alti si hanno, oltre che nelle imprese a capitale straniero,
nel settore statale (più 20%). Il che significa che lo Stato continua a
riservare condizioni di maggiore tutela e attenzione rispetto a quelle
dell’industria privata.