ISRAELE, MEDIO ORIENTE
CORRIERE Giov. 27/4/2006 Davide Frattini
GERUSALEMME – Conosce gli esplosivi: è stato
addestrato in un’accademia militare della Germania orientale negli anni Ottanta.
Conosce i beduini e le sabbie del Sinai: il suo clan è il più potente a Rafah,
la città all’estremo sud della Striscia di Gaza.
L’intelligence israeliana è convinta che Jamal Abu Samhadana controlli
tutto quello che si muove qua attorno, sopra e sotto il deserto. Il flusso
di vestiti, armi, alcol, pezzi di macchine, prostitute, che viaggia attraverso
i tunnel scavati al confine con l’Egitto. Ed è preoccupata che da quei
buchi siano emersi emissari legati ad Al Qaeda, per creare cellule tra i militanti
palestinesi «disoccupati»: «L’intifada ufficiale sembra in declino e si sono
trovati con poco da fare», commentano gli analisti.
«Non abbiamo bisogno di Al Qaeda, Gaza è piena di organizzazioni che sono in
grado di realizzare gli attacchi e di continuare la lotta», risponde Samhadana.
Usa il telefonino con sospetto, sa che potrebbe rivelare la sua posizione agli
007: è il numero due nella lista dei terroristi super-ricercati ed è
sopravvissuto a due tentativi di omicidio mirato.
Da allora va in giro senza guardie del corpo, niente convogli, solo auto
scassate e anonime. Da Osama Bin Laden sembra accettare solo il sostegno a
parole, proclamato nell’ultimo messaggio: «Bin Laden fa parte della nazione
islamica e ha il diritto di lanciare un appello ai governi e agli Stati arabi
perché appoggino il governo di Hamas, boicottato dagli americani, dai sionisti
e dal mondo».
Dopo che il ministro degli Interni palestinese lo ha scelto per guidare la
nuova forza di polizia formata da quattromila militanti, Samhadana deve
guardarsi anche dai kalashnikov delle altre fazioni, come le squadre agli
ordini di Mohammed Dahlan. «Non ci lasceremo trascinare nella guerra
civile. Spargere sangue palestinese è un tabù. Ci sono pericoli esterni e
dobbiamo rimanere uniti. Io ho buoni rapporti con i leader. Non sono di
Hamas, non sono di Fatah, posso parlare con tutti e due».
I Comitati di resistenza popolare, che ha fondato alla fine del 2000,
raccolgono fuoriusciti e dissidenti delle organizzazioni. Gli americani li
ritengono responsabili di aver piazzato l’esplosivo che ha fatto saltare un
convoglio diplomatico, uccidendo tre uomini della scorta nell’ottobre 2003.
Secondo gli israeliani, sono dietro ai lanci continui di Kassam contro le città
attorno alla Striscia e avrebbero organizzato l’attacco sventato ieri al valico
di Karni, dove un’autobomba è stata bloccata dalla polizia palestinese.
Samhadana respinge l’ipotesi di una tregua. «Fa ridere parlarne, quando
il nostro popolo soffre per l’assedio internazionale. Siamo tutti in trincea
contro l’aggressione di Israele. Se Israele interrompe gli attacchi, accetta i
nostri diritti, l’esercito si ritira dalla nostra terra e possiamo far nascere
uno Stato con Gerusalemme come capitale, allora si può discutere un cessate il
fuoco. C’è una cospirazione contro i palestinesi, ma noi difenderemo quello che
abbiamo ottenuto».