Le elezioni in Francia: la novità più interessante, per noi, è la piazza.

Place de La Republìque – 7/7/2024

Tutti i commenti della stampa e degli opinionisti sottolineano l’esito a sorpresa delle elezioni in Francia, ovvero la mancata vittoria del RN di Le Pen-Bardella, ma la cosa era nell’aria, e lo si era intuito dai commenti stizziti di tutte le destre del “globo terraqueo”, quando il fronte delle sinistre aveva annunciato l’accordo di desistenza con i macroniani. Gli esponenti di Rassemblement National, cui avevano fatto subito eco quelli della destra nazionale nostrana, avevano un unico tono: attentato alla democrazia, accordi per soffocare la volontà di cambiamento dei francesi, eccetera. La ducetta de Roma non ha fatto mancare di esprimere la sua preoccupazione per “…il tentativo costante di demonizzare e mettere all’angolo il popolo che non vota per le sinistre” (v. “il Giornale” dell’1 luglio).

I precedenti complimenti della Meloni a RN e i suoi verdetti storici sull’unità delle destre e sulle nuove magnifiche sorti della destra avanzante e vincente in tutta Europa, le si sono rimasti in gola quando nella serata di ieri i primi esiti delle elezioni ed i relativi festeggiamenti di piazza hanno chiarito che era accaduto qualcosa di differente dalle sue aspettative. Nessuna dichiarazione. Tutti i tg nazionali, ormai sotto il comando stretto degli staff governativi della comunicazione, dopo le notizie di prammatica, sono passati a parlare d’altro. La Meloni non commenterà il voto francese se non quando il quadro sarà più chiaro (v. “Corsera” di oggi), ma intanto sottolinea la stabilità che c’è in Italia e si unisce ai gufi che gridano all’allarme instabilità in Francia. In aggiunta facciamo notare che non risultano ad oggi osservazioni o commenti di qualche opinionista che chieda alla Meloni dove va a finire adesso tutta la tirata sulla superiorità del sistema presidenzialista, fattore di stabilità e di ostacolo a tutti i ribaltoni, in poche parole, la famosa madre di tutte le battaglie. Come pure attendiamo il commento dei campisti d’Italia sul voto, e sulle dichiarazioni di quel campione di democrazia&libertà che è Sergej Lavrov il quale si lamenta per la sconfitta di Le Pen con il seguente argomento: “Le elezioni in Francia non ricordano molto la democrazia” (da che pulpito!), per poi proporre una riforma elettorale perché “il secondo turno è finalizzato a manipolare la volontà degli elettori”.

Lasciamo da parte, per oggi, ogni discorso sulla democrazia – il succo del nostro discorso sarebbe questo: Le Pen, Macron, Melenchon, Lavrov, Meloni, Schlein, etc. sono tutti, ciascuno a suo modo, campioni di democrazia, a misura che la democrazia borghese, che loro difendono, non è che una dittatura di classe dei capitalisti opportunamente mascherata, fino a che ci sono abbondanti proventi, esterni e interni, che permettono di tenerla in vita. Lasciamo da parte anche le elucubrazioni dei politologi su cosa farà ora l’anatra zoppa Macron (che ha perso 100 deputati), essendo evidentissimo che cercherà di rompere il raccogliticcio Nouveau Front Populaire (che ha costruito il suo programma comune in 3 giorni) all’interno del quale più di una formazione è pronta a collaborare con il partito/non partito di Macron, tradendo il patto appena concluso con Melenchon. Il direttore di “Le Monde”, J. Fenoglio, gli ha aperto la strada attaccando frontalmente gli “insoumis” per avere “brutalizzato continuamente i dibattiti e le elaborazioni collettive nel corso degli ultimi due anni” (addirittura “brutalizzato”!?, per qualche modesta rivendicazione sul salario minimo, l’età pensionabile e il cessate il fuoco a Gaza!?). Del resto, altri gazzettieri ultra-sionisti hanno provveduto da tempo a collocare lo stesso Melenchon tra gli “anti-semiti”… dentro l’Unione Europea vige il divieto assoluto di critica allo stato e al governo di Israele!

Concentriamoci, invece, sul punto di maggior interesse per noi: i proletari, gli immigrati di Francia, il percorso di ripresa della lotta di classe, perché in questo campo una piccola novità interessante c’è stata. Ed è questa novità, ben più che i patti di desistenza, a spiegare il deludente risultato delle destre – premiate, comunque da oltre 9 milioni di elettori, il doppio di due anni fa, guai a dimenticarlo! E guai a non capire che dalla posizione di opposizione che necessariamente spetta al RN, gli sarà piuttosto agevole capitalizzare elettoralmente lo scontento che genererà lo stallo politico, oppure – e forse più – un nuovo governo di coalizione che non potrà in alcun modo allontanarsi più di tanto dal tracciato delle politiche economiche e sociali anti-proletarie e anti-popolari di Macron&Co.

La novità positiva e interessante, per noi, è questa: una certa risposta di settori proletari, semiproletari, dei francesi di seconda e terza generazione, all’appello contro il pericolo che il RN andasse al potere con la sua carica di virulento razzismo anti-musulmano e anti-immigrati, c’è stata. Non plebiscitaria, dal momento che la partecipazione al voto, seppur fortemente risalita fino al 66,7% (un 20% in più del 2022), non si può certo dire totalitaria. E la cosa per noi di maggior rilievo è che questi settori, in maggioranza composti da giovani, non si siano limitati ad andare al voto, ma siano scesi in piazza facendo sentire la loro viva presenza. L’anti-islamismo virulento del FN ha polarizzato doppiamente malesseri e malumori sociali (anche proletari) da un lato, paure e necessità di difendersi dal rischio di più pesanti discriminazioni dall’altro. L’attacco anti-proletario della destra lepenista ha scelto questo come terreno principale. E su questo si è inserito abilmente anche Erdogan, facendosi paladino della causa dell’islam e degli islamici. Più che questa manovra esterna, però, a mobilitare settori di giovani verso le urne e le piazze è stato il movimento internazionale di solidarietà con il popolo palestinese e la resistenza palestinese, sicuramente vivace in Francia, benché incostante. Non hanno risposto ad un appello di presunte sinistre, quanto ad uno slancio del tutto interno – dovuto anche alla quotidiana esperienza diretta – di ripulsa della linea generale della destra identificata, non a torto, come fascisteggiante e razzista. In Place de la République, stanotte, gli slogan di lotta come pure le bandiere della Palestina sovrastavano quelle francesi – vietate le bandiere rosse! (è un antico divieto ai comizi di France Insoumise, che ha il suo epicentro nella France, nella nazione francese, e non certo nella classe che ha innalzato la bandiera rossa per la prima volta proprio in Francia). Ed è questo un aspetto che avvicina i risultati francesi a quelli britannici, dove cinque deputati (tra cui Jeremy Corbyn) sono stati eletti come indipendenti estranei, e anche contrapposti al Labour, sulla base di dichiarazioni filo-palestinesi. Da notare, anche, l’elezione in  Nuova Caledonia del candidato indipendentista Emmanuel Tjibaou (non accadeva da 40 anni) e la bocciatura di un deputato d’oltremare molto vicino a Netanyahu…

Quanto alla seconda leva elettorale della destra, la contrarietà all’impegno in Ucraina sia in forniture ed impiego di armi sia in impiego diretto di truppe francesi, la cosa è più complessa: e non è certamente contro questo smarcamento dal bellicismo di Macron che si sono mobilitati gli anti-RN (avete forse visto bandiere ucraine o Nato nelle piazze del Front?). La destra di Le Pen-Bardella ha saputo interpretare con abilità il malumore che inizia a serpeggiare a livello proletario e popolare nei confronti dell’impegno bellico che comporta, in Francia come altrove, contrazione della spesa pubblica destinata alle necessità sociali e una generale impostazione da economia di guerra. Il Nouveau Front Populaire non ha potuto farlo, essendo profondamente spaccato al proprio interno, tra un Glucksmann ferocemente russofobo, sostenitore della guerra totale alla Russia, e un Melenchon piuttosto vicino alle posizioni di Le Pen su questo punto, ma prudentissimo nell’esporre che cosa si dovrebbe fare e che cosa farebbe al governo. Indicativo di questa divisione è che nel diluvio di demagogia dei vari esponenti del NFP sulla propria vittoria, il tema non sia stato trattato. Come che sia, una cosa è certa: l’alfiere massimo del bellicismo, E. Macron, ha avuto una batosta, inferiore al temuto, ma reale, e da queste elezioni escono più forti le forze politiche che hanno espresso critiche a questo bellicismo.

Che il proletariato di Francia, nelle sue diverse componenti – senza trascurare altri strati schiacciati della popolazione (i gilets jaunes non erano in prevalenza proletari) – sia più attivo e presente che in Italia, è cosa nota, che spesso suscita commenti e sospiri d’emulazione. In questa circostanza una sua sezione giovanile si è mobilitata in prima persona, dando un segno di non rassegnazione. La novità è positiva, ma c’è poco da festeggiare perché chi raccoglie questa spinta non è certo intenzionato a dare vere risposte alle esigenze dei settori proletari e ancora meno, questo è ovvio, alle istanze di emancipazione, di rivoluzionamento del sistema economico-sociale che schiaccia la massa dei lavoratori. Nell’articolo precedente sulle elezioni francesi abbiamo esaminato i “programmi” delle tre formazioni che si contendono il governo della Francia mostrando la natura anti-proletaria di tutti e tre. E questa è certamente la cosa più importante, anzi decisiva, invece che la conta dei seggi in parlamento, delle percentuali, delle alleanze. Perciò il prossimo compito di un intervento di classe internazionalista nelle vicende francesi sarà come lavorare sulle inevitabili delusioni, sul malumore che deriverà dal vedere i partiti del NFP, vadano al governo o no, proseguire nel solco della guerra tra NATO e Russia in Ucraina, non prendere nessuna iniziativa forte né per fermare il genocidio in Palestina, né per rovesciare le politiche macroniane di attacco a trecentosessanta gradi alle condizioni di vita dei proletari.

La (relativa) sconfitta, o meglio: la battuta d’arresto nella marcia verso il governo, della destra lepeniana potrebbe anche essere, paradossalmente (le elezioni non hanno quasi mai questo effetto), l’inizio di un nuovo ciclo di lotte più mature, politiche e sindacali, che faccia confluire ad unità le forze, finora spaiate, del movimento di strati semi-proletari (attivi con i gilets jaunes), dei giovani immigrati ribelli delle banlieues, dei proletari e dei salariati che si sono mossi contro l’ennesima riforma delle pensioni e i colpi dell’inflazione, degli strati sociali non certo borghesi che si sono mobilitati per la Palestina (e – almeno in cuor loro – non sono per prolungare all’infinito la guerra in Ucraina). Ma perché questo nuovo ciclo di lotte si sviluppi davvero, servirà che spontaneità e organizzazione politica di classe procedano di pari passo.