Minoranze e oppositori in Iran Gli Usa lavorano al dopo-regime

CORRIERE Sab. 25/2/2006
Guido Olimpio

L’intelligence analizza le possibilità della fine della
teocrazia

IRAN: il Pentagono valuta l’ipotesi di usare contrasti
etnici e dissidenti per attacco militare, ma al Dipartimento di Stato si teme
un caos come in IRAQ

Gli oppositori iraniani hanno imparato la lezione guardando
ciò che è accaduto in Iraq. Negli anni precedenti alla cacciata di Saddam, per
due volte, i resistenti curdi e sciiti si sono ribellati confidando nell’aiuto
diretto statunitense. L’intervento, però, non c’è stato e il regime li ha fatti
a pezzi
. Pagine nere. Un monito, per gli iraniani che detestano i mullah, a
misurare i passi. Un’esigenza di cautela rafforzata dall’esplosione del mosaico
iracheno. E ora ci si interroga se possa accadere la stessa cosa in Iran, nel
mirino per la questione nucleare. Il quotidiano Financial Times ha
rivelato che il comando dei marines Usa ha commissionato uno studio per
scoprire quali potrebbero essere le conseguenze. La società «Hicks and
Associates»
– legata alla famosa Saic, società a contratto dal Pentagono –
deve rispondere al quesito: l’Iran potrebbe andare in pezzi sotto la spinta
delle minoranze etniche?
La ricerca affidata a specialisti di questioni
iraniane e alla folta comunità di esuli avanza tra reticenze e sospetti, senza
ottenere risposte nette.

 

L’Iran – 67 milioni d’abitanti – viene considerato
un Paese dove il sentimento nazionale è forte
. Lo dimostra proprio la sfida
nucleare del regime che raccoglie consensi anche tra chi è contrario alla
teocrazia. «La frammentazione potrebbe avvenire solo se Washington la volesse
provocare – è la valutazione di un esule in Italia -. Sul campo ci sono forze
capaci di destabilizzare il potere, ma il loro successo dipende dal sostegno
esterno». E per adesso gli americani procedono con la strategia dei piccoli
passi. Hanno appena firmato lo stanziamento di 75 milioni di dollari per
aiutare la guerra di propaganda (tv, radio basate in California) e, nel più
grande riserbo, preparano dei combattenti
. Su Internet sono comparsi bandi
di arruolamento per soldati «che parlano farsi» e «disposti all’impiego nel
Golfo». Gruppi di dissidenti, di ispirazione diversa, verrebbero addestrati nel
Kurdistan iracheno. L’opposizione, però, non vuole apparire come uno strumento
nelle mani degli Usa e insiste per una soluzione «tutta iraniana», oggi poco
praticabile
.
Certamente sulla scacchiera le pedine etniche non mancano. A nord c’è da
sempre il fermento azero. Si nutre di rivendicazioni locali e trova sponda
nell’Azerbaigian, Stato che ha buoni rapporti tanto con Washington che con
Israele. Nella zona nord-occidentale operano i separatisti curdi. Gli ayatollah
li hanno «strangolati» eliminando le figure più rappresentative. I peshmerga
non sono una grande minaccia, però possono creare fastidi. Più insidiosa
l’attività della minoranza araba, forte nella regione petrolifera di Ahvaz. Vi
sono stati sabotaggi rivendicati dai «Soldati di Dio»
. Al solito, Teheran
ha presentato queste azioni come manovre dell’intelligence britannica. Una
accusa non casuale. Agli occhi degli iraniani, a causa degli eventi storici,
l’azione di Londra è sempre sospetta. In secondo luogo il contingente
britannico in Iraq è schierato attorno a Bassora, area che gli iraniani
considerano sotto la loro influenza. E da mesi le due capitali si stuzzicano
con colpi bassi. Dalla parte opposta, al confine con il Pakistan, si agitano
i beluci, popolo fiero e poco disposto a sottomettersi al potere centrale.
Se gli Usa non vogliono sporcarsi le mani potrebbero usare queste forze.
Prima però devono decidere cosa fare. Il Financial Times sostiene che
il dossier Iran è in mano al Dipartimento di Stato di Condoleezza Rice. I suoi
funzionari, che ritengono probabile l’ipotesi caos etnico, hanno già avviato
contatti con le minoranze e valutano l’ipotesi di operazioni coperte. Il
Pentagono – in apparenza messo in secondo piano – avrebbe commissionato lo
studio per confutare la tesi della decomposizione. Un ex specialista della Cia
ha messo in guardia: «Non sappiamo se i gruppi etnici saranno efficaci». Tante,
troppe voci, che segnalano confusione
.

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