Israele, dibattito sulle sanzioni “Hamas non è solo terrore”

Su Haaretz i primi dubbi sull´approccio "duro"
scelto da Olmert: "Dobbiamo trattare"

GERUSALEMME – «In questa fase Hamas sta agendo
in maniera più responsabile del governo israeliano». Con questo giudizio
espresso nel suo editoriale, Haaretz, il giornale dell´elite liberal
democratica ha rotto il coro d´allarmismo e di «bellicose voci»
, le due
cose essendo destinate a procedere appaiate, che s´è levato dalla dirigenza
politica del paese, ad eccezione dei partiti arabi e dell´estrema sinistra, già
prima che s´insediasse il nuovo parlamento palestinese, a maggioranza islamica
eletto il 25 gennaio.

Per quanto minoritaria, per quanto politicamente marginale, c´è, dunque, un
settore d´opinione che non si riconosce nella politica delle sanzioni
preventive varata dal governo Olmert, contro «l´Autorità terrorista» guidata
dal moderato Abu Mazen. Né nelle dichiarazioni del presidente della Commissione
Esteri e Difesa della Knesset, Yuval Shteinitz
(Likhud, ex Labour) secondo
cui bisognerebbe fisicamente assediare i dirigenti di Hamas come è stato fatto
a suo tempo con Arafat
. Né nelle sprezzanti affermazioni di Dov
Weisglass
, il consigliere politico che Olmert ha ereditato da Sharon, secondo
cui le sanzioni imposte hanno lo scopo di «mettere a dieta i palestinesi», per
farli dimagrire senza farli morire di fame»
. Detto, questo, di una
popolazione che per quasi la metà vive sotto la soglia della povertà e della
cui sopravvivenza secondo standard di civiltà è tuttora giuridicamente
responsabile la «potenza occupante», almeno in quelle aree dove continua
l´occupazione.

Mentre il governo Olmert, nel tentativo di rintuzzare gli attacchi del
Likud, dal quale è accusato di cedimenti nei confronti dei palestinesi, ricorre
alla politica delle sanzioni, senza preoccuparsi neanche d´aspettare che il
nuovo governo palestinese prenda corpo, e illustri il suo programma, Hamas, ha
adottato un linguaggio diverso. «I suoi rappresentanti – scrive Haaretz –
parlano di una nuova era, di una transizione dal terrore alla politica, di
continuare ad opporsi all´occupazione con altri mezzi e di aspirare ad una
lunga tregua».
La verità è che questi dati di fatto, positivamente rilevati da Haartez
nel
comportamento di Hamas, vengono capovolti esattamente nel loro contrario dai
responsabili degli apparati di sicurezza israeliani
. Il pragmatismo e la
moderazione ostentata dai dirigenti del Movimento islamico (per ultimo il
segretario del politburo, Mussa Abu Marzuk, che ieri s´è detto pronto a
riconoscere «realisticamente» Israele) per il Servizio di Sicurezza Generale
(Shin Bet) non sono altro che «una trappola di «miele», una pura e semplice
operazione di maquillage inscenata dagli integralisti per guadagnarsi i favori
della comunità internazionale.
Come ha detto ieri il direttore dello stesso Shin Bet, Yuval Diskin,
testimoniando davanti alla Commissione Esteri e Difesa, Hamas rappresenta
per Israele una «minaccia strategica a lungo termine». Quasi una sentenza
definitiva, si direbbe, perchè a «una minaccia strategica a lungo termine» non
può che corrispondere, dall´altro lato, un´offensiva militare di lungo periodo
.
I pochi critici di quest´approccio ricordano che i servizi di sicurezza che
oggi suggeriscono al governo la linea dura, sono gli stessi che fallirono
clamorosamente nel prevedere la travolgente vittoria di Hamas alle elezioni
palestinesi, nonostante possano tuttora contate su un controllo capillare del
territorio «nemico».

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