Parigi, la periferia spara sulla polizia

Dopo una settimana di scontri, Sarkozy accusa:
«Disordini organizzati»
PARIGI – La «Z» di
Zorro sta per «tolleranza zero» e campeggia sul petto di Nicolas Sarkozy nelle
vignette satiriche. Ma c’è poco da ridere, perché la fiammata di violenze
nelle periferie parigine sembra organizzarsi e venire amplificata dalla televisione,
che si guarda anche nei «ghetti». Nella settima nottata di scontri con la
polizia, incendi di vetture e vandalismi, sono cominciati anche saccheggi e
assalti a luoghi pubblici e sono stati esplosi colpi di arma da fuoco contro
agenti e vigili del fuoco.
«Nei disordini non c’è niente di spontaneo, sono perfettamente organizzati», ha
rincarato ieri il ministro degli Interni
, al centro delle polemiche anche
se ha ricevuto il sostegno formale del premier, De Villepin. Da sinistra e
da destra, da intellettuali e sociologi piovono critiche sul suo linguaggio
crudo e muscolare che avrebbe innescato i disordini. L’inchiesta sulla morte
dei due giovani, fulminati in una cabina dell’elettricità, alimenta le
polemiche sul comportamento della polizia.
Ma se l’atteggiamento del ministro può essere discutibile, le polemiche
sono la foglia di fico sulle dimensioni di un problema endemico, la cui
soluzione resta impigliata in un dibattito virtuale sui principi
dell’integrazione.
Sarkozy, spedendo la polizia a «ripulire» i quartieri, ha creato un
cortocircuito fra repressione della minoranza di violenti e impotenza
dell’azione politica nelle periferie metropolitane
. Settantamila episodi
di violenza e ventimila vetture incendiate dall’inizio dell’anno nelle banlieues
(da Parigi a Marsiglia, da Lione a Strasburgo) sono il dato più eloquente
di una realtà che alimenta da un lato la domanda di sicurezza e dall’altro
reazioni scomposte di razzismo e xenofobia, essendo automatico il riferimento
alle origini etniche e alle convinzioni religiose dei giovani violenti e della
popolazione coinvolta: all’80 per cento, maghrebini, arabi, africani. Sarkozy
ha scelto la scorciatoia delle operazioni spettacolari, ma ha anche formulato
proposte
(diritto di voto per gli immigrati, discriminazione positiva per
favorire gli accessi al lavoro, dialogo con le comunità religiose) contro
l’ipocrita sacralità dell’eguaglianza sancita per legge e contraddetta nella
quotidianità
.
La Francia sembra dimenticare che i giovani delle banlieues sono
figli d’immigrati, ma cittadini francesi all’anagrafe, una generazione di
seconda classe, in gran parte esclusa e penalizzata dal Paese in cui è nata e
cresciuta
. Vivere nelle periferie significa scuole peggiori, difficoltà di
accesso al mondo del lavoro e alle università, essere discriminati nelle
relazioni sociali per il proprio cognome o per il colore della pelle. Le
statistiche dimostrano una cronica condizione d’inferiorità in tutti i campi
,
un’infernale corsa ad ostacoli con poche occasioni di uscire dal ghetto. Il
tasso di disoccupazione fra questi giovani è cinque volte la media nazionale. A
parità di titolo di studio, salari, carriere, posti di responsabilità restano
inferiori. L’ostilità delle strutture sociali si somma al pregiudizio quando si
cerca di affittare una casa o persino di entrare in una discoteca
. SOS
Racisme
ha registrato migliaia di casi che colpiscono immigrati, figli
d’immigrati e cittadini dei dipartimenti d’Oltremare.
Negli ospedali, i medici d’origine straniera sono pagati meno degli altri,
anche se assolvono il 60 per cento delle urgenze. I gradi superiori della
pubblica amministrazione sono preclusi. Proprio Sarkozy ha provocatoriamente
nominato un prefetto musulmano. All’Edf, l’azienda pubblica dell’elettricità,
non possono leggere i contatori dipendenti di origine non francese
. Attività
commerciali e turistiche preferiscono personale bianco per servire in tavola. E
così via
.
«Eppure in Francia crescono i matrimoni misti, si moltiplicano ristoranti
esotici, l’eroe nazionale è Zidane, i giovani adorano i cantanti di colore»,
nota Samuel Thomas, vice presidente di SOS racisme . «La società civile
è più aperta dei partiti, della struttura statale, della mentalità
istituzionale». La colpa delle violenze non è della società che esclude, ma
del modello che la organizza. Che abbia ragione Sarkozy a volerlo buttare via?

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