Gli investitori bocciano la nuova Ucraina

DAL NOSTRO INVIATO KIEV • La rivoluzione arancio ucraina vale sei
milioni di dollari, ovvero meno di cinque milioni di euro, una decina di
appartamenti a Milano di medio livello. Le attese dei bei giorni dell’autunno
di Kiev erano gloriose, l’atterraggio è da emergenza. Rispetto al primo
semestre del 2004, quando imperava Leonid Kuchma, sono arrivati in Ucraina
investimenti esteri diretti pari a quei dieci appartamenti milanesi. Poco più
di niente. Il clima di
fiducia si può misurare in tanti modi
( molto più positivo l’andamento
del debito sui mercati internazionali), ma da sempre il volume di capitali che planano dal mondo
è spia della percezione che un Paese offre di sé.
Per l’Ucraina più che mai
avendo raccolto in quattordici anni quanto la Polonia rimedia in venti mesi.
Il sospetto di un’impennata politica che potesse pregiudicare l’avventura
finanziaria era il motivo della cautela di allora, il sospetto che la
rivoluzione possa riservare inaspettati colpi di coda, frena la mano oggi.
Otto mesi sono poca cosa, era prematuro attendersi un ribaltone, ma la transizione conosce ostacoli
imprevisti aggravati da una congiuntura che disegna, un anno dopo, scenari
sorprendenti. Il governo Timoshenko s’era dato un target di crescita del
Pil dell’ 8,2 per cento e il primo semestre ha rivelato una progressione del 4
per cento su base annua contro il 13 per cento del 2004. L’inflazione sfiora il
15 per cento spingendo il governo ad annunciare ( e subito dopo revocare) il
blocco sui prezzi di benzina, carne e zucchero.
La produzione industriale
frena, l’edilizia che fu grande traino al boom del 2004 cade, il surplus della
bilancia commerciale s’è ridotto del 65 per cento rispetto al quadro pre
rivoluzionario.
« C’è molta preoccupazione— spiega Edilberto Segura, ex economista della Banca
Mondiale oggi direttore della Bleyzer Foundation che analizza il contesto
ucraino da anni — per il sovrapporsi di diversi elementi. La metà circa dell’export è
metallo, soprattutto acciaio, destinato all’estremo oriente. L’apertura di tre
impianti industriali a Pechino ha colpito l’economia di Kiev che ha
visto la Cina, suo maggior cliente, occupare il mercato. C’è stata una caduta negli
investimenti interni sia pubblici che privati.

Il governo ha aumentato la spesa nel welfare di almeno il tre per cento del Pil
tanto da indurre il Fondo monetario a considerare la crescita di pensioni e
salari statali minimi un " record del mondo" se sommato alle misure
pre elettorali già introdotte dal regime di Leonid Kuchma a metà 2004. Il
risultato è un netto
peggioramento dei conti pubblici appena corretto dalla chiusura di tutte le
aree economiche a tassazione speciale e dalla sospensione delle
agevolazioni ad alcuni comparti, da quello automobilistico e quello aeronautico
» .
Una mossa, quest’ultima,
che ha irritato gli investitori esteri, colpiti, in una notte, dalla
revoca delle condizioni di favore ottenute in passato. Le proteste polacche e tedesche sono state le più
forti, urla — non sempre giustificate — che hanno aggiunto una tessera
in più allo scetticismo sul mondo arancione.
In economia, in realtà, si
concentrano le contraddizioni di un quadro politico che cerca di coniugare il
liberismo di Yuschenko con la visione vagamente autarchica e profondamente
dirigista del primo ministro Yulia Timoshenko. « Ci sono mille esempi —
continua Segura — ogni giorno è annunciata una misura nuova che interferisce
con questo o quel settore dell’economia: il blocco dei prezzi di alcuni
prodotti è stata la più clamorosa. Un altro caso è quello del titanio, un
settore con grandi potenzialità in Ucraina. Il premier invece di incentivarne
le sfruttamento secondo criteri liberali, pensa che, essendo strategico, debba
essere creata un’impresa statale.
Mezze idee, mezze proposte che, magari, restano lettera morta o sono cancellate
dal presidente ma che bastano per creare incertezza e indurre gli investitori
all’attesa.
Pochi sanno che cosa sia un’economia di mercato e come vada gestita. Il presidente corregge il
premier nella convinzione che prima o poi imparerà, ma i capitali esteri
restano al largo. Lo stesso accade a quelli nazionali » .
La sovrapposizione fra potere politico e potere economico che ha dominato Kiev
per tutta l’epoca post sovietica aveva creato una generazione di oligarchi ben
aggrappati al regime. Il crollo del sistema ha disegnato anche per loro un
incerto destino e tanto basta a paralizzare i piani dei grandi conglomerati
nazionali. Almeno quelli — e sono i più — che non si sono già allineati con la
nuova classe dirigente. Aspettano in attesa di capire ciò che ne sarà di loro e
delle loro società.
Yulia Timoshenko aveva
annunciato la cancellazione di tremila privatizzazioni perché troppi gioielli
della corona manifatturiera ucraina, polmone dell’industria sovietica, furono
venduti per due lire agli amici della nomenklatura andata. Poi la lista è stata
ridotta a trenta, tutte allineate dietro la Kryvoristhal la più grande
acciaieria ucraina acquistata per 800 milioni di dollari da Viktor Pinchuk,
genero di Leonid Kuchma e Riinat Akhmetov il più ricco oligarca ucraino
che a scanso di sorprese s’è preso una lunga vacanza nel Mediterraneo. Ora non
si sa più con certezza se sarà il governo a decidere la cancellazione delle
precedenti vendite o le corti giudiziarie sulle quali l’influenza politica è
determinante.
« Il caso Kryvoristhal —
spiga Grigory Nemirya advisor di Yulia Timoshenko — è chiuso. Il 24 ottobre
tornerà all’asta con una base di 2 miliardi di dollari, due volte e mezzo il
prezzo di vendita. Sul resto il dibattito è aperto. Io credo debba
essere un’iniziativa dell’esecutivo con una lista chiara e definitiva in cui si
elencano i casi più gravi e si vada verso nuove aste » . Dilemmi da risolvere
perché nessuno sbarca in un mondo che marcia con una falcata in avanti e due
passi all’indietro, contraddizioni figlie di una debole visione, ma anche di un
braccio di ferro infinito fra le diverse cordate politico economiche al potere.
Uno scontro che pubblicamente si riconduce alla contrapposizione fra la Timoshenko e Petro Poroshenko,
oligarca di medio livello, finanziatore della rivoluzione arancio e oggi
segretario del Consiglio nazionale di difesa e sicurezza, ma che molti leggono
nella lotta fra la signora primo ministro e lo stesso Viktor Yuschenko.
Una partita a scacchi dove nessuno osa muovere per primo nel timore di pagare
il prezzo della rottura, nella paura di perdere il sostegno della piazza che li
ha issati, insieme, al comando.
« Tutto è fermo — avverte il politologo Mikhayl Pogrebynski — fino alle
politiche del prossimo autunno » . E Yulia ha già avvertito: il mio partito si
fonderà con quello del presidente. Yuschenko non smentisce. Tace, per ora.
LEONARDO MAISANO La leadership non ha ancora messo a punto riforme credibili
Crescita frenata e pochi capitali a otto mesi dalla rivoluzione

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