73 ERITREI MORTI IN MARE: I FRUTTI MARCI DEL PACCCHETTO SICUREZZA

d.e.

Alla fine di luglio, dalle coste libiche è partito uno dei tanti barconi carichi di disperati che cercano miglior fortuna in Europa. A bordo c’erano 78 eritrei. Solo cinque sono sopravvissuti. Gli altri sono morti di stenti.
Per 23 giorni 78 uomini donne e bambini sono stati abbandonati al loro destino. Nessuno dei sofisticati sistemi di controllo satellitare li ha visti. Alla faccia della tecnologia!
E le navi passate al loro fianco, hanno finto di non vederli. Non li hanno visti anche per non incorrere nelle sanzioni del Pacchetto Sicurezza (varato il 7 agosto 2009 dal governo italiano con il benestare dell’Europa), che minacciano chi in mare, invece di respingere, aiuta i profughi («Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina»).
L’episodio è uno dei tanti che, da almeno un ventennio, avvengono nelle acque del Mediterraneo, dove scorre un flusso continuo di uomini, donne e bambini, destinati in gran parte a fornire ai padroni europei una forza-lavoro docile e a buon mercato.
Lo scorso anno, sulle coste italiane sono approdati 665 natanti, con a bordo circa 37mila persone. Molte altre sono perite durante il viaggio, spesso iniziato in paesi lontani, come l’Eritrea, da cui provenivano i 78 delle recenti cronache.
ASSASSINATI DUE VOLTE!
L’emigrazione dall’Eritrea, oltre che da cause economiche (in Eritrea il reddito pro capite è di circa 700$, in Italia è di 31.000$), è generata anche da motivi politici. Dal 1993 (anno dell’indipendenza dall’Etiopia), l’Eritrea è governata da un regime capeggiato da Isayas Afeworki che, via via, è diventato una feroce dittatura, costringendo all’esilio un crescente numero di eritrei. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur), nel 2005 i rifugiati eritrei erano 131.119, cifra notevole, per un Paese che ha 5.647.000 abitanti.
I profughi cercano immediato scampo in Sudan e in Etiopia, dove le bestiali condizioni di vita spingono molti a cercare rifugio in Europa e, in particolare, in Italia.
Ma l’Italia non si è mostrata assolutamente generosa, preferisce «scoraggiare» gli eritrei, rifiutando lo status di rifugiati politici, ricorrendo, se necessario, alla violenza.
L’Eritrea è una creazione dell’imperialismo italiano. E sono molti gli interessi che legano gli industriali e i commercianti italiani al regime eritreo di Isayas Afeworki, con i buoni uffici di politicanti di ogni colore.
Con un interscambio che tocca il 50%, l’Italia è il principale partner commerciale dell’Eritrea:

Export Import
Italia: 34,4% Arabia Saudita: 19,1%
Cina: 16,2% Italia: 15,1%
Sudan: 15,2% Cina: 11,1%

L’Istituto per il Commercio Estero italiano (Ice), nel rapporto del 2004, raccomanda di investire nel Paese africano e indica alcuni gruppi italiani che stanno già investendo. In primis, l’Italcantieri, la società di costruzioni che fa capo a Paolo Berlusconi, fratello di Silvio. Tra le varie iniziative, l’Italcantieri ha progettato all’Asmara un villaggio residenziale di un migliaio di appartamenti in palazzine di quattro piani. Molto impegnata in Eritrea è anche la Zambaiti, gruppo tessile bergamasco, che ha acquistato l’ex cotonificio Barattolo e vi ha delocalizzato alcune produzioni. Attualmente confeziona camicie per importanti marche della moda italiana.
Una trentina di aziende italiane ha progettato interventi in Eritrea, tra queste la Ams (Alenia Marconi System), una società che produce sistemi radar di comando e controllo per la difesa, sistemi navali, radar per il traffico aereo civile; la Tlc Italia, una società telefonica e di sicurezza dati; la Domina Vacanze, una multinazionale del turismo. Come si vede, prevalgono interventi rivolti al settore militare, al quale la piccola Eritrea destina il 6,3% del suo Pil (la Francia il 2,6%).
Per promuovere affari e intrallazzi, Isayas Afeworki viene spesso in Italia, dove ha molti amici. Il più importante è il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, che lo ha ospitato nella sua residenza sarda di Villa Certosa. A livello di governo, gli amici sono Mirko Tremaglia, il ministro per gli Italiani all’estero, e Adolfo Urso, vice-ministro dell’Economia con delega al Commercio estero. Il Governatore della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, ha più volte accolto Afeworki, con il quale la Regione Lombardia ha sottoscritto un accordo-quadro, per l’assistenza nella regione del Maekel, dove ha sede la capitale. Promotore dell’intesa e dell’amicizia tra Isayas e Formigoni è stato quel Pier Gianni Prosperini, assessore regionale al Turismo, vecchio fascista, noto per il suo acceso razzismo.
Ma anche sull’altra sponda politica, il governo di Afeworki gode buone relazioni: le regioni Toscana, Marche ed Emilia Romagna hanno nel tempo finanziato progetti di cooperazione con alcune regioni dell’Eritrea.

UNA FITTA RETE DI COMPLICI
La fitta rete di interessi e di amicizie, che lega il governo eritreo a quello italiano, spiega bene il motivo per cui i profughi politici eritrei non trovino in Italia una buona accoglienza. Ne sanno qualche cosa i trecento profughi che a Milano lo scorso aprile invece dell’asilo politico hanno ricevuto manganellate, arresti e minacce. Molti di loro sono renitenti alla leva, come tanti altri giovani, uomini e donne, che disertano per non finire a Sawa, località vicina al confine sudanese, dove ha sede il Defence Training Centre, un enorme e durissimo centro di addestramento reclute, in cui la permanenza può durare anni.
Ora, per evitare anche il disturbo di bastonarli e scacciarli in un’oscura clandestinità, il governo italiano affida i profughi eritrei alle onde del Mediterraneo.

Cfr. – www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/maps/maptemplate_er.html//
– Massimo A. Alberizzi, Isayas espelle l’ambasciatore italiano. Ma per Roma resta un grande amico, «Corriere della Sera», 25 ottobre 2005, ora in:
www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/09_Settembre/12/affari_alberizzi.shtml//
– Enrico Casale (a cura di), Dossier: Eritrea-Italia, «Popoli», gennaio 2006, ora in:
http://www.popoli.info/anno2006/01/ar060101.htm/

Milano, 22 agosto 2009

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