Sabato 24 maggio scorso si è tenuta una giornata internazionale di protesta e mobilitazione contro Monsanto. La “March against Monsanto” ha toccato più di 400 città di 52 Paesi , soprattutto negli Stati Uniti e in America Latina, ma cortei e manifestazioni sono state organizzati anche in Europa. Le diverse voci che animano questo movimento si dichiarano anticapitaliste ed ambientaliste dichiarando di lottare per la difesa delle condizioni di vita delle milioni di persone che hanno avuto e hanno a che fare con le attività di Monsanto.
Con un fatturato annuale che si aggira attorno ai 7,5 miliardi di dollari, la multinazionale americana controlla il 90% dei prodotti geneticamente modificati (OGM ) nel mondo e rappresenta il più grande venditore di sementi OGM in America Latina, Stati Uniti e Canada; possiede quasi 21 milioni di ettari in Argentina dove sulla coltura vengono utilizzati 360 milioni di litri di pesticidi. Monsanto Chemical Company la cui sede centrale si trova a St.Louis nel Missouri, è stata fondata nel 1901 da John Francis Queeny, un chimico autodidatta che inaugurò la tecnologia per fabbricare la saccarina, primo edulcorante artificiale. Negli anni ’20 la Monsanto divenne uno dei principali produttori di acido solforico e di altri prodotti base dell’industria chimica. Negli anni ’40 la sua attività ruotava attorno alla produzione di materie plastiche e fibre sintetiche. Nel 1947 una nave francese che trasportava nitrato d’ammonio (usato come concime) esplose vicino ad una fabbrica di materie plastiche della Monsanto in Texas: morirono più di 500 persone in quello che fu uno dei più grandi disastri dell’industria chimica e un’ecatombe del capitalismo aggiungiamo noi. Tra i prodotti non alimentari di Monsanto, oggi la parte del leone la fa il diserbante “Roundup”, il più venduto al mondo. Per anni è stato pubblicizzato in modo massiccio come diserbante sicuro e privo di pericoli per la salute e l’ambiente; viene usato ovunque dai prati ai giardini, alle grandi foreste. Un recente studio dell’argentino CONICET (il Consiglio Nazionale di Investigazione Scientiifico e Tecnica) ha associato l’uso del glifosato di cui è composto Roundup con un aumento dell’incidenza di difetti alla nascita, anomalie dello sviluppo, allergie, leucemie, tumori. Negli anni ’90 più volte Monsanto è incorsa in multe e rimborsi per un totale di 40 milioni di dollari per la sua responsabilità in numerosi decessi causati da leucemia. Nel ’95 figurava al quinto posto nella classifica delle società che producono più rifiuti tossici: centinaia di tonnellate vengono scaricati sulla terra, nell’aria nell’acqua e nel sottosuolo.
24/5/2014 CileTornando al giorno della Marcia mondiale contro Monsanto, in Messico contadini ma anche piccoli proprietari terrieri hanno manifestato contro Monsanto con campagne informative sulla necessità della difesa dell’ agricoltura autoctona. Il movimento vuole costringere il governo a creare una legge che obblighi le società che trattano alimenti OGM ad etichettare i loro prodotti specificandone la loro derivazione e il loro trattamento. In molti Paesi latinoamericani come il Messico o l’Uruguay non esiste ancora nessun tipo di regolamento a riguardo. Quest’ aspetto costituisce una parte importante di questo movimento, un raggiungimento di tale obbietivo contribuirebbe a difendere concretamente le comunità colpite direttamente dalla multinazionale come il popolo Malvinas in Argentina.
24/5/2014 MessicoCome si manifesta il ruolo deleterio di Monsanto sulle popolazioni rurali dell’America Latina? Il caso più emblematico riguarda la lavorazione e produzione del mais che, oltre ad essere trattato geneticamente e brevettato, viene imposto nel tessuto produttivo messicano, attraverso l’acquisto di terreni e l’implimentazione della rete logistica di cui può disporre un colosso come Monsanto.
I suoi detrattori affermano che il mais non è un semplice semente o cereale, bensì un alimento che incarna valori e storia di un’intera cultura, contribuendo a darne un’identità; identità che viene distrutta dall’esigenza del capitale di farne merce brevettata ed omologata da vendere nel mercato globale assieme a società estere come Dupont-Pioneer, Dow Chemical o la svizzera Syngenta. Oltre a ciò il seme di mais, secondo i ricercatori che ne contestano il brevetto, viene trattato con erbicidi e pesticidi che si è appurato provocano danni alla salute come malattie al fegato e all’apparato digerente, tumuri e altre malattie. In questi decenni il Messico è divenuto una potenza economica con profondi mutamenti nel tessuto sociale della sua popolazione. Tra i rischi e le colpe che vengono addossate alla mutinazionale, c’è quella di trasferire le attività di trattamento del mais dalle campagne alla città in grossi impianti produttivi (le cosidette ‘maquiladoras’ grossi stabilimenti industriali a capitale straniero che impiegano mano d’opera a basso costo) alimentando una feroce urbanizzazione attraverso il flusso migratorio interno verso le città situate vicino alle grandi fabbriche. Tra le conseguenze di questo fenomeno vi è quella di aumentare le condizioni di povertà e la disoccupazione nelle aree più rurali.
Anche in Cile alle manifestazioni si è unita l’attività di sensibilizzazione verso il tema agroalimentare, della biodiversità e dei rischi che le attività di produzione degli OGM possono causare sulla popolazione, in particolare di quella parte che vive ancora oggi di un’ economia rurale, come la comunità mapuche.
Molti dei temi sollevati dal movimento contro Monsanto, erano già stati sollevati oramai più di un decennio fa dal movimento antiglobalizzazione che così tanta fortuna riscosse nelle anime della sinistra radicale europea. In questa sede siamo consapevoli che non possiamo andare a fondo sui contenuti (di carattere tecnico e scientifico in primo luogo, ma anche politici) di questa tematica ma, se ci soffermiamo alle forme di lotta e alla loro localizzazione geografica, notiamo speficità differenti che non possono passare in second’ordine. Se in Europa o negli Stati Uniti rivendicazioni contro gli OGM possono avere un bacino di scontro che passa dalla preferenza elettorale verso il partito di turno che si fa portavoce di queste tematiche fino alla protesta di piazza, nei Paesi più “arretrati” gli attivisti che lottano in difesa dell’ambiente contro le Multinazionali, mettono in conto la concreta possibiltà di pagare con la vita la loro scelta di campo.
Un prezzo troppo alto per difendere ambiente, salute e benessere
Secondo un recente studio fatto dalla ONG Global Witness, che ha prodotto un documento chiamato “Ambiente mortale” riferito al periodo 2002-2013, sono state ben 908 le persone uccise per aver lottato in diverse situazioni e in diverse parti del mondo contro la devastazione ambientale . Il 50% di questi omicidi sono avvenuti in Brasile. Negli ultimi quattro anni il tasso è aumentato fino a raggiungere il numero di 2 attivisti uccisi a settimana. Secondo lo studio, è quasi certo che il numero di omicidi sia in realtà più elevato: è sempre difficile reperire informazioni e verficarne la causa. Dice il rapporto: “Molte delle vittime sono persone normali che lottano contro l’accaparramento di terreni, contro operazioni di estrazione e commercio del legname industriale; persone che spesso vengono espulse dalle loro case e seriamente minacciate dalla devastazione ambientale ” . Riguardo le comunità indigene afferma: “i loro diritti sulla terra non sono riconosciuti né in diritto né in pratica […] sono esposti allo sfruttamento da potenti interessi economici che li classificano come ‘contrari alla sviluppo’”. Il rapporto sottilinea anche una prassi comune che si verifica in tutta l’America Latina: il ruolo attivo di polizia o esercito che costituiscono la minaccia più seria per queste persone, in molti casi impiegati nelle repressioni di manifestazioni, a fianco e in difesa di aziende e proprietari privati (come a Cajamarca in Perù o in Patagonia in Cile, in Honduras, ma l’elenco è lungo).
Il Brasile come detto è il Paese dove più accadono questi omicidi. La lotta per la difesa dei territori delle comunità indigene in queste giorni ottiene popolarità grazie all’interesse che suscitano i mondiali. Tra i protagonisti di questa lotta ci sono i membri delle comunità indigene, lotta che si è unita a quella del Movimento dei lavoratori senza tetto.
In Argentina in questi anni, numerose sono state le persone uccise durante lotte ambientali: un attivista del pueblo Diaguita ucciso il 12 ottobre del 2008 da sicari del business della soia, Sandra Juarez, contandina santiaguena morta di arresto cardiaco mentre cercava di fermare un bulldozer, Lila e Celestina Coyipé Jara, nonna e nipote Qom investite da un auto della polizia l’8 dicembre 2012.
In Messico ricordavamo due anni fa l’uccisione di Bernardo Vàsquez Sànchez, che lottava contro le attività estrattive della miniera “La Trinidad”.
Le manifestazioni contro la Monsanto si inseriscono in queste lotte spesso portate avanti da piccole organizzazioni locali, da comitati formati da studenti contadini e lavoratori che si organizzando cercando di districarsi dalle maglie della repressione privata e statale e dalle promesse dei partiti della politica istituzionale.
Dietro lo scontro ideologico che spesso queste lotte assumono, da una parte rappresentate da un “nazionalismo” e un “protezionismo” in difesa del prodotto autoctono dall’altra da società che investono enormi somme di denaro per sfruttare, saccheggiare e devastare in nome dell’innovazione a senso unico del profitto, viene alla luce quello che è uno scontro di interessi di borghesie nazionali e locali in espansione contro quello di borghesie voraci e internazionali in cerca di nuovi sbocchi di mercato consolidando la propria influenza. I sostenitori degli OGM affermano che il loro sviluppo, controllato e diffuso, aiuterebbe a sconfiggere la fame nel mondo. Alcuni degli slogan di sabato contro Monsanto rivendicavano la sovranità nazionale sui sementi affinchè i semi possano essere ‘liberi’.
Ciò potrà verificarsi solo se queste lotte si porranno assieme a quello della difesa dell’ambiente, l’obbiettivo di rovesciare i rapporti di produzione di questo sistema in modo che le risorse produttive, quale che sia il loro contenuto tecnologico, non siano vincolate da proprietà e brevetti aziendali o da normative nazionali, ma divengano patrimonio di tutta l’umanità.
bk