Kenya: insorgenze proletarie nell’Africa nera

Continuano in Kenya le forti proteste iniziate da oltre tre settimane, il 18 giugno, e innescate da una serie di provvedimenti fiscali contenuti nella legge finanziaria. L’opposizione è iniziata sui social media con l’hashtag #RejectFinanceBill2024. X, TikTok, Instagram e altre piattaforme sono servite ai giovani kenioti per esprimere la loro rabbia, raccogliere fondi e mobilitare le proteste di strada. Sono stati pubblicati video per spiegare la legge in diverse lingue, e questo ha permesso al movimento di trascendere i diversi gruppi etnici.

Le proteste – nonostante siano riuscite ad imporre al presidente William Ruto (in carica da due anni) il ritiro di alcuni provvedimenti, lasciando intatto l’impianto della Finanziaria – si sono presto estese dalla capitale Nairobi a tutto il paese; coinvolte almeno 35 delle 47 contee della Federazione, chiedendo una completa revisione delle misure proposte, non solo una riduzione frammentaria di tasse specifiche.

Il governo ha risposto con una violenta repressione, ricorrendo alle forze speciali di polizia che hanno sparato contro i manifestanti con proiettili veri, lanciato gas lacrimogeni, usato idranti; è stato dispiegato anche l’esercito. Ad oggi si contano 39 vittime e 361 feriti; 32 sparizioni forzate e 627 arresti.

La violenza usata dagli apparati statali ha politicizzato il movimento di protesta. Ora la rabbia è diretta contro le istituzioni.

Il 25 giugno gruppi di manifestanti hanno fatto irruzione nel Parlamento e negli uffici governativi, dove hanno appiccato incendi. Nelle città di Molo, Eldoret, Nyeri, Kiambu ed Embu sono state distrutte proprietà di esponenti politici, che ostentano un lusso sfrenato, mentre due terzi della popolazione vive in povertà, con meno di 3,20 dollari al giorno. I parlamentari kenioti sono i secondi più pagati al mondo in rapporto al PIL e, in virtù del loro status, sono esenti da molte delle nuove tasse. Entrato in carica, Ruto ha ampliato a dismisura il numero delle cariche pubbliche, con duplicazione dei ruoli – e prebende.

I manifestanti chiedono le dimissioni del presidente, denunciano la diffusa corruzione di ministri e funzionari.

Ruto aveva condotto una campagna elettorale demagogica, promettendo di attuare un modello economico “dal basso verso l’alto”, parlando addirittura di una ‘guerra di classe’ degli ‘hustlers’ (la maggioranza povera) contro le ‘dynasties’, la minoranza ricca e politicamente influente.

Una volta al potere, ha invece soppresso i sussidi per il carburante e il mais, in linea con i diktat del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, e ora sta cercando di introdurre le riforme fiscali richieste da queste stesse istituzioni del grande capitale mondiale, come l’ampliamento della base imponibile senza toccare le grandi ricchezze della borghesia e dei notabili al potere; l’introduzione di una serie di imposte su beni di prima necessità, quali olio alimentare, pannolini e pane, oltre che sui servizi di moneta elettronica e i veicoli a motore – a detrimento dei consumi della maggior parte della popolazione che già patisce per l’inflazione e gli alti tassi di disoccupazione soprattutto giovanili; il taglio dei finanziamenti per i servizi sociali, sanità in primis, i e la spinta alla loro privatizzazione. Nel 2023 il governo ha approvato la Legge sulle privatizzazioni che autorizza il ministero del Tesoro a privatizzare società statali senza l’approvazione del Parlamento, tra queste università e banche, società di Tlc, compagnie aeree, terreni.

Il movimento in atto, che ha portato decine di migliaia di persone in piazza, sullo sfondo di una crisi che lascia molti giovani senza speranza, è alquanto inedito per il Kenya (che vanta tuttavia una grande trazione di lotta anti-coloniale contro l’imperialismo britannico).

Le grandi famiglie della borghesia kenyota

In Kenya il potere economico e politico è nelle mani di una manciata di famiglie influenti, quella dei Kenyatta, degli Odinga, dei Ruto, dei Moi, Kibaki, Karume, Kulei, Biwott, Nyachae, Saitoti, Michuki e Mwau, ii spesso in guerra tra loro. Sono parte integrante della borghesia kenyota, e i loro clan sono legati ai traffici internazionali ed alle potenze imperialiste.

Tre esempi significativi.

Il presidente Ruto, di etnia Kalenjin, ha costruito un enorme impero che copre differenti settori dall’alberghiero, all’immobiliare, all’agricoltura e alle assicurazioni. Grazie alla sua posizione di governo, ha di recente cercato di spezzare il predominio dei suoi avversari politici, l’ex presidente Uhruru Kenyatta, di etnia Kikuyu, nel settore lattiero caseario, e il leader dell’opposizione Raila Odinga per il GPL.

La famiglia Kenyatta possiede quote rilevanti nel settore bancario (gruppo NCBA), nei media (Mediamax Group); nell’alberghiero, nel caseario (Brookside Dairies); nel farmaceutico, nel legname, agricoltura (Gicheha Farm), nell’immobiliare.

Raila Odinga e il suo clan familiare (gruppo tribale Luo) posseggono una grossa quota di Be Energy – filiale kenyota della multinazionale saudita dello sceicco Abdul Kader Al Bakri – e di East Africa Spectre. Ha inoltre cospicui interessi nell’agro-chimico (Spectre International).

Ognuno di questi potenti clan famigliari cerca il sostegno dei gruppi tribali e delle etnie di appartenenza, anche istigandoli gli uni contro gli altri, spesso già in conflitto per acqua o pasture… Lo stesso presidente in carica era stato accusato presso la Corte internazionale di aver fomentato violenze interetniche che causarono 1.300 vittime e almeno 600mila sfollati dopo le elezioni del 2007-2008, e di crimini contro l’umanità (omicidio, deportazione o trasferimento forzato di popolazione e persecuzione). Ruto avrebbe aizzato la sua tribù Kalenjin nella Rift Valley contro la tribù Kikuyu del neo presidente eletto Mwai Kibaki, e di Uhruru Kenyatta. iii

La rabbia della Gen-Z contro promesse disattese

Le tensioni sociali oggi scoppiate erano già evidenti alla vigilia delle presidenziali del 2022, per l’aumento del debito pubblico e del costo della vita. iv

Nel marzo 2023, l’ex Primo ministro Raila Odinga aveva chiamato la popolazione a manifestare contro il neo eletto Ruto, facendo leva sul peggioramento delle condizioni di vita. Odinga, attuale leader della coalizione di opposizione Azimio la Umoja-One Kenya Coalition, si era candidato alla presidenza con il sostegno del precedente presidente Uhuru Kenyatta contro il vincente William Ruto.

Ruto con le sue promesse demagogiche seppe sfruttare le tensioni, riuscendo a raccogliere il consenso di masse di giovani. Ma la pur rilevante crescita economica del PIL (una media nel decennio 2013-2023 del 4,5%; e 7,6%, 4,9%, 5,6%, rispettivamente nel 2021, 2022 e 2023) non ha offerto alle nuove leve entrate nel mercato del lavoro, la Generazione Z (Gen-Z), maggiori garanzie occupazionali. Il settore informale, con tutto ciò che esso rappresenta in negativo per livelli salariali e garanzie contrattuali, riguarda ancora l’80% dei posti di lavoro (non agricoli), e crea il 35% del PIL.

La Gen-Z è più istruita dei genitori, ed ha accesso a maggiori informazioni tramite Internet, divenendo più cosmopolita, meno legata alle tribù o ai partiti politici, e capace di mobilitarsi in modo autonomo. Ma molti giovani, anche se qualificati, rimangono disoccupati a causa della scarsa creazione di posti di lavoro adeguati alla crescente forza lavoro giovanile. E spesso sono costretti ad accettare lavori all’estero o ad accettare nel loro paese posizioni di lavoro vulnerabili. v

Il censimento del 2019 del Kenya rilevava che 9 milioni di persone sono migranti a vita, di costoro il 35% sono forza lavoro giovane qualificata.

Per tutta questa serie di motivi, il movimento sembra essere composto in modo preponderante da giovani e da strati di lavoratori autonomi – gruppi sociali finora meno coinvolti in queste manifestazioni – privo di leader ufficiali, coordinato online.

Sono mossi, oltre che dai problemi concreti, economici, dall’indignazione per la forte ineguaglianza sociale, l’amoralità dei governanti, la prepotenza e la funzione usuraria delle istituzioni internazionali del capitale, che riversano sulla maggioranza della popolazione i costi dei prestiti erogati per sanare l’alto debito pubblico (nota 6vi). Circa il 60% delle entrate fiscali del Kenya è infatti destinato al servizio del debito – a pagare cioè solo gli interessi dovuti per i prestiti vii.

Sanno che la Finanziaria presentata come misure d’austerità per il “bene nazionale”, una necessità per ridurre il debito, è in realtà una rapina alla stragrande maggioranza della popolazione per arricchire a dismisura i creditori esteri e sostenere lo stile di vita della minoranza al potere. Lo stesso FMI, nella valutazione del rischio dell’attuazione delle misure aveva cinicamente previsto che ci sarebbero state proteste, ma ha esortato il governo a ignorarle e ad approvare comunque le misure.

I padrini del Kenya

Il Kenya è cruciale per la “geopolitica” occidentale, cioè per i rapporti di forza tra potenze, in un’Africa subsahariana dove le vecchie potenze coloniali arretrano mentre avanzano Cina e Russia. Il paese fa parte di una regione, quella del Corno d’Africa allargato, che costituisce la “naturale” porta d’ingresso orientale all’Africa subsahariana, di cui le grandi potenze globali e le medie potenze regionali si disputano risorse naturali, mercati, terre, e influenza politica, alimentando micidiali conflitti e guerre civili, dal Sudan all’Etiopia, Somalia.

Come sta accadendo per diversi altri stati africani, anche la classe politica kenyota cerca di approfittare della fase di riassetto dei rapporti di forza globali in corso, per giocare su più tavoli contemporaneamente, oppure cambiare “padrino”, fiutando il vento più favorevole. Come sta accadendo nel Sahel, dove in Mali, Burkina Faso, e Niger è stata ormai estromessa l’ex potenza coloniale francese, come pure gli Stati Uniti (i suoi militari hanno dovuto di recente smammare dal Niger), a favore di Russia, e Cina.

Il Kenya oscilla tra il padrino americano e quello cinese, a seconda di quale fazione politica/clan famigliare riesce a conquistare il potere. E così si trova a sottostare alle condizioni poste da entrambi (vedi debito estero), che riservano vantaggi per le élite e sacrifici pesantissimi alla massa della popolazione.

Gli Stati Uniti

Il Kenya è da 60 anni un alleato degli Stati Uniti, alleanza confermata dal partito di centro-destra United Democratic Alliance (UDA) del presidente in carica di William Ruto. viii E negli Stati Uniti Ruto è sostenuto in particolare dalla estrema destra della Chiesa evangelica.

Benché, come sopra riferito, su Ruto pendano incriminazioni per crimini contro l’umanità, lo scorso maggio, pochi giorni prima della presentazione della sua Finanziaria in parlamento, è stato ricevuto in pompa magna a Washington dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, assieme agli ex presidenti Clinton ed Obama. È stata la prima visita ufficiale negli Stati Uniti di un capo di stato africano negli ultimi 15 anni, un’opportunità per Biden di dimostrare un rinnovato “impegno” verso il continente africano.

Il Kenya, ha detto Biden, è un partner strategico fondamentale degli Stati Uniti; gli sarà concesso lo status di “alleato primario non membro della Nato”, primo paese dell’Africa subsahariana a ricevere questo status, grazie al suo contributo alle crisi regionali: dal Corno d’Africa ai conflitti in Sudan, Sud Sudan, Repubblica democratica del Congo, Somalia ed Etiopia… (In realtà si è trattato di un contributo limitato alle “buone intenzioni”, tentativi di mediazione per procura del padrino americano finora senza esito.)

Ruto ha ringraziato per l’amicizia, inviando a fine giugno ad Haiti 400 poliziotti kenioti per una missione a guida americana. Ricordiamo che il Kenya è in prima linea nella cosiddetta “guerra al terrore” degli Stati Uniti, a cui serve come base da cui lanciare gli attacchi con droni contro al-Shabaab in Somalia; e i soldati kenioti sono presenti in Somalia da oltre un decennio.

La Cina

Le relazioni diplomatiche tra Nairobi e Pechino datano dal 1963, anno dell’indipendenza del Kenya; sospese temporaneamente nel 1967, vengono riallacciate nel 1978, e da allora si sono andate rafforzando – includendo incontri tra rispettive delegazioni militari – con una serie di accordi economici e di investimento, tanto che la Cina è attualmente il principale partner commerciale del Kenya.

È del 2005 la strategia “Guardare ad Oriente”, varata dal presidente Mwai Kibaki e proseguita da Uhuru Kenyatta – come opzione alternativa alla dipendenza dalle potenze occidentali – che dà il via ad una significativa espansione dei prestiti cinesi e delle iniziative infrastrutturali gestite dalla Cina.

Nel 2006 Pechino sigla con il Kenya il contratto di esplorazione petrolifera, le prime esplorazioni ai confini con il Sudan e la Somalia e nelle acque costiere. Nell’aprile 2007, il primo gruppo cinese, lo statale Jinchuan, entra nel settore minerario, acquistando una partecipazione del 20% in Tiomin Kenya. Nel 2011, Kenya e Cina firmano 10 accordi di collaborazione nei settori telecomunicazioni, energia, turismo, sanità, commercio, edilizia ed istruzione. Dal 2003 al 2013, l’interscambio commerciale tra i due cresce del 30% annuo. Nel 2022, con un debito totale di 6,83 MD$, la Cina è risultata il principale creditore bilaterale del Kenya. Tra i maggiori progetti infrastrutturali recenti finanziati dai prestiti cinesi Nairobi-Thika e la ferrovia a scartamento normale Mombasa-Nairobi (SGR).

Ecco spiegata l’utilità per i rappresentanti politici della borghesia keniota di intrattenere buone relazioni con la Cina.

Mantiene buone relazioni con la Cina, principale rivale della superpotenza americana in declino, il Jubilee Party di Uhuru Kenyatta, al governo del Kenya dal 2016 al 2022, che dal momento della sua fondazione scambia visite di delegazioni con Pechino. Ricordiamo che l’attuale presidente William Ruto, era al tempo vice presidente con il governo Kenyatta, e anche vicepresidente di questo partito filocinese…

Ha legami strutturali con il Partito Comunista Cinese il partito di opposizione, il sedicente Partito Comunista del Kenya (CPK), che si definisce marxista leninista. Nel 2023 alcuni suoi membri parteciparono ad un seminario per quadri organizzato dal PCC. Nel n. 5 della sua rivista teorica, ITIKADI, il CPK scrive: “Questo seminario sottolinea l’importanza delle relazioni della Cina con l’Africa. La Cina continua a fornire sostegno morale e materiale come ha sempre fatto nelle lotte di liberazione nazionale anticoloniali, anti-apartheid e anti-imperialiste. Con il PCC, la Cina ha sostenuto lo sviluppo economico e infrastrutturale del Kenya e dell’Africa.” Un anti-imperialismo con riserva, parziale, partigiano, visto che traveste gli interessi dell’imperialismo cinese come espressione di sostegno alla popolazione del Kenya!

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In un quadro globale in movimento, in cui l’Africa è sempre più terreno di scontro globale, sull’onda del suo sviluppo economico e demografico sta emergendo l’altro polo della lotta di classe, una giovane classe lavoratrice, scolarizzata, vergine politicamente, che si dimostra combattiva in diverse situazioni, e guarda avanti, desiderosa di emanciparsi, non solo dalle potenze straniere che continuano ad imperversare in Africa, ma anche dalle classi sfruttatrici locali.

Di fronte alla resistenza finora dimostrata dal movimento dei giovani kenyoti, ci auguriamo che esso riesca a mantenere l’unità e lo slancio che ha finora dimostrato, e in prospettiva riesca a collegarsi ad un movimento di classe internazionale e internazionalista.

Note

i A febbraio e marzo di quest’anno i lavoratori della sanità, organizzati dal sindacato KMPDU, hanno scioperato contro le condizioni di lavoro e salariali, e il peggioramento del servizio pubblico. Cfr.https://peoplesdispatch.org/2024/03/05/kenyan-health-workers-protest-repression-government-failure-to-meet-demands/

ii https://nation.africa/kenya/news/political-families-own-half-of-private-wealth-952330

iii Gruppi etnici del Kenya. [cfr. https://study.com/academy/lesson/kenya-ethnic-groups.html#:~:text=Kenya’s%20three%20largest%20ethnic%20groups,between%20Nairobi%20and%20Mount%20Kenya.%5D
A seconda di come vengono misurati, si stima che in Kenya vi siano dai 32 ai 70 gruppi etnici, in genere facenti parte di tre famiglie linguistiche, Bantu, Nilotico e Cushitico. I cinque gruppi etnici più grandi sono i Kikuyu, i Luhya, i Luo, i Kamba e i Kalenjin, che insieme rappresentano oltre il 65% della popolazione del Paese.
I tre maggiori sono i Kikuyu, i Luhya e i Kalenjin. I Kikuyu sono il 17% della popolazione e vivono nella regione centrale tra Nairobi e il Monte Kenya. I Luhya sono oltre il 14% della popolazione e vivono soprattutto nel Kenya occidentale. I Kalenjin, con oltre il 13%, comprendono una varietà di sottogruppi della Rift Valley. Sui conflitti interetnici: https://en.wikipedia.org/wiki/Ethnic_conflicts_in_Kenya

iv 2023. L’inflazione in Kenya è scesa al 6,7% in agosto, ma nei dodici mesi precedenti i prezzi della benzina sono aumentati del 22%, dell’elettricità di quasi il 50% e dei prodotti di base, come zucchero e fagioli, rispettivamente del 60% e del 31%. [DW, 9 dic. 2023]

v L’80% dei circa 51,5 milioni di kenioti, ha meno di 35 anni, quelli tra i 15 e i 24 anni rappresentano il 21% della popolazione e circa il 16% dell’occupazione totale. Ogni anno entrano nel mercato del lavoro circa 500.000-800.000 giovani kenioti. L’84% dei giovani occupati ha un’occupazione informale, vulnerabile caratterizzata da bassa produttività, salari inadeguati e condizioni di lavoro difficili; solo il 15% riesce ad ottenere un lavoro formale. La disoccupazione giovanile è stimata tra il 65% e l’80% di quella totale.

vi Il debito pubblico del Kenya è passato dal 66,7% del PIL nel 2022 al 70,2% nel 2023, a causa dell’aumento dei prestiti per finanziare il deficit primario e del deprezzamento del tasso di cambio.

vii Il rapporto debito/PIL del Kenya era del 43% nel 2013, anno di entrata in carica di Uhuru Kenyatta, presidente, e Ruto, vicepresidente. Nel 2019 era salito al 61,7% e nel 2024 ha superato il 70%. Nel 2019, la Cina rappresentava il 72% del debito estero complessivo del Kenya, divenuto un’area sempre più cruciale della cinese “One Belt, One Road”. Una quota dei prestiti cinesi è dovuta ai due progetti infrastrutturali di punta del Kenya, il progetto autostradale Nairobi-Thika e la ferrovia a scartamento normale Mombasa-Nairobi (SGR). Ai prestiti avuti dalla Cina si aggiungono quelIi chiesti a FMI e BM. Nel 2022, con un debito totale di 6,83 MD$, la Cina è risultata il principale creditore bilaterale del Kenya. Di questi, 5,3 MD$ sono stati versati dalla Exim Bank of China per finanziare la ferrovia a scartamento normale.

viii Attualmente è al governo la coalizione Kenya Kwanza (in Swahili significa “Prima il Kenya” “Kenya First”, un’alleanza dal centro destra al centro sinistra, guidata da William Ruto. Formata in vista delle elezioni generali del 2022 da tre partiti, Alleanza Democratica Unita (UDA) di William Ruto, Congresso Nazionale Amani e FORD-Kenya, con la successiva adesione di altri partiti politici, ora ne riunisce ben 12. [Wikipedia]