Il capitalismo britannico cambia cavallo per non cambiare nulla. I lavoratori potranno accettarlo?

Le elezioni anticipate in Francia e Gran Bretagna, tra fine giugno e la prima settimana di luglio, preannunciano scossoni politici ma, a guardar bene, più di facciata che di sostanza: in Francia sarà il ballottaggio a decidere se il Rassemblement National di Le Pen otterrà la maggioranza in Parlamento; in Gran Bretagna è data per certa la vittoria dei laburisti dopo 14 anni di governo Tory. Quel che è certo è che l’alternanza politica nel Regno Unito non porterà a grossi cambiamenti della linea politica dei precedenti governi conservatori, soprattutto sul tema della guerra e dell’economia di guerra, su cui convergono praticamente tutti i partiti che sono nel “gioco” elettorale. D’altra parte l’attuale leader laburista, Keir Starmer, diversamente dal suo predecessore Jeremy Corbyn, compete con il premier conservatore Rishi Sunak e con i liberaldemocratici per il sostegno del grande capitale, che gli sta facendo credito.

Più cannoni, meno burro

Un esame dei programmi dei due principali partiti britannici, il laburista dato in vantaggio con il 40% dei voti contro il 20% dei conservatori, ci conferma il fatto che entrambi sono accomunati da ciò che le rispettive borghesie imperialiste ritengono essenziale: il riarmo con l’aumento della spesa per quella che è ipocritamente chiamata la “Difesa”, nonché l’appoggio all’Ucraina contro la Russia. Anche i liberaldemocratici sono allineati in politica estera, mentre solo il partito populista anti-immigrati di estrema destra, Reform UK di Nigel Farage, che i sondaggi danno al terzo posto con il 16,5% dei voti, esprime posizioni più mediate nei confronti della Russia. Tutti i paesi europei stanno puntando sul riarmo, ma per il Regno Unito questo obiettivo è anche economicamente vitale perché la Brexit non ha solo determinato il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori (1), ma ha portato a un costante disavanzo commerciale, e l’industria bellica è uno dei principali esportatori (2).

Un altro punto in comune a tutti i partiti, di destra, centro o “sinistra” (ma solo sulla carta) è il “rigore fiscale” con bilancio in pareggio o un deficit entro il 3% del PIL in ossequio ai desiderata dei “mercati” (alias del denaro dei capitalisti, che si muove verso dove annusa più profitti e meno rischi), questo deus ex machina che con la volubilità dello spread può fare e disfare le fortune dei governi (oltre che dei comuni debitori e creditori) e della sterlina. Ma proprio qui come vedremo è il tallone d’Achille dei programmi elettorali i cui conti non tornano…

Ed Infatti, come l’aumento della spesa militare sia fiscalmente compatibile con la demagogia sociale che si prodiga nel prospettare tagli di tasse e/o aumenti di welfare per (quasi) tutti, non è dato sapere. La soluzione è che si troveranno sempre dei “fattori imprevisti” che vedranno il prossimo governo “costretto” a rimangiarsi questo o quell’impegno elettorale – oppure a sfondare il deficit fiscale e quindi alzare la “tassa inflazione” sui lavoratori. L’importante, intanto, è acchiappare i voti che permettono di andare/restare al governo.

Programmi elettorali e establishment imperialista britannico:

a – la spesa militare

Alla luce di queste considerazioni confrontiamo i programmi elettorali di laburisti e conservatori, con qualche sguardo anche a Reform UK.

Aumentare la spesa militare al 2,5% del PIL! Chi lo dice? Quel guerrafondaio di Rishi Sunak, che ha prospettato anche la reintroduzione del servizio di leva generale? Il laburista Starmer? Il sovranista Farage? Tutti e tre! I laburisti hanno copiato dai conservatori, o viceversa? Entrambi sono espressione del medesimo establishment imperialista britannico, hanno legami con l’industria bellica britannica, sono gli eredi del decaduto impero che in qualche modo vorrebbero risuscitare. Con la finanza e con le armi! E Farage sta cercando di avere il sostegno degli stessi circoli affaristici. Tutti gli aspiranti servitori-rappresentanti dell’imperialismo britannico hanno preso appunti dai medesimi circoli: 2,5%. Quello 0,5% in più dell’obiettivo NATO dovrebbe dare ai britannici un vantaggio sugli alleati-rivali europei, e più “credibilità” nel mondo. E Farage sul “2,5% entro 3 anni” gioca al rialzo: “3% entro 6 anni” con l’ingaggio di altri 30mila militari di professione. I laburisti vogliono “rafforzare le Forze Armate che i conservatori hanno indebolito”. Il Manifesto dei conservatori prevede 29 miliardi di sterline di investimenti in armi, di cui 763 milioni per modernizzare il “deterrente nucleare” Trident e 10 miliardi da investire nella produzione di munizioni (che vedono una grande e profittevole domanda sul fronte ucraino). I laburisti non sono da meno: “Il nostro impegno nei confronti del deterrente nucleare del Regno Unito è assoluto. È una salvaguardia vitale per il Regno Unito e per i nostri alleati della NATO”. Bravi! Mentre Labour e Tory sono unanimi nella continuazione del sostegno militare all’Ucraina, Farage, che si colloca su una posizione più in assonanza con Trump, consiglia a Zelensky di trovare un accordo di pace prima che l’Ucraina resti senza giovani…

b- l’indebolimento nelle ex colonie

Come la Francia, che in questi anni sta subendo la fase due della de-colonizzazione nella Francafrique, anche la Gran Bretagna vorrebbe mantenere un ruolo non solo cerimoniale nel Commonwealth, e mantenere legami privilegiati (cioè dominanti) con i paesi dell’ex impero. Ma gli stessi capitalisti britannici, che hanno piazzato un magnate d’origine indiano-kenyota a capo del loro governo, che hanno ceduto quel che restava della gloriosa British Steel al gruppo indiano Tata (3), e vedono ormai più capitali indiani investiti in Gran Bretagna (l’India è il secondo investitore nel Regno Unito, dopo gli USA) che capitali britannici in India, sanno che non si tratta ormai più di riconquistare/difendere un impero da tempo tramontato, ma di farsi trainare dalla locomotiva indiana spinta a tutta corsa da centinaia di milioni di braccia sfruttate (la famosa produzione di valore…), e di ritagliarsi una fetta più sostanziosa del bottino che i co-briganti NATO ancora riescono ad assicurarsi nelle aree contese e partecipare come junior partner degli USA alla prossima grande resa dei conti con la Cina. D’altra parte le ex colonie India e Sud-Africa, membri fondatori dei BRICS, giocano in proprio al “multipolarismo”, e il Pakistan tende a gravitare intorno alla Cina.

c- La Brexit

Quanto velleitari siano i propositi dei pronipoti del più grande impero della storia di poter ritornare grandi operando in proprio, fuori dalla “camicia di forza” dell’UE, lo stanno dicendo le vicende degli ultimi anni. Ma nonostante i magrissimi risultati economici conseguiti, e soprattutto il disastro sociale che si è verificato nel dopo-Brexit (4), entrambi i partiti rivali confermano la Brexit (per la quale aveva fatto campagna proprio Farage), quale libertà di azione economica e politica del capitale britannico sul mercato globale. Come provare a rendere popolare la Brexit? Con la Brexit Pubs Guarantee con cui il governo conservatore si impegna a tenere l’imposta sulla birra alla spina al di sotto di quella venduta nei supermercati… Che si brindi alla Brexit! Per i capitalisti ancora sobri, i conservatori parlano di “accordi commerciali” che il governo intende concludere, e che non sarebbero stati possibili restando nella UE, citando l’accordo AUKUS con USA e Australia, con il quale hanno sfilato alla Francia la fornitura miliardaria di sottomarini (a propulsione nucleare, i loro) all’Australia, all’interno di una alleanza anti-cinese con gli USA. Sempre i conservatori confidano che l’aumento delle commesse statali di armi rafforzerà l’industria bellica, proponendosi così di diventare i primi esportatori di armi in Europa, superando anche qui la Francia. Ecco come la Brexit assume il suo reale contenuto imperialistico del battitore libero (sotto l’ala protettrice americana) che inasprisce la concorrenza anche con gli ex partner europei, impigliati nelle continue mediazioni tra interessi contrastanti. Questa sarebbe la stessa essenza, come più volte abbiamo sostenuto, di una ancor più velleitaria Italexit, non meno imperialistica e anti-operaia di quanto sia l’Unione Europea. Starmer, è vero, non intende revocare la Brexit, ma vorrebbe rafforzare i rapporti commerciali con la UE, anche per cautelarsi da una possibile presidenza Trump, meno interessata alle relazioni atlantiche.

d – miglioramento del welfare, specchietto per le allodole

Per quanto diffusi siano ancora in Gran Bretagna gli echi e le nostalgie dello splendore imperiale che fu (milioni di inglesi e scozzesi parteciparono in qualche modo alla colonizzazione e ai proventi del saccheggio) la maggioranza della popolazione oggi pensa solo a porre uno stop al peggioramento delle proprie condizioni di vita degli ultimi anni. Ai partiti impegnati nella competizione elettorale, quindi, occorre esporre sul banco articoli più immediatamente appetibili. Senonché anche la classica divisione delle parti tra il Labour che starebbe dalla parte dei lavoratori e dei sindacati, “azionisti” del partito, e i Conservatori quali rappresentanti del business, appare ora più sfumata. Da un lato i laburisti, con la cancelliera ombra Rachael Reeves, si dichiarano salomonicamente “pro-lavoratori e pro-imprese”, dato che “il successo degli uni dipende[rebbe] da quello degli altri” (aggiornamento del “siamo tutti sulla stessa barca” dell’interclassismo di casa nostra) e corteggiano soprattutto il business, dall’altra sono i conservatori a vantarsi (ne prenda nota la Meloni) di aver portato il salario minimo a £ 11,44 l’ora (per chi ha più di 21 anni), +35% in termini reali rispetto al 2010, l’ultimo anno di governo laburista, e prospettano £ 13 con la prossima rivalutazione (5). A loro volta i laburisti rilanciano: salario minimo per tutti abolendo la soglia dei 21 anni, e ispezioni e sanzioni contro i padroni che pagano meno. Promettono inoltre di limitare i contratti a zero ore (contratti senza un numero di ore settimanali prestabilite, praticamente lavoro a chiamata), di dare pieni diritti dal primo giorno di lavoro (ora solo dopo due anni…) e di introdurre un non meglio precisato “New Deal of Working People” che avrebbe il potere di far tornare la gente al lavoro. Sembra di risentire le promesse elettorali (da destra e da sinistra) di revocare il Jobs Act introdotto dieci anni fa da Matteo Renzi, l’omologo italiano di Starmer, e presto dimenticati dopo le elezioni. Nell’attesa, i laburisti garantiranno un’esperienza lavorativa di ben due settimane a tutti i giovani! La montagna del grande Labour partorirà questo topolino?

e- il taglio delle tasse e la “classe media”

Ma è forse la familiare bandiera del taglio delle tasse quella che viene sventolata di più per attirare voti. Anche qui troviamo una specie di inversione dei ruoli, perché i conservatori promettono che i contributi in busta paga scenderanno, melonianamente, dal 12% al 6% (li hanno già ridotti all’8%), e puntano al voto degli anziani: taglieranno le tasse sulle pensioni, garantendo una specie di scala mobile dell’esenzione fiscale; e aggiungono: bus e medicine gratis ai pensionati. I laburisti, che accusano i conservatori di aver portato la pressione fiscale al massimo da 70 anni, si impegnano a tenere sotto il 25% le tasse … sulle imprese, il livello minimo tra i paesi Ocse. Tant’è. Reform UK da parte sua chiede l’esenzione fiscale fino a 20.000 sterline di reddito. Ne beneficerebbero 7 milioni di lavoratori con redditi bassi… Ma per le piccole e medie imprese la soglia esente deve salire a £ 100.000, e l’aliquota scendere al 20% e poi al 15%. (I governi italiani, giallo-verdi, rosso-verdi, e seguenti hanno già fatto lo sconto alla piccola borghesia, dimenticando di farlo ai lavoratori).

Di persone al lavoro ne vogliono di più tutti – se no, chi produce la ricchezza dei ricchi? E si tratta soprattutto di far lavorare più donne. Labour e Tory offrono child care (asili o babysitter, non è chiaro) di modo che le donne possano andare a lavorare; i conservatori promettono 30 ore di child care gratuita alla settimana, per i bambini dai 9 mesi alla scuola dell’obbligo, rispetto alle attuali 15 ore oltre i 2 anni di età. I laburisti vorrebbero anche una sanità più efficace, per rimettere in sesto più velocemente i malati e farli tornare prima al lavoro (perché a questo serve la salute); i conservatori a loro volta vogliono tagliare i sussidi agli inabili, per spingerli a lavorare, e promuovere 100 mila posti di apprendistato al posto di “corsi di laurea inutili”: meglio che i giovani si abituino da subito al duro lavoro sotto padrone e non si facciano strane idee su lavori in cui realizzarsi senza dover arricchire qualcun altro. E in modo un po’ sibillino sia i Labour che i Conservatori lasciano capire di voler tagliare i sussidi ai disoccupati per costringerli ad accettare qualsiasi lavoro (anche su questo in Italia, col taglio del reddito di cittadinanza, siamo già “avanti”).

F – l’immigrazione

Tutti vogliono però(o dicono di volere) meno immigrati: i conservatori restano impegnati a mandare gli irregolari nell’accogliente Rwanda, i laburisti (che accusano il governo di scialacquare denaro tenendoli in albergo nell’attesa) metteranno più detective e poliziotti guardacoste in un Border Security Command, per acchiappare i clandestini e rispedirli semplicemente indietro, e formeranno manovali, colf e bandanti di pura razza britannica, colmando il vuoto “di competenze” creato da questa vergognosa dipendenza dalla forza lavoro immigrata (l’immigrazione netta, fanno notare, sotto i conservatori è triplicata dal 2019…). Chissà se i e le giovani inglesi doc saranno d’accordo ad acquisire quelle “competenze” che ormai sono identificate con la pelle scura o l’accento slavo… I conservatori promettono di porre un “limite legale” all’immigrazione riducendone i numeri di anno in anno… permettendo però l’ingresso delle competenze necessarie alla Sanità, dove promettono di assumere 62 mila infermieri e 28 mila medici. Per non parlare di Reform UK, che rispedirà semplicemente indietro i barchini, uscirà dalla Convenzione europea sui Diritti Umani e aumenterà al 20% i contributi da pagare per i lavoratori immigrati. 

E tutti vogliono più poliziotti, nei quartieri per la legge e l’ordine, ai confini per la caccia all’immigrato.

G – Energia e rendita immobiliare

Qualche differenza c’è. Il programma elettorale laburista è più centrato su iniziative statali quali il National Wealth Fund per investire nei “settori del futuro” con la promessa di 650 mila posti di lavoro, e la Great British Energy per accelerare la transizione all’ “energia pulita” (= fonti rinnovabili + nucleare), da finanziare con un’imposta sui superprofitti su petrolio e gas, mentre i Tory sono per rallentare la transizione verde. Entrambi promettono investimenti per la costruzione e riparazione di infrastrutture fatiscenti (i conservatori: £ 8,3 miliardi per riparare le buche delle strade). I conservatori promettono la costruzione di 1,6 milioni di nuove abitazioni nella sola Inghilterra, ma senza intaccare la “cintura verde” intorno a Londra, mentre i laburisti appaiono più possibilisti rispetto all’apertura di nuove aree all’urbanizzazione. Una apparente inversione delle parti tra Labour e Tory quanto a sensibilità ambientale? In realtà si tratta degli interessi dei proprietari immobiliari londinesi, le cui proprietà e rendite hanno raggiunto valori astronomici, che cadrebbero se nuove aree divenissero edificabili per abitazioni, uffici, logistica. I gruppi industriali sono a favore dello sblocco, che trova contrari gli enormi interessi che ruotano attorno alla rendita immobiliare.

G – Il rischio debito, terzo incomodo

Tutti promettono di rafforzare il sistema sanitario nazionale riducendo le lunghe liste di attesa (tutto il mondo capitalista è paese), e il sistema scolastico, ma tra un’elezione e l’altra quel che va avanti è la privatizzazione che fa di salute e istruzione un business per il capitale e un bene irraggiungibile per i milioni con bassi redditi.

Per rientrare dalla sbornia di promesse, riportiamo nel riquadro che segue estratti della relazione di Paul Johnson, Direttore dell’Istituto per gli Studi Fiscali, sui programmi elettorali dei vari partiti: i programmi elettorali di laburisti e conservatori non sono compatibili con gli impegni a non aumentare le tasse nel corso della prossima legislatura, anche perché la situazione del debito pubblico è vicina al collasso nonostante il forte aumento delle imposte sotto i governi conservatori  (ma i Tory non erano il partito del taglio delle tasse?). L’Istituto minimizza l’impatto dell’aumento della spesa militare, evitando di quantificarlo (cosa che ci fa pensare che siano vicini agli obiettivi del complesso militare industriale), ma è evidente che esso è in conflitto con le esigenze della spesa sociale, e nonostante il forte taglio agli investimenti pubblici si renderanno necessari tagli a vari capitoli della spesa sociale. “Questi fatti crudi – commenta Paul Johnson – sono ampiamente ignorati dai due partiti principali nei loro manifesti elettorali” che contengono quindi grandi dosi di ciarlataneria. Liberaldemocratici e Reform UK non sono certo da meno.

L’incognita astensionismoe – al di là di queste elezioni – la prospettiva di classe

Un dato importante delle elezioni britanniche sarà anche quello dell’affluenza al voto, che nelle più recenti elezioni ha visto solo il 50% dei giovani votare contro l’80% dei più anziani, un dato che ha sfavorito il Labour, votato in prevalenza dai giovani (55% fino a 30 anni, contro il 22% ai Tory), mentre una netta maggioranza di anziani ha votato i conservatori (67% tra gli ultra-70, contro solo il 14% al Labour). Nelle elezioni del 2019 non vi è stata, invece, una significativa diversità tra classi sociali nelle scelte di voto: circa un terzo di tutti gli strati sociali ha votato Labour, mentre i Tory sono stati votati dal 43% degli strati sociali subalterni, e dal 48% di quelli superiori.

Per concludere: i due partiti che si contendono la maggioranza non hanno politiche sostanzialmente diverse dal punto di vista delle classi sociali di riferimento. Entrambi sono in concorrenza tra loro per avere da un lato il supporto dei grandi gruppi industriali e finanziari, e dei media che controllano, e dall’altro i voti degli elettori, che per circa il 90% sono lavoratori dipendenti, in gran parte del settore terziario. È vero che il Labour ha un legame organico con i sindacati del Trade Union Congress, ma questi organizzano poco più di un lavoratore su 5, e nelle ultime elezioni i lavoratori e loro famigliari hanno dato più voti ai conservatori che ai laburisti (6).

Se il quadro è quello di una sostanziale identità degli obiettivi programmatici dei contendenti, per quale motivo i grandi gruppi sembrano decisi a cambiare cavallo? Uno dei motivi riguarda proprio l’instabilità politica che ha portato ad una catena di dimissioni fino al ricorso ad una riverniciatura che desse un’illusione di “aria nuova” e di dinamismo: la nomina del giovane Sunak.

Ma questo “cambiamento” di cavallo è anche il riflesso della crisi sperimentata dagli stessi “grandi gruppi”, che non riescono a trovare una via d’uscita, e sono quindi alla ricerca di un’alternativa allo stallo in cui li ha portati la crisi economica. La classica soluzione della guerra – sempre in campo – si scontra oggettivamente con la possibilità reale di una crisi sociale che potrebbe generare condizioni ancora peggiori di quella attuale. Puntare sulla corsa agli armamenti può dare al capitalismo britannico una chance, ma può anche rivelarsi un mero palliativo perché non fa i conti con la concorrenza internazionale che sta diventando sempre più violenta anche su questo terreno.

Nell’attuale quadro internazionale di lotta a coltello tra gli stessi alleati del campo occidentale, appare quanto mai complicato apprestare programmi elettorali che siano realmente in grado di temperare le tensioni sociali con misure che vadano incontro ai bisogni proletari nel mentre perseguono l’obiettivo prioritario di preparare guerre, e addirittura una nuova guerra mondiale. Le osservazioni dell’IFS che proponiamo in calce, sono uno dei segnali di questa “crisi di soluzioni”.

Vista la attuale mancanza di autonomia politica della classe lavoratrice nel Regno Unito (e non solo) può sembrare paradossale sostenere, come vogliamo qui sostenere, che questa situazione lascia ampi spazi a chi volesse proporre un’alternativa di classe totalmente sganciata dal laburismo, da quegli “appoggi tattici” al laburismo che hanno fatto sempre naufragare le forze che l’hanno praticato. Può sembrare paradossale, ma non lo è. Perché negli ultimi anni vi sono stati nel Regno unito molteplici scioperi e agitazioni sindacali, e vi è stato – cosa di ancor maggiore rilievo – un imponente movimento di sostegno alla causa palestinese, in particolare nella metropoli londinese. Certo, le agitazioni sindacali non hanno saputo spezzare la compartimentazione delle lotte su base settoriale o categoriale, violando le norme strangolatorie fissate dalla borghesia britannica un secolo addietro contro gli scioperi generali, tanto più se a scopo politico. Ma il ritorno a scioperi di massa sentiti e partecipati è comunque un segno da cogliere e valorizzare, mostrando come i programmi di tutti i partiti in lizza – data la scelta militarista compiuta – si contrappongono alle aspettative di miglioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro espresse dalle lavoratrici e dai lavoratori scesi in lotta. Un segnale ancor più importante è costituito dalle manifestazioni pro-Palestina, alcune gigantesche e caldissime. Ma per dare un’effettiva continuità alle spinte più avanzate provenienti da questi scioperi e da questa mobilitazione anti-imperialista, bisognerà risalire la lunga china delle sconfitte, del passaggio delle cd. sinistre nel campo degli interessi borghesi, e afferrare la necessità della riorganizzazione e dell’autorganizzazione della classe in maniera totalmente autonoma da ogni forma di frontismo politico con il partito laburista, e altrettanto totalmente emancipata dalla vuota illusione che le lotte sindacali possano davvero fermare il corso accelerato alla guerra ed ai sacrifici necessari alla preparazione della guerra.

In Francia c’è stata una sorprendente ripresa dell’attenzione al voto che non può essere lasciata nelle mani e alla gestione degli epigoni di un antifascismo di regime del tutto interborghese. Vedremo se in UK ci sarà un analogo segnale; se ci fosse, non deve morire nelle cabine elettorali. Dopotutto, la via d’uscita che punta sui laburisti (o sul Nuovo Fronte Popolare) potrà avere un respiro assai limitato, dopo di che le alternative si porranno in maniera ancor più radicale di oggi.

Leggere, interpretare i segnali della ripresa dell’iniziativa di classe è un imperativo, ma è solo il primo passo del lavoro per assecondare lo sviluppo ulteriore delle lotte proletarie, il loro passaggio dal livello economico a quello politico, che riguarda la classe nel suo insieme, e poi a quello – decisivo – della preparazione alla scontro frontale con il sistema capitalistico. Dal dopoguerra ad oggi la borghesia britannica ha lavorato alacremente a stabilizzare il proprio dominio sociale, pur in un contesto di evidente decadenza, prima giocando la carta della ricostruzione postbellica, poi quella della redistribuzione via sindacato, ed infine quella della cooptazione, nemmeno tanto graduale, dell’apparato di interi partiti politici di massa. Spende ora le sue residue, sempre più limitate, risorse sulle soglie di una epoca di grandi scontri a livello mondiale che avrà due soli protagonisti: il primo è la forza distruttiva degli imperialisti; il secondo è la forza potenzialmente sovversiva della sola classe che può rimettere tutto in discussione, a partire dai “fondamentali”, dalla corsa alla guerra, ed è il proletariato. Un trionfalismo speranzoso nel “sol dell’avvenire”? No, una realtà materiale che può essere schiacciata, ma non cancellata. E che sta tornando in campo.

Note

(1) Vedi https://www.paginemarxiste.org/gran-bretagna-lavoratori-in-lotta-contro-il-carovita/

(2) Tra le varie alleanze del complesso militare-industriale britannico, in prevalenza con quello americano, c’è anche il
Global Combat Air Programme (GCAP), accordo firmato da Regno Unito, Italia e Giappone, per lo sviluppo di un aereo
di combattimento di nuova generazione entro il 2035.

(3) Il gruppo British Steel, privatizzato dalla Thatcher nel 1988, si fuse con l’olandese Koninklijke Hoogovens nel gruppo
Corus nel 1999, a sua volta acquisito dalla conglomerata indiana Tata nel 2007. Nel Galles meridionale Tata ha
annunciato la chiusura di impianti con il licenziamento di 2.800 lavoratori.

(4) https://pungolorosso.com/2023/08/03/il-favoloso-mondo-della-brexit-8-cresce-labbandono-scolastico-dei-minori-a-
causa-della-poverta/

(5) Il National Living Wage è posto pari a due terzi del salario mediano.

(6) https://yougov.co.uk/politics/articles/26925-how-britain-voted-2019-general-election

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Riquadro

Osservazioni di Paul Johnson, Direttore dell’Institute for Fiscal Studies, sui programmi elettorali 2024 – Scelte vere “nascoste e aggirate”

“I manifesti elettorali lasciano agli elettori dubbi sulle politiche fiscali e di spesa e sulle dimensioni e la forma dello Stato. Il debito è al livello più alto degli ultimi 60 anni. Le tasse sono quasi al livello più alto mai visto nel Regno Unito. Sono aumentate più in questa legislatura che in qualsiasi altro dalla seconda guerra mondiale. Anche la spesa è aumentata: il quarto più grande aumento annuo della spesa pubblica in percentuale del reddito nazionale, e il più grande sotto un governo conservatore. Eppure i servizi pubblici sono visibilmente in difficoltà. Nonostante questi alti livelli di tassazione, la spesa per molti servizi pubblici dovrà probabilmente essere tagliata nei prossimi cinque anni se non si vuole che il debito pubblico aumenti sempre di più o se non si aumentano ulteriormente le tasse.

“Come è possibile? I principali responsabili sono un aumento di 50 miliardi di sterline all’anno della spesa per interessi sul debito rispetto alle previsioni e un bilancio assistenziale in crescita. Poi c’è l’aumento della spesa sanitaria, un bilancio della difesa che per la prima volta da decenni probabilmente crescerà anziché ridursi, e la realtà del cambiamento demografico e della necessità di una transizione verso lo zero emissioni nette. Aggiungiamo la bassa crescita e i postumi della pandemia e della crisi dei prezzi dell’energia e si ottiene un mix tossico per le finanze pubbliche.

“Questi fatti crudi sono ampiamente ignorati dai due partiti principali nei loro manifesti elettorali.” 

Prendere sul serio l’obiettivo dei manifesti elettorali di ridurre il debito entro cinque anni “comporterà scelte dolorose. Nessuna delle quali è stata affrontata. I piani attuali prevedono forti tagli in termini reali alla spesa per investimenti, pari a 18 miliardi di sterline all’anno entro il 2030. …  le soluzioni plausibili per il servizio sanitario nazionale, l’assistenza all’infanzia e la difesa lasceranno probabilmente gli altri servizi di fronte a tagli tra i 10 e i 20 miliardi di sterline all’anno. La “congiura del silenzio” su tutto questo è stata mantenuta. Indipendentemente da chi entrerà in carica dopo le elezioni generali, a meno che non sia fortunato, si troverà presto di fronte a una scelta cruda. Aumentare le tasse più di quanto ci hanno detto nel loro manifesto. O attuare tagli ad alcune aree di spesa. Oppure prendere in prestito di più e accontentarsi che il debito aumenti più a lungo. Questo è il trilemma. Cosa sceglieranno? I manifesti ci lasciano all’oscuro.

“…  Abbiamo assistito una sorta di corsa agli armamenti per il blocco delle tasse. Entrambi si sono legati le mani sull’imposta sul reddito,i contributi, l’IVA e l’imposta sulle società. … 

“Sul fronte della spesa, gli impegni di spesa corrente aggiuntivi del Labour sono essenzialmente banali. Non offrono nulla di concreto sul welfare. Hanno in programma di incrementare gli investimenti verdi di una media di 5 miliardi di sterline all’anno … un impegno importante, anche se molto attenuato. [quindi: 5 miliardi di commesse per il green business]

“I conservatori affermano che taglieranno di 12 miliardi l’anno la spesa per i sussidi per persone in età lavorativa, rallentando la crescita vertiginosa delle richieste di prestazioni di invalidità. 

“Le promesse di apportare i tanto necessari miglioramenti al servizio sanitario nazionale sono essenzialmente impegni non finanziati. Entrambi i partiti vogliono invertire quasi un decennio di aumento dei tempi di attesa. Entrambi ribadiscono il loro impegno nei confronti del piano per il personale dell’NHS England. Costruire più ospedali. Espandere i servizi di salute mentale. L’elenco continua. Questi manifesti “completamente spesati” sembrano implicare che tutto questo possa essere fornito gratuitamente. Non è così. Non si può promettere di porre fine a tutte le attese superiori alle 18 settimane, non stanziare alcun denaro per questo impegno e poi affermare di avere un manifesto completamente finanziato. Come affronterebbe uno dei due partiti gli arretrati del sistema giudiziario, le carceri straripanti, la crisi dei finanziamenti per l’istruzione superiore e superiore, l’assistenza sociale, il governo locale? Non ne abbiamo idea. I laburisti non propongono alcun cambiamento nella spesa per i sussidi sociali o per le pensioni statali. … Il Labour si è impegnato a rivedere il credito universale [una specie di reddito di cittadinanza più ampio] e a sviluppare una strategia per ridurre la povertà infantile. Potrebbero concludere che, dopo tutto, un sistema di sussidi più generoso per le persone in età lavorativa dovrà contribuire a far uscire i bambini dalla povertà nella prossima legislatura? Forse. E se così fosse, come verrebbe finanziato?

I liberaldemocratici hanno una politica fiscale e di spesa più ampia di quella dei laburisti e dei conservatori: vogliono aumentare le tasse di 27 miliardi di sterline per finanziare un aumento di 4 miliardi di sterline del sistema di sussidi per i lavoratori e un aumento di 23 miliardi di sterline della spesa quotidiana per i servizi pubblici. Aumenterebbero la spesa per gli investimenti, per un ammontare di 20 miliardi di sterline all’anno. L’aumento delle tasse deriverebbe in gran parte da una combinazione di riduzione dell’evasione, aumento dell’imposta sui guadagni in conto capitale, tassazione delle banche, tassazione dei voli e tassazione delle società energetiche e dei giganti della tecnologia, anche se è improbabile che le misure proposte portino tutto il gettito richiesto. Ci sono alcune buone idee e altre meno buone. Ma non si tratterebbe di tasse “senza vittime”. La tassazione è vicina a un livello record come frazione del reddito nazionale. Ma le imposte dirette sui lavoratori medi sono storicamente basse. Dall’imposta sulle società e dai redditi alti ricaviamo molto di più di quanto non abbiamo mai fatto prima. Non tutti i grandi aumenti delle tasse colpiranno solo e sempre queste vittime indegne, e quelli che lo fanno possono anche rischiare danni economici. 

Reform UK e i Verdi offrono numeri ancora più grandi. Le politiche che delineano non saranno attuate. Ma il modo in cui danno a vedere di avere idee radicali che possono realisticamente fare una differenza positiva, quando in realtà ciò che propongono è del tutto irrealizzabile, contribuisce ad avvelenare l’intero dibattito politico. Prendiamo Reform UK. Propongono 90 miliardi di sterline di tagli fiscali specifici e 50 miliardi di sterline di aumenti di spesa, “pagati” da un pacchetto di misure da 150 miliardi di sterline che include tagli sostanziali e non specificati al welfare e agli sprechi del governo. Se vogliono uno Stato più piccolo – un’ambizione perfettamente ragionevole – dovrebbero dirci come lo realizzeranno. Abbiamo visto le conseguenze di massicci tagli alle tasse senza alcun dettaglio su come sarebbero stati pagati nel settembre 2022.

[…] 

Le scelte che abbiamo davanti sono difficili. Le tasse elevate, il debito elevato, i servizi pubblici in difficoltà le rendono tali. Le pressioni esercitate da sanità, difesa, welfare, invecchiamento non le renderanno più facili. Questo non è un motivo per nascondere le scelte o per evitarle. Al contrario. Eppure, sono state nascoste e aggirate.